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Speriamo che la storia possa insegnarci qualcosa

di Paolo Razzuoli

Nelle riflessioni con cui ho accompagnato gli ultimi scritti pubblicati da Fucinaidee, ho ripetutamente posto l'accento sulla pericolosita' dell'attuale situazione del Paese per la tenuta della coesione sociale e delle istituzioni democratiche.
Pur nella diversita' degli scenari, ad una seria analisi non possono sfuggire alcune similitudini con altri periodi della nostra storia, che hanno avuto esiti nefasti: mi riferisco evidentemente alla fase che ha seguito la prima guerra mondiale e la sua conclusione con l'avvento del fascismo.
Poiche' da piu' parti mi e' stato detto che tale raffronto risulta esagerato, cerco di riassumerne gli elementi di analisi.

IL primo dopoguerra vide una profonda frattura degli assetti sociali su cui si era poggiata la societa' italiana dal momento della costituzione dello Stato unitario. La guerra segna di fatto la fine del XIX secolo e l'avvio di una nuova epoca che la vecchia classe liberale mostro' di non saper capire, quindi ovviamente nemmeno governare.
Crisi politica e crisi economica furono le due facce dello smarrimento della societa' italiana che le forze politiche democratiche, profondamente divise, non riuscirono a fronteggiare, agevolando in tal modo l'avvento di un regime antidemocratico.

Anche oggi la societa' italiana vive una fase di profondo smarrimento. La crisi che stiamo vivendo non e' solo di natura economica: e' una emergenza anzitutto di natura etica, che sta minando gli elementi connettivi di base del nostro essere comunita' nazionale. Anche ora, crisi economica e crisi politica si saldano in una miscela esplosiva, di cui l'esito elettorale e' un chiaro portato, e che potrebbe riservarci effetti dirompenti.
Cosi' come la prima guerra mondiale segno' la fine di un'epoca, non mi pare azzardato affermare che la crisi economica che stiamo oggi vivendo segna anch'essa la fine di un'epoca. Infatti, dopo il sessantennio di crescita che, se pur con picchi diversi, ha segnato la storia italiana, europea e piu' in generale del mondo capitalistico occidentale, siamo immersi oggi in una fase di recessione, sostanzialmente determinata da ragioni spiccatamente strutturali, pertanto non affrontabili con i vecchi strumenti e le vecchie categorie di pensiero.

Un noto politologo tedesco afferma che "Il capitalismo democratico ha bisogno della crescita come il socialismo reale aveva bisogno della repressione".
cosa accadra' se la crescita come l'abbiamo conosciuta negli ultimi decenni non risultasse piu' possibile?

Come ben si vede siamo immersi in uno scenario di fragilita' complessiva, destinato a rendere ancor piu' delicata la vicenda italiana, anche oggi avviluppata nella spirale di una crisi economica e di una crisi politica.
Un senso di insofferenza degli elettori che si e' tradotto in scelte sbagliate, populiste e demagogiche, di cui sarebbe pero' micidiale sottovalutare le cause: vale a dire l'incapacita' della politica di saper dare risposte al bisogno di cambiamento che, ormai da decenni, fortemente proviene dalla societa' nazionale.

Anche nel primo dopoguerra la politica non fu incapace di interpretare il bisogno di rinnovamento?
E' su questo terreno che puo' essere vinta la battaglia. Troppe istanze, peraltro ben note e ampiamente condivise, sono state ignorate. E' sul terreno delle riforme e del rinnovamento che si potra' vincere la battaglia contro i populismi, creando cosi' le condizioni per ricreare quel tessuto di condivisione necessario per affrontare seriamente le sfide con cui dovremo inevitabilmente misurarci.

Entrando nel dettaglio dei fatti di questi giorni, mi pare che sussista piu' di qualche elemento di preoccupazione.
Visti i risultati, e' chiaro che la prima responsabilita' ricade sul Pd, vincitore/non vincitore delle elezioni. Perplessita' suscita la linea che il segretario ed il gruppo dirigente del Pd stanno tenendo nei confronti del M5S, sottovalutando i veri caratteri del movimento. Il segretario e il suo gruppo dirigente si muovono infatti come se fossero convinti che i voti del Pd e quelli del Movimento 5 Stelle siano interscambiabili. Gli appelli degli intellettuali di area ne sono la prova. L'idea è che, in realtà, la sinistra ha vinto le elezioni, solo che si è divisa a causa dell'eccessiva timidezza del Pd. Basta dunque riunificarla sotto le bandiere di un maggiore radicalismo. E se Grillo non ci sta a mettersi nel corso della Storia, il popolo capirà, e i voti in libera uscita torneranno all'ovile.

Tesi che ritengo errata, vuoi per la natura antidemocratica del M5S, vuoi per la natura dei consensi ricevuti, in parte certamente di un elettorato di sinistra, ma molti anche provenienti da altri settori, giustamente esasperati dal fallimento di opzioni precedentemente percorse.

La strada non e' quella di cercare una maggioranza con qualche offerta di incarichi o con qualche scilipotismo. La strada e' quella di imboccare un autentico cammino di rinnovamento: una strada per la quale Ne' Bersani ne' il suo gruppo dirigente posseggono gli strumenti, prigionieri come sono di una impostazione ereditata da una stagione che ormai ha inesorabilmente fatto il suo tempo.
Sono convinto che in prospettiva l'unica via di uscita e' quella proposta da Matteo Renzi, vale a dire quella di saper interpretare, con vocazione di governo e in un quadro europeo, le giuste istanze di rinnovamento non piu' eludibili.
Certo non si potra' tornare alle urne con questa legge elettorale e senza aver fatto alcune riforme capaci di dare alla gente un segnale forte. Anche qui, la proposta di Renzi di destinare le risorse dei partiti all'edilizia popolare potrebbe essere un forte segnale della volonta' di voltare pagina.

Ma sara' molto difficile affrontare tali nodi al di fuori di un quadro di ampia condivisione e solidarieta'. Solidarieta' che presuppone il superamento di veti, di antagonismi esasperati, di "anti" questo o quello di cui si e' alimentata la cosiddetta seconda repubblica e che sembrano anzi vivere una stagione di recrudescenza.

I segnali non sono incoraggianti e sembra proprio che la storia non ci abbia insegnato nulla.
Speriamo che Giorgio Napolitano, fortunatamente ancora al Colle se pur ormai agli ultimi giorni del suo mandato possa, grazie alla sua saggezza, alla sua esperienza e al suo incomparabile senso dello Stato, indicare al Parlamento una strada coerente con i bisogni dell'intera comunita' nazionale.

Lucca, 12 marzo 2013

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