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Commento introduttivo

Tutti sanno che a forza di tirare la corda prima o ppoi si strappa.
ebbene, cio' che e' successo nelle urne il 24 e 25 febbraio era facilmente prevedibile, e da molti era stato delresto previsto.
Solo le tetragone menti della nostra classe politica - salvo ovviamente qualche eccezione - non lo avevano capito.

Sono ormai decenni che si cerca di mettere una cappa di piombo su tutti i vari tentativi fatti per modernizzare il Paese.
Tentativi spesso guardati con un senso di supponenza dalle solite vestali del "politically correct" sempre pronte a giudicare come "minus habens" tutti coloro che cercavano di esprimere un pensiero divergente.

Ostracismo e' cosi' toccato a chi ha sostenuto la necessita' di rivedere la seconda parte della Costituzione, a chi ha posto la necessita' di un ripensamento sul ruolo dell'apparato burocratico - di sovente arrogante - che considera i cittadini come sudditi, un ripensamento sul ruolo di istituzioni di governo tese ad occupare la societa' anziche' organizzarla e guidarla, a chi ritiene che sia indispensabile correggere il caos che ormai regna fra i poteri dello Stato e via dicendo.
Una sordita' a qualsiasi seria istanza di cambiamento che ha afflitto una classe politica che si e' costruita nel tempo un recinto di privilegi assolutamente inaccettabili, che si e' ipertrofizzata in modo spaventoso parallelamente ad un complice apparato pubblico, che ha cercato di autoproteggersi con una legge elettorale democraticida che tutti hanno dichiarato di voler cambiare salvo poi compiere ogni azione possibile affinche' cio' non avvenisse.

I segnali che da anni provengono dal Paese non lasciavano alcun dubbio su cio' che sarebbe successo: tante volte lo abbiamo anche scritto sulle pagine di questo sito.
Il presidente Giorgio Napolitano ha fatto il possibile per stimolare il Parlamento almeno a riformare la legge elettorale, ma anche i suoi appelli sono caduti nel vuoto.
Altro fronte su cui occorreva intervenire con massima urgenza era quello di un drastico ridimensionamento dei costi della politica: niente da fare, le ragioni della casta lo hanno impedito.

Una possibilita' di contenere la protesta e la ribellione (cio' significa infatti il voto a M5S), era quella della proposta di Matteo Renzi, che pero' e' stata mortificata mediante la mobilitazione di un apparato obsoleto e arrugginito.

Certo la rabbia degli italiani si e' tradotta in una scelta elettorale sbagliata, pericolosa, irrazionale, impraticabile quale opzione di governo. Delresto la storia ce lo insegna ampiamente: quando la frattura fra societa' e istituzioni oltrepassa, come ormai da noi, il livello di guardia, le soluzioni irrazionali portatrici di inquietudini sono sempre dietro l'angolo.
Pur nella diversita' di contesto, non e' qualcosa di simile che ha costituito il terreno di coltura del fascismo?

Intendiamoci bene, le responsabilita' sono di tutti.
Ora il sentiero e' strettissimo, ma penso che l'unica strada capace di farci uscire dal tunnel sia quella di una seria intesa delle forze politiche con vocazione di governo su un programma di alcuni punti fortemente riformatori, che possano, in tempi brevi, far rientrare un voto di rabbia, che sarebbe sbagliato interpretare come adesione ad un progetto politico inesistente, quale quello di M5S.
Attenzione! Circa novanta anni fa qualcuno si illuse di poter "costituzionalizzare" un movimento che ne era al di fuori. Sarebbe stato molto meglio contrastarlo in modo compatto. Si e' visto come e' andata a finire, cosi' come si conoscono gli effetti prodotti dal prevalere delle divisioni fra le forze allora in campo.
Oggi il contesto e' sicuramente diverso, a partire dal fondamentale fatto che siamo all'interno di istituzioni europee. Non per questo gli esiti della rottura della coesione sociale e della fiducia fra societa' e politica, se pur certamente diversi da quelli sinora conosciuti dalla nostra storia unitaria, potrebbero essere meno drammatici.

Troveranno le forze politiche piu' responsabili questa capacita' di coesione in uno slancio di assunzione piena di responsabilita' cosi' come esige la gravissima attuale condizione del Paese?

Su questo interrogativo e dopo queste riflessioni, offro ai lettori di Fucinaidee un interessante contributo di Ernesto Galli della Loggia che, come di consueto, focalizza mirabilmente la situazione.

Paolo Razzuoli

M5S, il voto e quell'Italia insoddisfatta che da quarant'anni cerca di cambiare

di Ernesto Galli Della Loggia

Nell'interpretazione che viene data del massiccio consenso elettorale ottenuto dal Movimento 5 Stelle si nota spesso un fraintendimento: cioè l'assunto che votare per M5S abbia significato aderire al programma del movimento stesso o, ancora di più, confidare nelle capacità di leadership politica di Beppe Grillo. Sicché ci si chiede scandalizzati come sia stata possibile questa apertura di credito da parte di tanti pur dotati di qualche giudizio.

