logo Fucinaidee

Questo contributo e’ pervenuto a Fucinaidee al ridosso della tornata elettorale. Si e’ ritenuto opportuno non pubblicarlo prima delle elezioni, considerando che le valutazioni in esso espresse, su vari punti divergenti dalla linea da noi proposta, potessero generare disorientamento nella valutazione del nostro pensiero.

Lo pubblichiamo oggi lunedi’ 25 febbraio, alle ore 15, quindi a urne chiuse e ancora senza conoscere alcun dato circa le volonta’ espresse dagli elettori.

Tra qualche ora sapremo se le valutazioni sviluppate dall’autore dell’articolo hanno trovato o meno la condivisione degli italiani.

Paolo Razzuoli

  

 

Il Governo “tecnico” dei Professori: che occasione sprecata!

 

Di Luigi Pinelli

 

1 - Il Governo “tecnico” dei Professori: che occasione sprecata!

 

         Dal dopoguerra ad oggi non era mai capitato che un Governo fosse accolto dalla opinione pubblica con un favore così ampio - anche a livello di partiti, seppure obtorto collo - come quello riservato alla compagine guidata dal prof. Monti.

Allo stesso modo, però, raramente è capitato che un esecutivo abbia fatto assistere - a detta di molti - ad un degrado e ad una involuzione tanto ampi e rapidi come quelli a cui è giunto il Governo tecnico nel quale la maggior parte degli italiani aveva riposto tante speranze.

La delusione, inevitabile, è particolarmente cocente perché quei Professori che potevano fare senza spargimenti di sangue una irripetibile rivoluzione epocale stanno invece per lasciare il Paese in balìa delle ingiustizie e degli stessi ordinamenti ormai condannati da decenni dì infruttuose sperimentazioni.

La stroncatura, naturalmente, va motivata ma non può essere evitata soltanto perché apparentemente il Governo tecnico non avrebbe avuto alternative o perché il Professore che lo presiede, convinto che le scelte del suo Governo siano state sempre giuste, che le colpe siano sempre degli altri e che le osservazioni e le critiche facciano soltanto salire lo spread, non perde occasione per “rinfacciarci” di averci salvato dal baratro, mostrando con evidente alterigia di non gradire né i rilievi degli esperti né il dissenso della gente comune.

Che anche la casalinga di Voghera possa avere confusamente l’impressione, seppure con un notevole atto di fede, che almeno per l’immediato i professori abbiano dato in qualche modo una aggiustatina ai conti dello Stato, può starci, seppure con tutte le riserve dovute al fatto che il ripiano del disavanzo sarebbe stato realizzato per l’ottanta per cento con tasse e solo per il venti con tagli alle spese correnti.

Che invece il pareggio del bilancio sia stato raggiunto attingendo dalle fonti giuste è impossibile affermarlo e non occorre essere degli economisti per rendersi conto come a tal proposito il Governo tecnico abbia sostanzialmente deluso, e non solo in tema di IMU.

 Colpendo indiscriminatamente, infatti, non si fa onore all’articolo 53 della Costituzione secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, fingendo di non vedere la miseria, perché la miseria, quando è miseria davvero, la intendono tutti: anche i ragazzi. (Carlo Collodi). E “i ricchi, quelli che. guadagnano più di duecentocinquantamila euro all’anno devono pagare più tasse, altrimenti le tasse dovranno salire per tutti”. (Barak Obama – 9.11.2012)

Di fronte alle osservazioni, invece, il Professore alla guida del Governo si limita invece a ripetere “non voglio essere amato ma che il governo sia credibile e rispettato”, con una evidente  insofferenza a qualsiasi critica.

Giusto. Ma “il rispetto non si pretende, lo si ottiene”. Perché se qualcuno ritiene di convincere a chiacchiere che anche se la ripresa non si vede nei numeriessaè dentro di noi, quanto a credibilità fa venire in mente il film in cui Totò, giunto a Milano vestito da eschimese senza trovarvi la nebbia che credeva dovesse avvolgere permanentemente la città, cercava di dare a bere al compare Peppino che “a Milano la nebbia c’è ma non si vede”.

Purtroppo, quando “Rete imprese Italia” della Toscana fa sapere - deducendone come siano precipitati i consumi - che il saldo mortalità-natalità porta a centomila il numero delle imprese produttive o commerciali chiuse da un giorno all’altro nell’anno 2012, è facile capire, anche senza aver frequentato la Bocconi, che è assai probabile che di ripresa non si possa  parlare nemmeno per il 2013 e quanto sia più che probabile, se non addirittura certo, che a soffrirne saranno soprattutto i meno abbienti ed i disoccupati..

Peccato dunque che un Governo tecnico, con tante cose da fare con urgenza, abbia invece perso tempo trastullandosi ad esortare di non essere “Choosy  (pignoli) nella scelta del primo lavoro", a proclamare che “il posto fisso è noioso”, che “non siamo qui per distribuire caramelle” ma che “vogliamo cambiare il modo di vivere degli italiani”, che “se diamo il reddito minimo di cittadinanza i giovani disoccupati si siedono a mangiare pasta e pomodoro”e che “gli esodati sono un costo della riforma delle pensioni”, con la interessata ammirazione di certi commentatori pronti a respingere qualsiasi critica perché le critiche farebbero alzare il famigerato “spread”.

