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Governo Letta. Un miracolo di un salvatore laico

 

Di Paolo Razzuoli

 

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Testo integrale delle dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio

 

     La gestione delle vicende politiche, al pari di qualsiasi altra vicenda complessa della contemporaneita’, non e’ mai il frutto della volonta’ di un solo uomo. Oggi piu’ che in passato, la complessita’ degli scenari esige processi di interazione di volonta’ e condivisione di obiettivi fra i numerosi soggetti che interagiscono in ambiti e procedure che chiamano in causa una straordinaria molteplicita’ di soggetti e di livelli.

  A questa logica non sfugge ovviamente il Governo Letta, che mai avrebbe potuto vedere la luce senza la convergente volonta’ dei vari soggetti chiamati in causa, a partire naturalmente dai dirigenti dei partiti che in questa esperienza si riconoscono.

  Ma e’ fuor di dubbio che mai questo Governo sarebbe nato senza l’intervento decisivo e lungimirante del Presidente Giorgio Napolitano, figura che nell’ultimo scorcio della nostra vicenda politica nazionale ha assunto un ruolo ed uno spessore straordinari.

  A mio modo di vedere, nessuna figura politica ed istituzionale del Paese ha mostrato di possedere una cosi’ acuta e lungimirante capacita’ di lettura della vicenda nazionale. Capacita’ che certo sono in parte il frutto della sua straordinaria esperienza politica, ma che attestano una attitudine ad una visione complessiva che oggi, epoca dei sondaggi e dell’effimero, e’ quasi sconosciuta ai piu’ che “rumano” nel pentolone della politica.

  Capacita’ di visione quindi e attitudine alla individuazione di soluzioni con essa coerenti: grande spessore politico quindi, poiche’ uno dei fondamentali attributi della politica e’ proprio quello di saper porre in una logica di coerenza gli obiettivi con gli strumenti. Parametri che potrebbero essere considerati come scontati, ma che oggi non lo sono per niente, posto lo scadimento del dibattito politico a vuoti e ingannevoli slogan, lanciati per sedurre in vista di un immediato bottino elettorale.

    In questo scenario sconfortante, l’azione del Presidente Napolitano si e’ innalzata con il taglio della propria diversita’, accreditandosi sempre piu’ come l’unico elemento di certezza interna e di garanzia internazionale del Paese. Un punto di riferimento al quale hanno dovuto ricorrere le forze politiche per uscire dal pantano nel quale si sono cacciate al momento dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Un invito ad una nuova assunzione di responsabilita’ che Napolitano ha accolto grazie al suo straordinario spirito di servizio al Paese, ma anche dettando le sue condizioni per cercare di far uscire il Paese dalle secche in cui lo ha fatto arenare l’ultimo ventennio della vicenda politica.

     Non nascondiamolo: solo qualche giorno fa nessuno avrebbe scommesso un centesimo sull’esito che ha avuto la vicenda politico-governativa. Un esito che mai sarebbe potuto avvenire senza il “miracolo” compiuto da un Presidente della Repubblica sicuramente laico.

Il fotogramma che immortala la nascita del governo di Enrico Letta non e’ quella del presidente del Consiglio mentre – da solo – legge la lista dei suoi ministri. La vera immagine, quella che offre visivamente il piu’ profondo senso politico di cio’ che stava accadendo, e’ la successiva, di pochi attimi dopo, nella quale il Presidente del Consiglio stringe la mano, con entrambe le sue, a Giorgio Napolitano, apparso a sorpresa quasi per offrirgli un supplemento di legittimazione.

Il capo dello Stato ha definito Letta “l'artefice” di una coalizione cosi’ inedita da cancellare vent'anni di Seconda Repubblica di “nemici”. E ha chiesto di non cercare strani aggettivi per un governo semplicemente “politico”, benche’ manchino tutti i protagonisti del passato.

   Si tratta certamente di un governo politico, con un presidente vice-segretario Pd e un vice-premier targato PdL, addirittura il suo segretario Angelino Alfano.

