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Commento introduttivo

Richiamate dal tam-tam della solita parte della sinistra, nel pomeriggio odierno si raduneranno centinaia di manifestanti in varie citta' italiane, per chiedere l'ineleggibilita' di Silvio Berlusconi.
Iniziativa che, ancora una volta, attesta una pericolosa propensione verso una deriva intimamente antidemocratica, secondo cui laddove non si riesce a sconfiggere l'avversario sul terreno politico, occorre comunque farlo attraverso qualsiasi altra scorciatoia.

Cercando di approfondire l'argomento, occorre anzitutto rrivolgere lo sguardo agli strumenti giuridici richiamati, quindi in particolare all'Articolo 10 del Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (pubblicato in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., n. 139, del 3 giugno) Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, che cosi' testualmente recita:
"1. Non sono eleggibili inoltre:
1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l'obbligo di adempimenti specifici, l'osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta;
2) i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato;
3) i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l'opera loro alle persone, società e imprese di cui ai nn. 1 e 2, vincolate allo Stato nei modi di cui sopra.
2. Dalla ineleggibilità sono esclusi i dirigenti di cooperative e di consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri di Prefettura."

Pur non essendo esperto nella materia, quindi necessariamente tributario a pareri piu' qualificati del mio, mi sembra che sia estremamente difficile l'applicazione di una tale normativa al caso specifico, sia perche' le concessioni televisive (nemmeno immaginabili al tempo della formulazione della disciplina) difficilmente possono essere ricondotte alle fattispecie previste, sia per i sottili ed intrigati assetti societari che, non raramente, consentono di aggirare gli ostacoli.

Ma e' sul terreno politico che l'iniziativa attesta ancora una volta la intrinseca debolezza di chi, incapace di vincere nelle urne, cerca di ricorrere a scorciatoie non avendo ancora compreso che queste finiscono per ottenere l'effetto contrario.

Chiarisco subito che non ho alcun intento assolutorio verso Silvio Berlusconi, che reputo il primo responsabile del fallimento del progetto politico che sarebbe dovuto approdare alla formazione di una forza moderna inserita nell'alveo della storia e della cultura del Partito Popolare Europeo. Progetto di cui ancora si avverte il bisogno, e nel quale ancora mi riconoscerei.
Ribadisco che proprio Berlusconi, naturalmente a mio modo di vedere, e' stato la prima causa del fallimento del progetto, del quale si e' peraltro strumentalmente servito per costruire le sue fortune elettorali.
Progetto che ha raccolto ripetutamente i consensi della maggioranza degli elettori italiani poiche' e' stato visto come una delle opzioni atte a dare una risposta al bisogno di cambiamento fortemente avvertita da decenni in ampi strati sociali. Istanze ignorate da molteplici parti, fra queste principalmente da una sinistra conservatrice ed ancorata a visioni ideologiche passate e comunque minoritarie. Un deficit politico che non si vuole - o non si ha la capacita' - di ammettere, con la conseguente ricerca di cause autoassolutorie dei propri fallimenti, quali il controllo delle televisioni, l'imbambolamento degli elettori, la loro ignoranza e via dicendo.

Atteggiamenti di arroganza e supponenza, che infastidiscono, e che, se poi si saldano con certe iniziative di parti di un fondamentale potere dello Stato quale la magistratura inquirente che e' difficile non leggere come eccessive, quanto meno nelle scansioni temporali, finiscono per dare il piu' potente viatico ai successi elettorali di Berlusconi.
Pur con tutta la cautela del caso, i sondaggi pubblicati in questi ultimi giorni ne sono la cartina di tornasole.

In democrazia, e' sul terreno politico che si combattono le battaglie, come sostiene l'autore dell'articolo che di seguito viene integralmente proposto ai nostri gentili lettori.

Paolo Razzuoli

 

 Ineleggibilita'. L'avversario politico cancellato per legge

di Pierluigi Battista

Reclamare oggi l'ineleggibilità di un cittadino di nome Silvio Berlusconi, già eletto nel Parlamento italiano per ben sei volte dal '94 ad oggi, può apparire un esercizio surreale. Il passato non può essere smontato a piacimento e la realtà non può essere piegata ai propri desideri. Oggi scenderanno in piazza per chiedere a una legge di controversa interpretazione di operare come fa la magia nei racconti per l'infanzia: far sparire d'incanto i cattivi, abolire la realtà dolorosa con appositi rituali.