Forse hanno ragione proprio coloro che sostengono che il Governo Monti non sia in realtà un Governo “tecnico” ma piuttosto un Governo “teorico” composto, più che da “tecnici” muniti di effettive conoscenze pratiche, da “teorici” sprovvisti, ancorché di alto livello, di adeguate esperienze concrete e poco propensi ad ascoltare gli altri.

 

2 - “E possibile concepire qualcosa di più orribile del governo dei professori?”

(G. Sorel, Le procès de Socrate)

Storicamente, per governo tecnico si intende un “governo senza una specifica colorazione politica, generalmente guidato da personalità dotate di specifiche competenze tecniche ma politicamente al di fuori della mischia e come tale in grado, in situazioni d'emergenza, di coagulare “obtorto collo” il temporaneo appoggio di quasi tutte le forze politiche per l’adozione dei provvedimenti di immediata necessità ed urgenza, fino a nuove elezioni”.

Di fatto, il ricorso al Governo tecnico - determinato dall’urgenza e quindi sostanzialmente forzato - anziché a nuove elezioni equivale per tutti ad un “o bere o affogare” che comporta, anche se non formalmente, una sospensione del principio democratico che regge la vita degli Stati occidentali moderni, così come essi si sono formati a partire dalla guerra di indipendenza americana e dalla rivoluzione francese.

In passato, tale forma di governo è stata spesso fortemente osteggiata, non solo per la predetta riserva di fondo ma anche o soprattutto per interessi di parte, come attesta il severo giudizio di un leader politico del nostro paese di tanti anni fa i cui eredi proprio oggi si ritrovano invece sulla sponda dei più convinti sostenitori della attuale esperienza del genere.

“I governi cosiddetti tecnici o amministrativi sono i peggiori governi politici che si possa immaginare. Il loro scopo è quello di fare il contrario di ciò che la sovranità popolare ha indicato, sono antipopolari e reazionari”, affermava infatti ai suoi tempi Palmiro Togliatti.

Prima di lui, ancora più duro era stato il giudizio attribuito al politologo francese Georges Sorel, che semplicemente si domandava, senza incertezze: è possibile concepire qualcosa di più orribile del governo dei professori?”.

Nonostante le stroncature riservategli in linea di principio, il Governo tecnico ha avuto in Italia diverse repliche nei Governi Pella (anni cinquanta), Tambroni (anni sessanta) e, più recentemente, nei Governi Dini, Amato e Ciampi, tutti - tranne il Governo Tambroni - almeno “sopportati” con rassegnazione come il male minore.

L’attuale Gabinetto ha visto invece la luce nel novembre del 2011 - dopo la lettera della BCE di Draghi dell’agosto -  su iniziativa del Capo dello Stato, in sostituzione del Governo politico scioltosi per la rottura delle alleanze tra i singoli partiti che lo avevano costituito.

            Ricorrendo a tale soluzione, il Presidente della Repubblica ritenne, dopo brevi consultazioni con le forze politiche, di individuare nel Professor Monti, benché privo o proprio perché privo di mandato elettorale, la personalità super partes cui affidarne la guida.

Per l’espletamento della funzione, il Professore fu dunque personalmente compensato addirittura in anticipo - rispetto all’inizio, alla durata ed all’esito dell’incarico - con la nomina a senatore a vita e quindi, per quanto diffuso dalla stampa, con un appannaggio mensile di diecimila euro e spiccioli lordi, che aggiunti al vitalizio di novemila euro provenientigli dalla pregressa attività di Commissario europeo farebbero salire - secondo Dagospia - i guadagni del neo-Senatore a ventimila euro mensili per i soli incarichi italiani ed a complessivi trentaduemila euro tenendo conto dei proventi di professore universitario e di consulente di banche d'affari.

Come già ricordato, a suo tempo l’avvento del Governo Monti era stato accettato anche dallo scrivente con un’accoglienza esplicitamente positiva non solo perché sembrava impossibile che un Governo così qualificato, in termini di presumibili competenze e conoscenze specifiche, potesse far peggio di quelli - di vari colori - che lo avevano preceduto ma anche perché le personalità chiamate a comporlo, non avendo (dichiaratamente o presumibilmente) esigenze di carriera o velleità immediate di altra natura, parevano le più idonee ad operare esclusivamente in funzione dell’interesse pubblico, senza obblighi di bottega e con il vantaggio di non dover guardare in faccia a nessuno.

Nonostante tali e tanti presupposti favorevoli, era naturalmente logico non aspettarsi comunque da un Governo privo di mandato elettorale la soluzione immediata di tutti i problemi che affliggono da decenni il Paese.

Ciò non toglie, ovviamente, che oggi, a mandato praticamente esauritosi prima del tempo, si possano valutarne i risultati conseguiti, tenendo conto non solo delle promesse del Senatore ma anche  degli errori, delle omissioni e dei passi falsi del suo Governo.

 

3 - Le promesse del Professore

"...nel 1994, dopo decenni di consociativismo, che pure avevano dato anche risultati positivi, l'Italia aveva bisogno di una grande depurazione dalle incrostazioni corporative, destinate a pesare ancor di più nel contesto della competizione globale sempre più dura. All'inedita maggioranza di centrodestra sarebbe stato più facile operare in questa direzione, innovativa per l'Italia, di una moderna economia di mercato, con poteri pubblici meno invasivi che in passato, regole chiare e fatte rispettare da autorità pubbliche, ma indipendenti dalla politica.

