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 Virtù repubblicane

di Antonio Polito

Oggi che l'espressione «uomo del secolo scorso» suona quasi come un insulto, bisogna onorarla in Giorgio Napolitano, nato nel 1925, appena sette anni dopo la fine della Grande Guerra, e appena chiamato ad altri sette anni di servizio alla Repubblica, che gli auguriamo duri fino al 2020. Perché è vero che i giovani sono il nerbo di una nazione, ma ci sono momenti in cui anche loro hanno bisogno della lezione dei padri della patria.

Questo è stato, una lezione di virtù repubblicana, il discorso breve, severo, ma intriso di commozione personale, con cui Napolitano non ha parlato al Paese, ma in nome del Paese. Ai parlamentari ha detto: la politica non è uno stato di guerra di tutti contro tutti, è un modo di governare la cosa pubblica; come tutti gli italiani, sono stanco di ricordarvelo; voi non rappresentate qui le vostre fazioni, e nemmeno i vostri elettorati, ma la nazione intera.

Il presidente, pur sempre esplicito, non aveva mai parlato così fuori dai denti. Ha indicato le cause del misero stato attuale nella «lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità» dei partiti. Ha indicato nella «imperdonabile» mancata riforma del Porcellum la causa dell'ingovernabilità, e nella gara per la conquista del suo «abnorme premio» il miraggio che ha incantato il Pd di Bersani, «vincitore che ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza» (del resto anche il vincitore precedente, che nel 2008 aveva ottenuto una ben più solida maggioranza, se l'era vista evaporare nel giro di due anni). Ha poi ricordato al Movimento 5 Stelle che la via del cambiamento non è nella contrapposizione tra Parlamento e Paese, e che tutti i partiti e i movimenti politici sono comunque vincolati «all'imperativo costituzionale del metodo democratico» (frase, almeno quella, che i parlamentari grillini avrebbero fatto bene ad applaudire). Soprattutto Napolitano ha spiegato a tutti, specialmente ai tanti nuovi deputati che in queste settimane hanno più volte dimostrato di non saperlo e a chi li aizza dall'esterno, che la politica democratica consiste nel fare i conti con la realtà del risultato elettorale, e che non se ne può più di questa «sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze»; perché nessun partito ha vinto le elezioni, e d'altra parte in tutti i Paesi d'Europa governano delle coalizioni, talvolta anche tra forze in competizione, o perfino avverse tra di loro. A meno di non voler «prendere atto della ingovernabilità». Ma, alzando la voce, a questo punto Giorgio Napolitano ha aggiunto la frase chiave del discorso: «Non è per prendere atto di questo che ho accolto l'invito a prestare di nuovo giuramento come presidente della Repubblica».

Napolitano formerà dunque un governo. Spetterà alle Camere dargli la fiducia. «Se mi troverò di nuovo davanti a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato - ha concluso - non esiterò a trarne le conseguenze davanti al Paese». Stavolta dispone di un'arma più forte della moral suasion , e la userà.

(dal Corriere della Sera - 23 aprile 2013)

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