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La via della manifattura e la lezione Usa

di Mario Platero

Modello di austerità alla tedesca o modello di crescita americano? Su questo interrogativo si è dibattuto a lungo. I dati usciti ieri danno ragione al modello americano. In febbraio l'economia statunitense ha creato 236mila nuovi posti di lavoro e il tasso di disoccupazione è sceso al 7,7 per cento. Colpisce un dato fornito da Alan Krueger, il capo dei consiglieri economici della Casa Bianca: negli ultimi tre anni l'America ha creato 500mila nuovi posti di lavoro nel settore manifatturiero, il risultato migliore dal 1986.

Il rinascimento dell'industria è diventato uno degli elementi più interessanti di questo rialzarsi dell'America dalla "grande recessione".
La notizia simbolo? La Apple già alla fine del 2012 annunciava il ritorno negli Usa di alcune produzioni di hardware affidate da molti anni alla Cina. Quel che sfugge, nel confronto transatlantico, è che l'America ha avuto a sua volta un incisivo programma di “austerità”. Ma è stato un programma che ha poggiato sulle componenti di flessibilità del modello americano e non su aumenti di tasse che avrebbero stritolato la domanda e messo in ginocchio il Paese, ben al di là di quello che è successo con le ristrutturazioni aziendali. Il risultato, a quattro anni dal momento più buio della crisi finanziaria, lo vediamo non solo nella ripresa dell'occupazione manifatturiera, ma in numerosi altri indicatori.

I profitti aziendali vanno ormai straordinariamente bene da alcuni anni, le banche americane hanno ritrovato un loro equilibrio e migliorato la posizione di capitale, il settore immobiliare si è stabilizzato e ha mostrato già a partire dalla metà dell'anno scorso segnali di ripresa; pur non avendo raggiunto un compromesso politico, Washington è riuscita a mettere lo stesso in cantiere tagli lineari della spesa pubblica per 1.200 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni. Infine, martedì scorso, il nuovo record dell'indice Dow Jones che ha chiuso il cerchio per sancire il rilancio dell'economia americana.

Il dato di ieri conferma che l'economia nel suo insieme continuerà' a crescere nel corso del 2013 a ritmi relativamente soddisfacenti, attorno al 2-2,5 per cento. È vero che i tagli lineari alla spesa pubblica potrebbero creare 500mila nuovi disoccupati nel corso dell'anno, ma è anche vero che l'impatto complessivo dei tagli alla spesa pubblica sul tasso di crescita non supererà lo 0,5 per cento.
Un messaggio, dunque, molto chiaro quello che giunge dall'America, destinato all'Europa e all'Italia in particolare, ancora alla ricerca di un governo e di un programma economico: è giunto il momento di pensare seriamente a togliere il “tappo” che chiude la crescita e puntare agli stimoli, anche fiscali, per il settore privato e per l'industria in particolare.

Se la ricerca presentata al Forum Ambrosetti di Cernobbio conferma che in Europa il peso del manifatturiero resta superiore a quello degli Stati Uniti, con il 19% contro il 15%, è anche vero che oltre Atlantico la tendenza è al rilancio della manifattura, mentre da noi si potrebbe, e dovrebbe, fare molto di più.

(dal Sole 24 Ore - 9 marzo 2013)

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