Meno barriere all'entrata, meno privilegi e rendite per gli inclusi, più possibilità di ingresso per gli esclusi e per i giovani, più spazio al merito e alla concorrenza: questi gli ingredienti di un'economia più competitiva, di una maggiore crescita, di una società più aperta, più inclusiva, più equa. Purtroppo, questo impegnativo disegno non è stato voluto con continuità; ancor meno è stato realizzato..." (Monti, “Corriere della sera, 1 maggio 2011, prima della chiamata al Governo).

Ho voluto venire, per rendermi conto di persona....”. (Monti, zone terremotate dell’Emilia, intervista TV, 22 maggio 2012). Così si esprimeva il Professore in una delle sue prime uscite, dimenticando sorprendentemente che un tempo la grammatica insegnava già alle elementari che i verbi servili volere, dovere e potere esigono lo stesso ausiliare richiesto dai verbi all’infinito che li accompagnano e che in italiano si deve perciò dire “io sono voluto venire” e non “io ho voluto venire”.

Niente di male, soprattutto parlando a braccio, ma quando la cosa capita ad un personaggio pubblico, da molti e da Lui stesso accreditato del dono della infallibilità, allora è naturale prendere atto che neanche il Professore è infallibile e rivendicare il diritto di giudicare l’attività del suo Governo anche in base alla esposizione mediatica del suo presidente e richiamandone le promesse, dato che “tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. (Costituzione, art. 21).

 "I sacrifici necessari dovranno essere equi". (Monti, Discorso sulla fiducia del 14 novembre 2011).

Serve una rappresentazione credibile e con speranza del futuro, se c’è una distribuzione equa dei sacrifici il paese può riprendere a crescere”. ( Monti, 20  novembre 2011).

Monti, l'oracolo vivente, ha sostenuto che con l'azione del suo governo e con i provvedimenti approvati il Pil e la produttività aumenteranno del 10%”. (Internet. Geopolitica, 24.1.2012)

"Abbiamo evitato al Paese il disastro totale". (Monti, 20  novembre 2011, negli Emirati Arabi).

“Il senso dello sforzo comune deve basarsi su un'equa ripartizione del peso a carico di ciascuno". (Monti, visita Comunità Rondine di Arezzo, 13 maggio 2012).

 “La legalità è la miglior polizza di assicurazione per il futuro degli italiani: saremo intransigenti con i più forti e comprensivi con i più deboli e avremo la capacità di saper distinguere i primi dai secondi”. (Monti, 21 giugno 2012).

Capisco come le persone che rimanevano al potere per un lungo periodo potevano diventare fino a un certo punto le sue vittime. Ma la mia esperienza al governo è così breve che mi permetterà di evitare questo rischio”. (Monti, Il Messaggero, 23 luglio 2012).

Anche se la ripresa non si vede nei numeri, invito tutti a constatare che è dentro di noi e adesso è alla portata del nostro paese e credo che arriverà presto”. (Monti, Televideo canale 5, 5 settembre 2012).

"E' vero che la ripresa non la si vede nei numeri, ma io invito a constatare che la ripresa, se riflettiamo un attimo, è dentro di noi  ed è una cosa che adesso è alla portata del nostro Paese e credo che arriverà presto". (Monti, 5 settembre 2012).

Abbiamo schivato il precipizio anche se con sacrifici grandi, evitando il tracollo dell’Italia e dell’Europa”. (Monti, 7 settembre 2012, Bari).

Penso che in parte le nostre decisioni abbiano contribuito ad aggravare la situazione italiana, ma solo con una recessione a breve termine si può avere la speranza di un risanamento durevole”.  “Voglio cambiare il modo di vivere degli italiani”. (Monti, 11 settembre 2012).

"Noi ci aspettiamo, e esigiamo a nome del Paese e dei cittadini, che Aziende e sindacati riescano a fare qualcosa di più, uno sforzo congiunto, e lo otterremo: la crisi ha accresciuto il senso di appartenenza". (Monti, 11 settembre 2012).

È bellissimo dire di voler togliere l’IMU: se si farà un provvedimento come questo chi verrà a governare un anno dopo, non cinque, dovrà rimettere l’IMU doppia”. (Monti, Conferenza fine anno, 23.12.2O12).

Io non mi schiero con nessuno, vorrei che i partiti si schierassero sulle idee. Se richiesto darei guida e sarei pronto ad assumere le responsabilità che mi venissero affidate dal Parlamento”.  (Monti, Conferenza fine anno, 23.12.2O12).

Le riforme, con i partiti e i loro apparati, possono essere avviate ma non concluse. (Monti, Televideo RAI, 1.1.2013).

"Ho scelto di presentarmi alle elezioni perché non volevo lasciare a metà il lavoro realizzato con le riforme del mio governo in questo anno". (Monti, Aquarius, 26.1.2013).

"Né destra né sinistra danno garanzie su riforme”. (Monti, Aquarius, 26.1.2013).

L’Imu deve essere un'imposta più progressiva e più equa. (Monti, Omnibus-La7, 28.1 2013).

Grazie alle tasse abbiamo salvato il Paese. (Monti, TGCom24, 3.2.2013).