 

  Ma l’operazione politica sottintende sullo sfondo qualcosa di piu’ complesso e lungimirante: qualcosa che potrebbe rivelarsi decisivo per avviare un nuovo percorso politico veramente idoneo a far uscire il Paese dalle secche politiche del suo declino. Questa nuova esperienza politica, segna il primo esplicito tentativo di pacificazione dell'Italia dopo la parentesi dell'esecutivo dei tecnici di Mario Monti, alla guida di una maggioranza definita allora «anomala”. Adesso, quella maggioranza assume contorni «normali” che fanno storcere il naso a sacche di un elettorato trasversale di destra e di sinistra. Ma proprio per questo e’ il chiaro segnale di una svolta. E’ la conferma che non si poteva tornare indietro.

 Sicuramente e’ la conseguenza obbligata di elezioni senza vincitori ne’ vinti, almeno dal punto di vista dei numeri: gli unici che contino in democrazia. Elezioni che hanno visto il rigonfiarsi di una pericolosa onda populista e minacciosa, anche se provocata da fattori di oggettivo disagio, che una politica litigiosa non ha saputo leggere, animata come’ dai vari “Savonarola” prodighi di reciproche invettive, velenosamente divisi su tutto e scarsamente  attenti ai veri problemi della gente.

 Gente che e’ sempre piu’ avvolta in un senso di smarrimento, aa volte di disperazione. Anche qui coglie nel segno il Presidente Napolitano, allorche’ nel suo messaggio in occasione della festa del lavoro sottolinea la drammaticita’ di chi il lavoro lo perde e di chi il lavoro non lo trova: problema drammatico che sta progressivamente escludendo soprattutto la nuova generazione da un diritto fondamentale qual e’ appunto il lavoro. Lavoro che e’ Condizione essenziale certo per la soddisfazione di bisogni reali, ma che rappresenta altresi’ una “condicio sine qua non” senza la quale risulta effimero ogni discorso sul godimento dei diritti di cittadinanza.

     E’ fuor di dubbio che la nuova esperienza governativa e’ il frutto del complesso scenario politico uscito dalle urne. Un quadro politico che appariva disperante ed infruttuoso. Uno scenario nel quale si stava avvitando un personale politico ormai incrostato su uno schema di contrapposizioni che, purtroppo per il Paese, ha rappresentato ormai per un ventennio l’unico “modesto patrimonio politico” attorno a cui si sono costruite le coalizioni.

   Che si stava andando a sbattere lo si e’ prestamente capito dal modo con cui si e’ mosso Pier Luigi Bersani. Si e’ ben compreso che occorreva qualcosa di respiro ben piu’ ampio, come la eccezionale situazione richiedeva. Una situazione che evocava altre drammatiche pagine della storia repubblicana, che vennero affrontate con lungimiranza e senso dello Stato. Il pensiero va evidentemente a Moro e a Berlinguer, che di fronte ad un risultato sicuramente complesso quale fu quello del 1976, e in un Paese dilaniato dal terrorismo, seppero trovare uno straordinario livello di sintesi politica. Una esperienza che Napolitano visse pienamente da dirigente di una delle forze che seppero costruire quella stagione.

  Poiche’ e’ di sovente che dai momenti delle crisi piu’ drammatiche si riesce ad imboccare la strada di un percorso di risalita, mi sento di poter dire che Giorgio Napolitano potrebbe essere riuscito a trasformare un “disastro” elettorale in una opportunita’ per avviare una nuova stagione politica.

    Che lo scenario della cosiddetta “seconda repubblica” sia totalmente inadeguato, penso che piu’ o meno lo condividano tutti, con la sola eccezione di quei dirigenti e/o maneggioni che nelle divisioni trovano la loro legittimazione e lo spazio per i loro traffici piu’ o meno leciti.

Al Paese il clima di contrapposizione su cui “generali e colonnelli” dei partiti hanno costruito la loro storia, non serve. Al Paese serve una fase di “ricostruzione”, una ricostruzione dopo un lungo periodo di “guerra civile” combattuta non con le armi ma con le parole, ma non dimenticando che “la spada ferisce di sovente piu’ della parola”. Una ricostruzione morale, civile, istituzionale e politica, nella consapevolezza che la strada e’ stretta e tortuosa.   

