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Ampia risonanza ha avuto la lettera del presidente di Confindustria pubblicata oggi (domenica 24 marzo) da «La Repubblica».
Eccone il testo integrale.

Sistema Italia all'ultima sfida

di Giorgio Squinzi

Caro direttore, il nostro Paese vive un momento che richiede serietà da parte di tutti. Abbiamo bisogno di governo e riforme per l'economia reale. Nell'articolo di ieri a firma di Alberto Statera "L'insostenibile leggerezza dei vecchi poteri forti", crisi economica e baraonda politica sono descritti come gli alleati micidiali che minacciano l'economia reale del Paese. È vero, su questo sono d'accordo con Statera.

Io sono stato chiamato a guidare un'organizzazione fatta di donne e uomini che creano quell'economia e quel valore. Da questa crisi generale si sentono minacciati quanto mai era stato in passato. Tutti nello stesso modo ormai grandi e piccoli. Si trascura un dettaglio: le imprese contro quella crisi combattono ogni giorno, incuranti dei presunti intrighi del capitalismo relazionale, dei loro piccoli o grandi conflitti di interesse e degli "spettacoli più o meno pirotecnici" che offrono puntualmente nei talk show di turno.

Questo è il capitalismo che amo. Quello reale. Quello che ogni giorno si impegna nel nostro paese esporta e, nonostante tutto, conquista nuovi mercati. Uomini e donne che continuano a produrre e a difendere il lavoro, i suoi valori, i territori che animano le imprese. Quello che si rimette in piedi nonostante il terremoto e che resiste alle aggressioni della criminalità organizzata. Quello che combatte contro anacronistiche complicazioni burocratiche, vere barriere agli investimenti. Che sopporta una giustizia dai tempi geologici, un fisco che porta via al lavoro e all'impresa larga parte di ciò che produce. Quello che, posso garantire, prende aerei e parla la lingua del business globale.

Quello che chiede allo Stato e a chi lo rappresenta un fatto di minima civiltà: paghi i debiti per tenere vive le imprese e il lavoro, adesso, non tra sei mesi o un anno, con semplicità e trasparenza. Lo ha ricordato con autorevolezza ben più alta della mia il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al termine del nostro ultimo colloquio.

Declino o meno, il capitalismo reale italiano è una comunità che lotta e difende con i denti quanto tiene ancora in piedi il Paese: le imprese. Forse non fa rumore e notizia, ma continua a dare lavoro. Oggi ci sentiamo un pò come la lancetta piccola dell'orologio. Sembra immobile, ma non lo è ed è la più importante, come diceva il demografo Alfred Sauvy. Tutti sembrano in altro affaccendati, ma mettere a rischio la manifattura italiana vuol dire minare a fondo la coesione sociale e la vita della comunità.

Capisco che siamo poco glamour e di scarso o nullo interesse dei media. Infatti, in un lungo quanto "leggero" excursus, da Cuccia a Zaleski, passando per Geronzi, Bazoli e Chiamparino, con qualche omissione certamente casuale, si stigmatizzano i tratti del capitalismo relazionale italiano. Lo si fa con abbondanza di etichette, nomignoli ed episodi di dubbia credibilità e gusto, spingendosi persino "in limine mortis".

Storie e intrecci estranei al sistema Confindustria. E' vero, perché noi siamo la casa del capitalismo reale. Stiamo cambiando organizzazione e servizi. Senza clamore. Il mio, il nostro interesse per gli intrecci e i retroscena è scarso. Anzi nullo, visti i tempi. Il reddito è tornato ai livelli del 1997. In cinque anni registriamo un milione e mezzo di posti di lavoro in meno. Stiamo perdendo contatto con i paesi guida dell'area euro. Hanno chiuso troppe imprese, per la crisi e per la colpevole disattenzione della nostra classe politica.

L'impresa quando è persa è un capitale sociale che non si ricostituisce. Perciò la mia integrale dedizione è rivolta a tutelare le nostre imprese e a rilanciare l'economia reale del Paese. Da qui dobbiamo ripartire e solo difendendo imprese e lavoro abbiamo la possibilità di rimetterci su un ciclo virtuoso.

Per questo Confindustria ha lanciato il suo progetto per l'Italia, un progetto serio, conti alla mano, realizzabile, fatto di riforme e di terapie d'urto contro il debito e i costi impropri, di rilancio degli investimenti e per la coesione sociale. Per questo Confindustria auspica una responsabilità generosa di tutte le forze politiche e sociali, per dare al Paese un Governo per combattere il perverso matrimonio tra crisi economica e politica. Anche chi ha la fondamentale responsabilità di informare criticamente l'opinione pubblica può contribuire a questo risultato. Mentre risuonano le sirene dei distruttori del sistema ho parlato di approccio a tutti gli uomini di buona volontà per salvare il Paese. L'ho fatto proprio perché credo sia indispensabile richiamare tutte le forze nel far fronte a una situazione mai stata così grave. Per "unire tutti gli organi del corpo" ed evitare un destino che per qualcuno sembra già segnato. Non per noi di Confindustria.

(da La Repubblica - 24 marzo 2013)

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