In termini più adulti, cancellare d'imperio il nemico politico dichiarandolo inesistente. Una scorciatoia puerile, ma anche la premessa di un micidiale errore politico. Perché l'invocazione dell'ineleggibilità di Berlusconi non è solo riesumata da una frangia di oltranzisti dediti alla sistematica delegittimazione politica e persino etica di chi viene dipinto da decenni come l'incarnazione del Male. No, stavolta trova ascolto anche tra gli esponenti di un Pd ancora traumatizzato dalla travolgente avanzata grillina, e che tenta di ritrovare in un più pugnace intransigentismo antiberlusconiano la consolazione di un'identità antagonista oramai appannata. Berlusconi era dato per finito prima delle elezioni. Ma le cose sono andate diversamente, e allora si richiede la sua fine per via legale. Si dirà: sia pur tardiva, la riscoperta di una legge del '57 (quando la tv commerciale era ancora fantascienza) è pur sempre un doveroso atto di omaggio al principio di legalità e le leggi devono essere applicate.

Ma la sua applicabilità al caso di Berlusconi non è così incontrovertibile, come sostengono illustri giuristi e costituzionalisti certamente non sospettabili di debolezze filoberlusconiane, e come dimostrano ben tre voti parlamentari, due all'interno di legislature a maggioranza di centrodestra, ma una a maggioranza di centrosinistra. Del resto, la stessa recriminazione molto frequente nella sinistra di non aver saputo o potuto varare una legge sul conflitto di interessi dimostra che, da sola, quella norma del '57 non è così chiara. E allora, che senso ha riesumarla oggi? E quali pericoli può procurare alla politica italiana, la riscoperta di un provvedimento inevitabilmente destinato a scatenare la rivolta dell'elettorato di centrodestra?

Il perché è contenuto nell'eterna tentazione di imboccare la scorciatoia della legge per non dover ammettere i propri errori e le proprie clamorose manchevolezze. Spingere in modo compulsivo sul tasto dell'ineleggibilità rafforza l'impressione che le sconfitte politiche ed elettorali di questi ultimi vent'anni siano il frutto di un inganno e che il consenso incassato in modo così massiccio e reiterato da Berlusconi sia dovuto alla posizione dominante del leader di centrodestra nel possesso delle reti televisive. Sarebbe sciocco negare il peso della tv nell'orientamento delle scelte elettorali. Inoltre non si può negare che una democrazia liberale viva di contrappesi, di pluralità, di forze non smisuratamente diseguali in termini di potenza comunicativa e di ricchezza. Ma il possesso berlusconiano delle tv è anche stato il più potente alibi autoconsolatorio e autoassolutorio per le ripetute sconfitte della sinistra in ben sei tornate elettorali, lungo l'intero arco temporale della Seconda Repubblica. Berlusconi vince perché è il padrone dell'etere: ecco il grande autoinganno dei perdenti nel corso di vent'anni. Non ci sono meriti e demeriti, colpe e responsabilità. C'è solo l'autovittimizzazione, molto simile a quella dei tifosi di una squadra sconfitta che si sentono vittime di un sopruso arbitrale.

Ma la politica non è una partita di calcio giocata sugli «episodi», come si dice in gergo. E oggi ancora una volta la tentazione della scorciatoia legale e giudiziaria tradisce il desiderio di chiudere con il «berlusconismo» non per effetto di una chiara vittoria politica, ma per vie più sbrigative. Da qui anche una certa venefica impazienza che circola nelle file del Pd e che ha spinto un esponente del partito autorevole come Migliavacca a giocare nientemeno con l'ipotesi di un «arresto» di Berlusconi peraltro smentito dagli stessi inquirenti che hanno messo sulla graticola il leader del centrodestra. Ecco perché imboccare la via estremista della richiesta perentoria dell'«ineleggibilità» di Berlusconi, proprio alla vigilia di consultazioni delicatissime per la formazione del nuovo governo, sembra più un esorcismo che una razionale scelta politica. Un errore grave. E anche un sintomo di regressione culturale.

(dal Corriere della Sera - 23 marzo 2013)

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