 Aver in qualche modo costretto a lavorare fianco a fianco nella condivisione di un progetto di governo forze che sino a ieri si sbranavano, e’ un’operazione politica di straordinario portato storico. Nel secondo dopoguerra la “ricostruzione” come la chiamava De Gasperi, fu possibile grazie al convergente impegno di forze antagoniste su tutto, in un mondo che si stava incamminando verso la divisione in blocchi contrapposti. Oggi, in una fase di crisi certo diversa da quella di allora ma per questo non meno grave ed insidiosa, alle forze in campo e’ richiesto un analogo senso di assunzione di responsabilita’. Un quadro ben chiaro a Giorgio Napolitano, che ne ha intrecciato le tappe con estrema lucidita’ politica.

  Sicuramente la scorciatoia dello scontro e’ piu’ semplice della fatica del confronto. Lo e’ particolarmente in Italia, terra di perenni divisioni: Mario contro  Silla, guelfi contro ghibellini, filo-americani contro filo-sovietici, berlusconiani contro anti-berlusconiani. Oggi c’e’ pero’ bisogno di ben altro: c’e’ bisogno di ritrovarsi attorno ad un progetto condiviso di ricostruzione del Paese, sia per arrestarne il declino e rilanciarne lo sviluppo, sia per riscriverne le regole della politica, da cui ognuno potra’ riprendere il proprio percorso, su posizioni certo diversificate ma nel reciproco rispetto e legittimazione.

   Avra’ esito positivo l’esperienza che si apre con il Governo Letta? L’interrogativo e’ sicuramente legittimo ma mi sento di dire che occorre prendere le distanze tanto dai facili ottimismi quanto dagli opprimenti pessimismi. La politica si fa col realismo e con la convinzione. Quando una strada si ritiene giusta, la si percorre e basta.

   IL realismo porta certo a non sottovalutare alcune criticita’, a partire dai maldipancia presenti in settori del Pd e del PdL, che hanno dovuto accettare “obtorto collo” la nuova situazione. Poi ci sono le incognite dovute alle varie questioni che potrebbero far riesplodere lo scontro, a partire dalla giustizia e dalla questione dell’Imu. Temi che potrebbero essere cavalcati dai vari guerriglieri dei due maggiori partiti, per esempio in conseguenza di qualche sciagurato per loro insoddisfacente sondaggio.

     L’impegno che attende il governo ed il Parlamento e’ di straordinaria difficolta’. Non volendo in questa sede entrare nel dettaglio, mi pare che, in sintesi, si possa parlare di due fronti: quello della ripresa, con particolare attenzione al lavoro; quello delle riforme istituzionali e non solo.

Sintesi delresto condivisa anche dal Capo dello Stato che, non certo a caso, aveva costituito su questi temi i due gruppi di lavoro annunciati la vigilia di Pasqua.

  Enrico Letta ha detto in Parlamento di non essere disponibile a vivacchiare: una buona premessa per un Paese che non puo’ piu’ attendere le riforme.

  Per questo e’ altamente auspicabile che il quadro regga e che le istanze del compromesso prevalgono sulle spinte alla divisione.

   Qualcuno parla ovviamente di inciucio. Ovviamente sono di ben altro avviso anche se capisco la rabbia di chi si e’ visto sfumare il potere di interdizione.

  Credo che nel discorso alle Camere di Enrico Letta si possa leggere il peso della miglior tradizione del pensiero politico del cattolicesimo democratico, coniugato con le istanze del liberalismo riformista contemporaneo, con la necessaria sottolineatura della dimensione europeista e globale. Nell’intervento si avvertono nitidamente le tracce di una spiccata sensibilita’ sociale, frutto della miglior scuola di pensiero di ispirazione cattolica, coniugata con una forte consapevolezza scientifica dei postulati politici ed economici, senza i quali qualsiasi promessa, anche se di nobile intento, e’ destinata a restare “flatus vocis”.

  In questo senso ritengo positivo che siano rimaste al di fuori le espressioni del piu’ insidioso populismo. E non penso solo ai grillini, di cui gia’ in miei precedenti scritti ho avuto modo di sottolineare la pericolosita’ di cui dovrebbe aver avvertito i morsi anche Bersani. Penso anche alla sinistra ideologica e massimalista di Sel, e alla lega, portatrice di una insidiosa visione egoistica e disgregatrice.