Berlusconi non ha mai mantenuto le promesse. (Monti, Internet Giornalettismo, 3.2.2013) in risposta a “...in caso di vittoria del PdL, ci sarà….l'abolizione dell'Imu ma non per le case di lusso". (Berlusconi, Internet, 1.1.2013). ''Se vogliamo e' un voto di scambio, ma anche un tentativo simpatico di corruzione: io ti compro il voto con dei soldi e i soldi sono dei cittadini''. (Monti, intervista radiofonica, TG1, 4.2.2013).

 

4 - I provvedimenti del Governo tecnico

Partito in tromba con le liberalizzazioni, il Governo tecnico, nonostante l’iniziale, palese  sostegno della quasi totalità della opinione pubblica finiva per invischiarsi rapidamente nei rigurgiti corporativi delle categorie interessate, facilmente intuibili ma di cui un esecutivo svincolato dal consenso avrebbe dovuto tranquillamente infischiarsi. 

In una situazione del genere, gli effetti (ove previsti) su rete gas, farmacie, taxi, autotrasporti, stabilimenti balneari, notai e su tante altre attività non sono ad oggi facilmente valutabili dal profano e non è quindi il caso di inoltrarsi, senza una adeguata competenza, nei meandri dei vari tocchi e ritocchi utilizzati per rastrellare le somme necessarie per il tanto decantato salvataggio dell’Italia.

Se qualcuno, però, qualcuno di quelli al Governo volesse spiegare al popolo come il semplice aumento del numero delle farmacie o dei taxi potrebbe costituire di per sé un calmiere di qualcosa, renderebbe di sicuro un servizio alla Nazione, così come chi - nel Governo - sembra non rendersi conto che cinque centesimi di aumento sul prezzo del gasolio diventano venti centesimi sul prezzo delle zucchine, farebbe bene a cambiare mestiere.

Gli effetti, invece, si sono visti, eccome se si son visti,  e sono stati rapidamente “apprezzati” soprattutto in materia di IMU, anche senza capir niente di spread o di economia.

            Con l’IMU, infatti, il Governo tecnico ha ridotto automaticamente il potere di acquisto dei meno abbienti, costretti a tagliare forzatamente i consumi, ma ha indotto a contenere le spese anche chi, con qualche possibilità economica in più, ha ritenuto prudentemente di non dover esaurire le proprie risorse data l’evidente incertezza del futuro. In entrambi i casi, a risentirne immediatamente sono stati i consumi, la cui contrazione è a sua volta all’origine della cessazione di tante attività e della conseguente disoccupazione.      

Eppure "non sono l'uomo delle tasse….chi non cede alla demagogia sa che bisognava salvare l'Italia….se tornassi indietro rimetterei l'Imu" ha ribadito il Presidente del Consiglio anche nel corso di una visita ad una casa di accoglienza per ragazze madri, “La casa di Tonia” di Napoli, nella giornata del 1° febbraio appena trascorso, sordo a qualsiasi obiezione sollevata in proposito da tante parti.

Se è vero, come pare infatti vero secondo le mai smentite informazioni di stampa, che l’IMU, limitatamente alla prima casa, ha prodotto un introito all’incirca di soli quattro miliardi di euro, pari appena ad un sesto della somma incamerata complessivamente per salvare il Paese, non si comprende perché sarebbe stato impossibile abolirla andando a  rastrellare i medesimi quattro miliardi attraverso tasse di altra natura o con tagli a previsioni di spese assolutamente inutili e spesso addirittura scandalose.

Mentre si tassava la prima casa, invece, un ministro dello stesso Governo informava compiaciuto che la nuova presidente della Rai, appena nominata, si era spontaneamente ridotta lo stipendio annuale da quattrocentoquarantottomila euro a trecentosessantaseimila, accontentandosi, bontà sua, di soli mille euro al giorno, festività  comprese, o, se vogliamo, di soli due milioni di vecchie lire al giorno.

Qualcuno, avendo una televisione a disposizione, potrebbe per favore illustrare dettagliatamente - a prescindere dai requisiti e dalle capacità del dirigente di cui trattasi - in cosa consistano la gravosità, la complessità ed i rischi di un presidente RAI per meritare un tale stipendio?

E, quali ne siano comunque le mansioni, spiegare come sia concepibile - in un paese governato dal diritto e non dall’arbitrio - che un qualsiasi funzionario pubblico possa essere retribuito con una somma giornaliera superiore alla retribuzione mensile della maggioranza dei restanti dipendenti pubblici? Ma un episodio del genere non dovrebbe essere addirittura sufficiente per rimuovere un ministro che, chiamato a tirare la cinghia, si comporti invece da nababbo con i soldi altrui? Alla fine, diventa imbarazzante perfino scandalizzarsi che la stessa Rai versi ai due conduttori del festival di Sanremo 2013 compensi di seicentomila e trecentomila euro ciascuno che, in un contesto basato realmente sul confronto con mansioni di altra natura rintracciabili anche all’interno dello stesso Ente, lasciano senza parole circa la disinvoltura con cui si utilizzano le risorse, da qualunque parte si girino gli occhi, facendo pagare agli italiani più tasse pro capite di tutti gli altri cittadini di area euro.

Nel 2010, infatti, le entrate tributarie in Italia sono state di circa 400 miliardi di euro, in Germania di 490, in Francia di 250 e in Spagna di 160, vale a dire, pro capite, più di tutti proprio in Italia con 6.660 euro rispetto ai 6.000 della Germania, ai 4.150 della Francia ed ai 4.000 della Spagna.

