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Quale candidato per il Quirinale

di Sergio Fabbrini

Ci sono due approcci radicalmente diversi per affrontare l'elezione del prossimo presidente della Repubblica. C'è un approccio politico e c'è un approccio istituzionale. Il primo interessa molto ai partiti e poco al Paese. Il secondo privilegia gli interessi del Paese a quelli dei partiti. L'approccio politico è finalizzato a raggiungere obiettivi di breve se non brevissimo periodo. I promotori di questo approccio sono certamente divisi tra di loro.

C'è chi vuole arrivare all'elezione del futuro presidente della Repubblica attraverso un accordo tra il Pd e il Movimento 5 Stelle (M5S), c'è chi invece vuole spostare l'asse delle convergenze verso il centro-destra, favorendo un qualche accordo tra il Pd, il Pdl e Lista Civica.
Nel primo caso, avremo un presidente anti-berlusconiano che sosterrà il tentativo del segretario del Pd di andare a chiedere formalmente la fiducia delle camere ad un suo governo. Un tentativo che, anche se non funzionasse e si andasse a nuove elezioni, consentirebbe comunque al segretario del Pd di gestire queste ultime da primo ministro incaricato, così prevenendo la sfida alla sua leadership. Nel secondo caso, avremo un presidente (come si dice) di garanzia, qualcuno che cercherà di ricostruire la collaborazione della vecchia strana maggioranza. Tattiche diverse, ma lo stesso esito: lasciare le cose come stanno.

E il Paese?

L'approccio politico non risponde alla domanda basilare che occorre porsi: cosa si deve fare per mettere al riparo le capacità di governo dell'Italia dalla crisi e dal travaglio dei partiti? Perché è evidente che nessun Paese può permettersi di fermarsi perché i partiti si fermano. Tanto meno può fermarsi un Paese come il nostro che è sull'orlo di una crisi finanziaria incontrollabile per il livello del suo debito pubblico. L'Italia affonda, l'Europa è in una rincorsa continua a chiudere l'una o l'altra falla, il mondo sta creando nuovi rapporti di potere tra continenti - e noi perdiamo giorni e notti a seguire i giochi dei partiti.

Va anche detto che il degrado della democrazia parlamentare italiana è il risultato non solo di una politica irresponsabile, ma anche di una cultura pubblica (in particolare giuridica) arretrata e ideologica che non si è mai preoccupata di come concretamente disincentivare quella irresponsabilità.
Una cultura pubblica divisa tra chi considera la nostra costituzione la più bella del mondo e chi invece la considera poco più che un ferrovecchio, in entrambi i casi senza mai giustificare empiricamente simili affermazioni.
Una cultura pubblica specializzata in battaglie retoriche sui grandi principi costituzionali, ma incapace di comprendere ciò che funziona e ciò che non funziona del nostro sistema di governo.
I cittadini possono «innamorarsi» delle istituzioni quando esse sono in grado di risolvere i loro problemi collettivi, non già quando sono periodicamente paralizzate.

Una crisi straordinaria non si può affrontare in modo ordinario.
Occorre assumere un approccio istituzionale per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Ciò richiede che almeno due condizioni vengano soddisfatte. La prima è di natura personale. La Presidenza della Repubblica non può essere affidata a politici-amateurs, a uomini o donne che sono l'espressione di contingenti stati d'animo dell'opinione pubblica. La Presidenza della Repubblica è l'unica istituzione pubblica che ha tenuto finora insieme il Paese. Ha funzionato come punto di equilibrio non solo e non tanto tra forze politiche contrastanti al nostro interno, ma anche e soprattutto tra le esigenze dell'Italia e quelle dei nostri partner europei e internazionali. Per questo motivo, il presidente della Repubblica deve essere persona di esperienza internazionale e nazionale, uomo o donna in grado di garantire, almeno, quei punti di equilibrio.
La seconda condizione è invece di natura costituzionale. La Presidenza della Repubblica deve essere il fulcro su cui ricostruire la capacità di governo del Paese. La crisi dei partiti e la paralisi del parlamento hanno mostrato l'urgenza di individuare nuove strade per garantire all'Italia una capacità decisionale efficace e legittima.

L'elezione del presidente della Repubblica può fornire l'occasione per iniziare la nuova strada. La divisione non deve essere tra chi vuole un presidente spostato sul M5S o sul Pdl, ma tra chi vuole un presidente della palude e chi vuole un presidente impegnato a prosciugarla. All'Italia serve un presidente che si impegni a guidare una riforma del nostro sistema di governo, così da renderlo simile a quello della altre democrazie europee che funzionano. All'Italia serve un presidente che dica con chiarezza che occorre abolire il nostro assurdo bicameralismo, che occorre adottare un sistema elettorale comprensibile dagli elettori, che occorre dare al presidente della Repubblica una legittimità popolare su cui poggiare un governo che funzioni fino a prova contraria. Se i grandi elettori del prossimo presidente della Repubblica assumeranno questa prospettiva, se essi romperanno le righe della disciplina partitica imposta da leader auto-referenziali, se essi useranno l'elezione per dare al Paese un presidente del cambiamento, allora avranno contribuito ad accendere una luce alla fine del tunnel. (dal Sole 24 Ore - 6 aprile 2013)

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