   E’ deltutto fuorviante confondere l’inciucio con il compromesso. L’inciucio e’ un problema di affari, che delresto piu’ o meno sotto traccia c’e’ sempre stato. Il compromesso e’ la capacita’ di sapersi mettere in discussione, di riuscire a sottrarsi a visioni dogmatiche, di sapersi confrontare con gli altri nella ricerca, che puo’ essere certamente faticosa, di soluzioni ai bisogni di una societa’ complessa qual e’ appunto quella del tempo che viviamo.

 La sociologia ci insegna che la nostra e’ l’epoca della complessita’: complessita’ che e’ data proprio dalla molteplicita’ degli interessi e strati che la costituiscono. Una complessita’ che richiede pertanto una risposta fondata sul compromesso, che riesca ad equilibrare gli interessi in gioco. L’alternativa non potra’ che essere la disgregazione del tessuto sociale.

    I prossimi mesi saranno cruciali: si capira’ se potranno sussistere reali elementi di speranza. Con sano realismo, non si puo’ pensare che tutti i problemi vengano risolti. Cio’ che dovra’ essere perseguito senza tentennamenti, e’ la creazione delle condizioni necessarie per l’avvio del processo riformatore: sara’ questo il terreno su cui si misurera’ la vita del Governo di enrico Letta.

Occorre pensare ad una stagione costituente, di cui la riforma della Legge elettorale e’ un tassello essenziale. Riforma da tutti voluta ma su cui non c’e’ accordo. Per parte nostra, senza velleitarismo alcuno, una proposta l’abbiamo fatta: una ipotesi che ci sembra ampiamente confermata da una scelta di governo che si propone di chiudere una fase politica e di gettare le fondamenta per aprirne una nuova che, ce lo auguriamo fortemente, possa trovare sulla scena protagonisti molto diversi da quelli che abbiamo visto in questi lustri.

Questo mi pare possibile grazie alla determinazione di Napolitano, alla tenacia del premier e al senso di responsabilita’ , o magari solo alla rassegnazione dei partiti.

Dal modo in cui Letta e gli alleati riusciranno a governare e a durare, si capira’  se questa auspicata nuova fase segnera’  anche il ritorno della politica al suo vero ruolo. C'e’ poco tempo per dimostrarlo. E l'attesa della gente e’ enorme e, a questo punto, giustamente impaziente.

    Nel dibattito parlamentare sulla fiducia sono non raramente apparsi riferimenti alla nostra storia repubblicana ed in particolare alla Democrazia Cristiana. Figure come De Gasperi, moro, Andreatta, Donat-Cattin sono stati citati da esponenti di vari settori politici. Penso una bella musica anche per le orecchie di Enrico Letta, che ha avuto il suo battesimo politico nel Movimento Giovanile della DC, e che ha avuto a suo tempo in Nino Andreatta uno dei suoi mentori.  

Citazioni a volte in senso positivo altre volte in senso negativo. E’ tuttavia un segnale importante che dopo due decenni di sbrigativi giudizi sulla “prima repubblica” e sulle sue forze e protagonisti, si cominci ad avvertire la necessita’ di una riflessione obiettiva e serena su un cinquantennio della nostra storia che avra’ avuto certamente difetti, ma che ha rappresentato un esempio di civilta’ politica e istituzionale ben superiore a quanto abbiamo visto dopo.

   L’Onorevole Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia, ha dichiarato di non voler “morire democristiana” e di rimpiangere la cultura dell’alternativa.

   Io la cultura dell’alternativa, cosi’ come l’abbiamo vista nell’ultimo ventennio non la rimpiango certamente: ci ha offerto un disastro dopo l’altro. Democristiano sono nato e, se pur con tutti i difetti,  nulla ho ancora visto di migliore.

Giacche’ non sono poi cosi’ vecchio da pensare urgentemente alla morte, spero di poter vivere ancora un po’, e di poter, se pur in forma rinnovata, tornare democristiano. Quando verra’ il momento che viene per tutti spero, al contrario della Meloni, di poter proprio “morire Democristiano”.

 

Lucca, 1 maggio 2013

 

   

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