Il caso del Presidente della Rai, in realtà, non è unico, perché da qualche tempo anche le posizioni di vertice dei  ministeri godono di trattamenti economici del tutto impensabili pochi anni fa e ingiustificabili, dato che generalmente lo Stato non ha bisogno di geni (tranne  che nel comparto sanitario) ma piuttosto di persone per bene, perché - in teoria - per costruire una strada o un ponte o un edificio scolastico potrebbero essere in fondo sufficienti un bravo ragioniere o un geometra in grado semplicemente di stendere un bando, posto che l’ingegnere e l’architetto occorrenti per realizzare le opere normalmente li hanno già le imprese aggiudicatarie dei lavori.

E che dire dei dirigenti e dei dipendenti delle migliaia di enti satelliti che vanno avanti da anni esaurendo e, sostanzialmente, sprecando totalmente gli introiti per pagare i dipendenti, senza svolgere nessun altro compito? 

Purtroppo, risparmiare non sembra di moda, soprattutto quando si tratti di denari altrui, perché che “chi ha la pancia piena non crede a chi è digiuno” e perché le crisi, per certe persone, comportano che "voi dovete tirare la cinghia" perché "siamo tutti nella stessa barca".

“Monti - ha detto Di Pietro - ha divaricato, facendo crescere le distanze tra chi ha poco e chi ha tanto”  benché fosse svincolato dalla politica e quindi libero di tagliare dove realmente c’era da tagliare, senza remore verso nessuno. E, se non era libero, perché non lo ha detto agli italiani, rinunciando agli onori (se, con tutto il rispetto, lo ha fatto il Papa….) e mettendo pubblicamente i politici recalcitranti di fronte alle loro responsabilità, anziché prendersela con i proprietari delle prime case?

La casa o, meglio, la PRIMA casa è un bene sacro, sia per chi la possieda da sempre che - soprattutto - per chi la casa sia arrivato a possederla per la prima volta, dopo anni di sacrifici.

In Italia ottanta abitanti su cento risiedono ormai in una casa di proprietà, soddisfatti - in genere - di non avere più a che fare con sfratti capaci di far sentire i destinatari e i loro figli, specialmente se in età scolare, come le “canne al vento” del capolavoro della Deledda.

Non è un caso, va ricordato, che lo Stato già nel 1903 abbia espressamente riconosciuto il diritto di tutti alla casa approvando, su iniziativa dell’on. Luigi Luzzatti, la prima legge per la costruzione di case popolari finalizzata a favorire l’accesso a tale bene anche da parte dei meno abbienti per “trasformarne e migliorarne le condizioni di vita”.  

Come può dunque  uno Stato, aperto da un secolo a venire giustamente incontro ai cittadini non in grado di comperarsi un alloggio, pensare oggi di punire, tassandoli anziché ringraziarli, proprio coloro che la prima casa se la siano costruita da sé senza gravare sul denaro pubblico o di costringere qualche assegnatario non abbiente (pensionato o erede) non in grado di pagare l’IMU, addirittura a disfarsene ed a rimettersi in fila per averne un’altra?

Eppure il Presidente del Governo tecnico aveva assicurato, addirittura fin dal discorso sulla fiducia, che "i sacrifici necessari dovranno essere equi". (Monti, 14 novembre 2011).

Oggi, dopo aver affermato il 23 dicembre scorso che “se togliamo l’IMU, un anno dopo andrà raddoppiata” e subito dopo, a seguito di qualche sondaggio non favorevole, di volerla invece ridurre nel 2013, vorrebbe invece dar credito, absit iniuria verbis, addirittura ad un autentico sproposito giuridico per il quale la semplice promessa elettorale della abolizione della tassa configurerebbe niente meno che ''un voto di scambio, ma anche un tentativo simpatico di corruzione” con “qualche elemento di usura”,che in altri termini qualificherebbe come reato non solo l’impegno alla abolizione o alla restituzione dell’IMU ma anche qualunque altra promessa di innovazioni o riforme contenuta nei programmi dei vari partiti, che secondo Lui dovrebbero limitarsi, per non incorrere nei rigori del codice penale, a chiedere di essere votati a scatola chiusa senza nemmeno far filtrare preventivamente quello che intenderebbero fare in caso di elezione dei propri candidati.

Evidentemente aveva davvero ragione Voltaire, allorché affermava che "se crediamo a delle assurdità, commetteremo delle atrocità". Altro che equità!

           

5 – Le omissioni del Governo tecnico

Meno partiti ci sono e meglio si cammina. Beati i paesi dove non ve ne sono che due:

uno del presente, il Governo; l'altro dell'avvenire, l'Opposizione

(Anonimo)

       Purtroppo, nonostante i vari proclami, la successione delle occasioni mancate è assai più ampia rispetto all’elenco delle cose fatte.

            Alla riforma della giustizia, ad esempio, è evidente come il Governo dei Professori non ci abbia nemmeno pensato, sebbene la si invochi da anni da più parti.

            Il taglio del numero di senatori e deputati non è stato neppure sfiorato, così che per almeno altri cinque anni (salvo interruzioni della legislatura per ingovernabilità) avremo ancora a che fare con un esercito di 945 parlamentari (630 deputati 315 senatori) laddove da molti (esclusi i destinati al taglio) si sostiene che  cinquecento sarebbero già troppi..