Non sapendo darsi una risposta, allora, secondo un antico costume nazionale, si avanza immediatamente il sospetto di opportunismo, trasformismo, «voltagabbanismo», e quant'altro.
A mio giudizio chi vede le cose a questo modo si condanna a capire poco o nulla della storia recente e meno recente d'Italia. A non capire un dato di fondo: che c'è una generazione d'Italiani, c'è una parte del Paese, la quale già a partire dalla fine degli anni Settanta si accorse di quattro fatti che solo ora, dopo decenni, stanno entrando nella consapevolezza di tutti.
Questi:
a) che il sistema di governo sancito dalla seconda parte della Costituzione, nonché la legge elettorale proporzionale, erano ormai del tutto inadeguati ai bisogni del Paese;
b) che esisteva un fenomeno come la partitocrazia, responsabile non solo di aver distorto profondamente il funzionamento del sistema suddetto ma anche di un malcostume e di un malgoverno sempre più vasti e opprimenti;
c) che la Democrazia cristiana stava esaurendo la sua originaria spinta propulsiva e la sua funzione di salvaguardia democratica;
d) che la presenza egemone a sinistra del Partito comunista equivaleva alla perenne subalternità della sinistra italiana, e cioè che con il Pci questa sinistra non avrebbe mai vinto un'elezione, non sarebbe mai andata al governo.
Quella parte del Paese, insomma, vedeva con molto anticipo che un'intera fase storica - la fase del dopoguerra - andava ormai terminando, pur potendo continuare a contare sull'immane forza di una vischiosa continuità. E che dunque era necessario imboccare strade nuove.

Da allora - dapprima esigua, poi negli anni sempre più numerosa - quell'Italia del cambiamento è alla disperata ricerca del modo in cui riuscire finalmente a mutare lo stato delle cose: di uno strumento, di un'idea, di un varco. Ed è così che da allora quella parte del Paese, e con lei una fascia generazionale d'Italiani, di volta in volta ha guardato con simpatia al Partito radicale, ha sperato in Craxi, si è schierata con le iniziative referendarie di Mario Segni, ha cercato di capire le ragioni della Lega, ha puntato inizialmente su Berlusconi. Così come adesso fa un'apertura di credito a Grillo. Ma vogliamo dirlo? Non identificandosi mai, realmente, con le scelte di volta in volta compiute. Vedendone benissimo limiti e contraddizioni, ma sperando sempre, se si vuole illudendosi di servirsene strumentalmente: come una sorta di grimaldello.

Ingenuità? Certo, ingenuità. È facile dirlo (dirlo ieri e dirlo oggi), ma l'alternativa quale era? Una sola, evidentemente: stare dall'altra parte. Dalla parte, cioè, che fino ad oggi ha resistito o si è opposta ogni volta al cambiamento, o vi si è adattata solo perché non poteva altrimenti; di chi ha dovuto aspettare la caduta del muro di Berlino per decidere di non dirsi più comunista; dalla parte che ha preferito vedere la Dc disintegrarsi piuttosto che fare qualcosa prima; che fino a ieri giurava sull'intangibilità della Costituzione; dalla parte di chi a suo tempo (per quanto tempo!) giudicava una bestemmia qualunquistica parlare di partitocrazia; di chi per decenni non ha mai fatto nulla di concreto, mai nulla, per arginare corruzione e sperperi di misura inaudita. Ma che naturalmente - proprio come sta facendo anche oggi - ogni volta non mancava di arricciare il naso atteggiandosi a custode del bon ton politico, esibiva la propria educata compostezza di Padre Fondatore di fronte alla sgarbata impertinenza dei nuovi venuti, impartiva a destra e a manca lezioni di coerenza. L'Italia del cambiamento, così, si è dovuta (e si deve) sentire dare dell'opportunista e del voltagabbana da chi in quarant'anni è passato tranquillamente dal Pci di Togliatti e Longo al Pd di Bersani ma è convinto che però lui no, per carità, lui non ha mai cambiato idea! Solo gli altri fanno queste cosacce.

Un'Italia del cambiamento, irrequieta, sempre divisa, destinata regolarmente a vedere le sue speranze deluse per mille motivi, tra cui non da ultimo l'inadeguatezza dei partiti e degli uomini cui è stata fin qui costretta ad affidarsi. E molto probabilmente sarà così anche stavolta, con gli sprovvedutissimi parlamentari del M5S e con il loro capo. «Ma non era ogni volta prevedibile?» - mi sembra già di sentire chiedere dall'immancabile censore. Sì, forse sì: era prevedibile (e anche previsto, aggiungo). Ma almeno un dubbio, una sia pur tenue possibilità ogni volta c'era. Mentre dall'altra parte che cosa c'era ancora alla vigilia delle ultime elezioni?
Il tetragono immobilismo di chi in dodici mesi non aveva trovato il modo di cancellare una legge elettorale nefanda o di avviare la minima riforma istituzionale, l'insensibilità di chi in un anno intero non aveva mosso un dito per tagliare davvero costi e privilegi della politica, neppure per abolire una manciata di province. E come sola alternativa accreditata la presunzione che per governare bastino i conti in ordine.
Prigioniera di un lungo passato, tramutatosi in un eterno e soffocante presente, l'Italia del rinnovamento ha preferito chiudere gli occhi. E fare un salto nel buio.

(dal Corriere delle Sera - 8 marzo 2013)

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