            Il sistema di elezione, vituperato (con quanta sincerità?) come “porcellum” dagli stessi parlamentari che se ne sono avvalsi, la farà quindi da padrone anche in occasione della consultazione del 24 febbraio, con la conseguenza che il Paese si troverà governato da maggioranze in cui partitini del tre o quattro per cento la faranno da padroni fino alla ingovernabilità, a differenza di paesi europei in cui - come in Inghilterra e Francia - dopo un quarto d’ora dalla proclamazione dell’esito del voto i leaders dei partiti vittoriosi entrano al numero 10 Downing Street o all’Eliseo senza bisogno di tirarla per le lunghe come da noi e per restarci per una intera legislatura.

            Una riforma come quella del sistema semipresidenziale francese, con l’elezione a suffragio diretto del Presidente della Repubblica e il conferimento a costui della scelta e della rimozione del Presidente del Consiglio dei ministri e del suo esecutivo, non è stata, da noi, neppure degnata di una briciola di considerazione, nonostante l’ottima prova di sé che - senza le inutili teorie di consultazioni cui si è costretti ad assistere nel nostro Paese - ne ha caratterizzato la funzionalità dai tempi del Generale De Gaulle fino al recente avvicendamento tra Sarkozy e Hollande.

Nel nostro Paese, con tutto il rispetto per l’attuale Presidente, sembra invece normale che il Quirinale, senza i poteri e le funzioni della Repubblica presidenziale, costi all’erario quattro volte di quanto costa Buckingham palace all’Inghilterra e richieda 228 milioni di euro all’anno rispetto ai 112,5 milioni dell’Eliseo dei francesi.   

Addirittura ancora meno comprensibile appare la differenza dei costi per il solo personale dipendente, pari a 129,4 milioni per il Quirinale rispetto ai 69,5 milioni per l’Eliseo, inspiegabile soprattutto ove si tenga conto della più impegnativa portata delle funzioni assegnate a quest’ultimo.

Quanto al taglio degli emolumenti degli onorevoli (compresi gli europarlamentari), la Commissione Giovannini non è stata nemmeno in grado di confrontarne l’importo con gli quelli dei parlamentari degli altri paesi dell’Europa, così che la situazione è rimasta quella che era. Intanto i parlamentari e i consiglieri regionali sembra che mantengano - che fretta c’è di rimediarvi? -  anche due pensioni: quella normale e il vitalizio, e alcuni casi addirittura tre: la pensione, il vitalizio da consigliere regionale e quello da parlamentare. La regione Sicilia, invece, si legge che mantenga a Bruxelles, così, un addetto stampa a dodicimila euro al mese. Come non bastasse, il senatore Piero Ichino avrebbe addirittura scoperto che continuano ad essere retribuiti anche collaboratori di partiti come la Dc e il Ps, ormai estinti da anni.

            Riguardo ai contributi elettorali, per quanto se ne dice solo il Movimento di Grillo li ha rifiutati, “sostenendo che i movimenti politici non debbano essere finanziati con fondi pubblici”. Per gli altri, seppure con qualche taglio, il meccanismo è stato interamente mantenuto.

            Sugli stipendi di barbieri, uscieri, dattilografi e categorie similari al servizio di Camera e Senato, non si sa se continuino ad essere ancora costituiti da elargizioni di dodicimila, quindicimila o anche più euro al mese. Purtroppo, in mancanza di notizie sicure in materia, non è possibile essere troppo ottimisti sul tema se neanche il Presidente della Camera Pertini riuscì a suo tempo a cambiare le cose ed ebbe invece a ritirare le dimissioni date per protesta cercando di ridimensionare e giustificare in qualche misura le cose ma suscitando la replica di Montanelli che, senza mezzi termini, gli replicava semplicemente che “gli usci sono sempre usci”.

Quanto all’ipotesi di ridurre il numero delle regioni e, contestualmente, quello degli assessori e dei consiglieri, benché ripetutamente inserita nei programmi elettorali di vari partiti, essa sembra realmente avvertita e sbandierata solo dai pochi occasionalmente indenni dalla marea di scandali, malversazioni, sprechi di denaro e ruberie di ogni genere.

Purtroppo il livello etico di certi assessori, consiglieri o deputati, come li chiamano in Sicilia, che si fanno pagare addirittura il barattolo della nutella, autorizza ben poche speranze per il futuro. Lo showman Fiorello, in una recente esibizione televisiva, ha inquadrato esattamente la situazione commentando l’arresto del capogruppo di maggioranza della regione Lazio, del cui disinvolto impiego del denaro pubblico tutti vorrebbero far credere di essere stati completamente all’oscuro. “Ma come - chiede e si chiede Fiorello - uno entra a far parte del Consiglio regionale pesando settantaquattro chili e ne esce pesando centoquindici e nessuno si è accorto di niente?”.

 Un fallimento ancor meno comprensibile riguarda invece la mancata soppressione delle province che, data per fatta da quasi tutti e da anni, non ha avuto un seguito sostanzialmente perché in Italia sembra  non si sia capito che se certe cose non si fanno subito, “battendo il ferro quando è caldo”, si è inevitabilmente destinati a soccombere di fronte ai “distinguo” ed alle immancabili resistenze del sistema.

 Ma se il coraggio di decidere non lo trova neppure un governo tecnico, per definizione senza mire di natura elettoralistica, come si può sperare che lo trovino proprio quelli con le mani in pasta da sempre?

Così, purtroppo, anche questa volta non si vedranno neppure le fusioni tra piccoli comuni né il taglio dei settemila enti strumentali intermedi né l’abolizione dei consorzi di bonifica, dei bacini imbriferi montani, degli enti parco regionali e degli ATO acque e rifiuti, ma neppure la  legge con le misure alternative al carcere, invano auspicata anche dal Presidente della Repubblica e dai digiuni di Pannella.

Fra le tante disattenzioni del Governo meritano di essere ricordati, quanto meno, anche il clamoroso infortunio riservato agli esodati e trascinato senza soluzione fino al termine del mandato.

Purtroppo il Professore ha dato spesso l’impressione - con ragione, fino a un certo punto, ma est modus in rebus - soprattutto di cercare di non dispiacere alla signora Merkel e compagnia cantante piuttosto che dedicarsi ai suoi connazionali ed ai fatti di casa loro.

           

6 - Il  futuro del Professore e della Nazione.

"Ho scelto di presentarmi alle elezioni - ha fatto sapere nel frattempo il Professore -  perché non volevo lasciare a metà il lavoro realizzato con le riforme del mio governo in questo anno". (Monti, Aquarius, 26.1.2012).

Ma con l’attuale ordinamento dello Stato e il vigente sistema elettorale, il Professore pensa forse che il popolo gli sarà così riconoscente, per aver salvato l’Italia “grazie alle tasse”, da attribuire alla sua lista la maggioranza dei voti occorrenti per governare e fare domani quello che non ha fatto oggi?

E se così non dovesse vincere, per quale motivo i partiti tradizionali dovrebbero cedergli ancora il bastone del comando come hanno fatto in occasione della costituzione del governo tecnico?

Forse solo perché convinto che "né destra né sinistra danno garanzie su riforme(Aquarius, 26.1.2013), il Professore avrebbe il diritto di restare al suo posto anche se riconsegna agli elettori un Paese - a proposito di riforme - con ordinamenti del tutto identici, tranne che in materia di tasse, a quelli anteriori all’avvento del suo Governo tecnico?

Purtroppo il Professore, presentatosi con una austerità di portamento in grado di tenere a distanza chiunque, si è fatto gradualmente irretire nei vizi di quella politica che avrebbe dovuto riformare, fino a farsi coinvolgere incomprensibilmente - lui, già senatore a vita insignito del compito di "rivoltare lo Stato come un calzino" - in una campagna elettorale affrontata, invece, con  scadimenti del linguaggio e dell’immagine del tutto inattesi, lasciando al Paese una eredità di cinquantasei voti di fiducia e di altrettanti complessi (e confusi) provvedimenti spesso comprensibili solo da specialisti e destinati a produrre effetti difficilmente intuibili nella immediatezza, se si escludono quelli costituiti dagli aumenti delle tasse già scattati fino ad oggi.

Dopo un anno di governo, il Professore si trova così di fronte ad indici di gradimento in caduta libera e con un sistema destinato a rimanere com’era, perché certe riforme, non fatte e neppure tentate quando il ferro da battere era caldo, è difficile che possano farsi dopo le elezioni, quando si tratterà di mettere d’accordo, oltre ai due maggiori partiti attuali, anche i vari Fini, Casini, Buttiglione, Rutelli, Bocchino, Cesa, Grillo, Giannino, Ingroia, Lega Nord, UDC, Italia dei Valori, Unione di Centro, Verdi, Rifondazione,  Radicali, PSI, Destra e chi ne ha più ne metta.

Il segnale che l’idillio tra la gente ed il Professore è largamente compromesso è già attestato dagli insulti e dal lancio di uova di Modena, dalle contestazioni a Mirandola, dagli scontri a Bologna, dai tafferugli e dalle cariche della polizia alla prima della Scala, dai contusi alla Bocconi e dai “vergogna” a Napoli.

Ultimamente non è andata meglio neppure ai membri del Governo, con i fischi e le urla alla Cancellieri a Rimini, con il record delle contestazioni per la Fornero apostrofata da uno striscione con “ministra del disastro sociale e delle gaffe” a Trento e con i fischi e i cori da stadio “vergogna, vergogna, nessuno vi ha mai eletti” a Torino, con i “buuu” riservati a Profumo dai precari della scuola e i fischi riservatigli dagli Stati generali della Cultura e dagli studenti, con Passera e Barca nel mirino a Carbonia. 

E anche dall’estero, al cui consenso il Professore fa spesso riferimento, qualcosa non è più come prima, come attesta qualche sortita giornalistica.

“Monti non è l’uomo giusto per guidare l’Italia. Ha provato a introdurre riforme strutturali modeste, annacquate fino alla irrilevanza macroscopica. Ha promesso riforme finendo per aumentare le tasse”, scrive Wolfgang Munchau. (Financial Times, 21 gennaio 2013).

Ovviamente, consensi e dissensi vanno presi cum grano salis, essendo innegabile e inevitabile che all’estero il Professore continui a raccogliere più consensi che dissensi soprattutto dal mondo della finanza, allineato per comunanza di interessi con i suoi provvedimenti, e che in Italia sia invece in discesa soprattutto tra la parte della popolazione meno abbiente che deve sopportarne molte scelte non condivise e che con molta probabilità gli negherebbe oggi l’investitura a Capo dello Stato che taluni avrebbero visto di buon occhio  poco più di un anno fa.

In effetti, spillare miliardi di euro alle famiglie meno abbienti e ai pensionati senza cercare di togliere soprattutto ai ricchi non comporta consensi, così come non giova sventolare la bandiera della sobrietà e poi esibirsi troppo spesso in televisione con tanto di cagnolino sulle ginocchia o con sibillini messaggi subliminali per gli elettori, attirandosi un rimbrotto anche dal mondo sindacale.

 “Monti non può sostenere che la manovra ci può essere o no a seconda di chi vince anche perché appare un messaggio minaccioso agli elettori. Benché dimissionario dovrebbe ricordarsi di essere il Presidente del Consiglio, quindi dovrebbe rispondere su a che punto lascia i conti del paese, visto che non possono essere in ordine o in disordine in virtù del voto che deve essere libero”. (Camusso, televideo RAI del 28 gennaio 2013).

Intanto, guardandosi attorno evidentemente deciso a non scomparire, il Professore si spinge fino ad aprire anche al Pdl, ipotizzando che "il Pdl non sarà sempre guidato dal Cavaliere e si potrebbe benissimo immaginare una collaborazione con quella parte una volta mondata ed emendata dal tappo che impedisce le riforme", facendo sapere che “la mia iniziativa politica è stata sollecitata dalla società civile”.

Per chi non se ne fosse accorto e si era fatto l’idea che il Professore, come in effetti aveva detto, si sarebbe limitato a rimettere i conti a posto per ritornare subito agli amati studi, c’è ancora Wolfgang Munchau a scrivere che il salvatore della patria, “ha iniziato come tecnico ed è emerso come un duro politico”. (Financial Times, 21 gennaio 2013).

Continuate a chiamarmi Prof, perché sarò presidente per poco”, aveva infatti detto il 18 novembre 2011, in occasione del suo insediamento alla Camera).

"Credo di essere stato un buon presidente del Consiglio", ha invece confessato pochi giorni fa, ricordando che quando è salito a Palazzo Chigi "non c’era grande volontà di occupare quel posto ". (Il Giornale - 10 febbraio 2013).

Oggi, addirittura, il Presidente del consiglio è quello che esterna non solo con maggiore frequenza ma addirittura con una asprezza e con un linguaggio da indurlo a confessare che "in queste settimane sento molte persone che mi dicono, e so che tanti altri lo pensano, che gli piaceva di più il Monti di prima, cioè il presidente del Consiglio severo, più che il Monti politico. Vale anche per me".

E dire, guarda un po’,  che il fior fiore del giornalismo italiano, per quasi un anno, ha giurato e spiegato che il Senatore, appena esaurito il suo compito, si sarebbe ritirato  immediatamente dalla scena, con totale disinteresse!

Molti secoli fa, quando Roma, stremata dalle guerre con i Volsci e da lotte intestine, venne attaccata dagli Equi accadde, anche allora, che per salvare la patria  alcuni senatori fossero inviati a proporre il comando dell’esercito a Cincinnato, generale in congedo allontanatosi dalla città abbastanza risentito per una vicenda patita da un familiare e ormai dedito all’agricoltura.

Cincinnato,  nonostante tutto, accettò l’incarico ed in breve tempo riuscì a catturare i capi del nemico, portandoli in catene nell’Urbe e celebrando il consueto trionfo.

Pur potendo conservare la carica, non revocabile fino alla scadenza di sei mesi, dopo soli sedici giorni depose però la dittatura e, per aver salvato la patria, non pretese né onori né ricompense, tornando tranquillamente al lavoro dei campi senza ripensamenti.

Si, senza ripensamenti e senza neppure la nomina a senatore a vita.

Altri tempi!

7 - Previsioni e timori sul dopo-voto.

            Cosa c’è da aspettarsi dalla imminente consultazione elettorale?

1 - che, chiunque ritenga di aver vinto, entro un anno si debba ritornare al voto per l’impossibilità di coagulare più a lungo il necessario consenso di troppi partiti e partitini su un qualsiasi governo di coalizione, sprecando denaro pubblico e perdendo tempo senza alcun costrutto;

2 - che, se non si riformano le istituzioni e non si “eliminano” i ladri e i parassiti che si annidano ormai in qualsiasi settore del pubblico e del privato sarà difficile, praticamente impossibile, ristabilire le regole del gioco indispensabili per un corretto modo di vivere. Si, è così. “Ma chi lo farà?”, direbbe l’Henry Fonda del famoso western “Ultima notte a Warlock”?

3 - che, se non si ricreano le condizioni per produrre di nuovo in Italia quello che oggi viene prodotto in Corea o a Taiwan e che dieci anni fa, con le stesse caratteristiche odierne, era prodotto a Udine, a Fabriano o a Torino, si debba prendere atto che per le giovani generazioni non possa esservi altro rimedio contro la disoccupazione che quello di riesumare la valigia di cartone legata con lo spago ed andare a fare in altri paesi i mestieri oggi abbandonati dai nativi del posto.

            Naturalmente si fa per dire, dato che in Parlamento avremo anche questa volta tanta gente con esperienze pluritrentennali in grado di soddisfare qualsiasi esigenza. Almeno a parole.

 

Lucca, 25 febbraio 2013

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina