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 Ritorno alla durezza dei problemi - Il principio di realtà

di Sergio Romano

In democrazia le elezioni sono il momento della scelta e del confronto. Se un candidato spiega quali misure possano ridurre il debito e aumentare la crescita, un altro lo smentirà sostenendo che è meglio agire diversamente. Non siamo tutti economisti ma il confronto può servire a rendere il quadro più chiaro e il voto più consapevole.

Ho scritto che le elezioni «sono» il momento del confronto ma avrei dovuto usare il condizionale e aggiungere che nel caso italiano quasi tutti i candidati hanno rifiutato di parlarsi (o non si sono accordati sul modo in cui farlo) e hanno declamato i loro programmi senza contraddittorio. Non tutti sono demagoghi e populisti ma la presenza in scena di due consumati commedianti (Silvio Berlusconi e Beppe Grillo) ha fissato le regole della partita e ha indotto gli altri ad adottarle. Abbiamo ascoltato insulti, affermazioni perentorie e promesse che non saranno mantenute. Quando alcune proposte apparentemente più concrete sono state sottoposte all'esame di istituti specializzati, come ha spiegato Roger Abravanel sul Corriere di sabato 23 febbraio, sono emersi molti dubbi sulla loro «fattibilità e coerenza».

Nessuno, salvo errore, ha avuto il coraggio di spiegare che nell'eurozona e nel mercato globale gli strumenti tradizionali, con cui i governi manovravano l'economia, sono in buona parte scomparsi. Non è possibile stampare moneta, svalutare, imporre dazi sulle importazioni e, soprattutto, impedire che i mercati giudichino la credibilità dei nostri bond fissando il tasso d'interesse che lo Stato italiano dovrà pagare a chi gli presta il suo denaro.

Forse l'aspetto più paradossale di questa campagna elettorale è la frequenza con cui i giudizi di governi e giornali stranieri sono stati considerati intollerabili interferenze. Non possiamo compiacerci di essere, nonostante tutto, una grande economia mondiale e pretendere che altri aspettino pazientemente il risultato delle nostre elezioni senza esprimere preferenze. Abbiamo il diritto di eleggere chi ci piace senza dare retta ai consigli di Angela Merkel ma non possiamo ignorare che esiste ormai uno spazio europeo in cui il voto di un Paese può influire sulla sorte degli altri.

Resta una speranza: che il risultato dissolva la nebbia in cui è stato avvolto sinora il campo di battaglia e provochi un soprassalto di realismo e buon senso. Vi sono pur sempre persone e partiti che sanno di quali riforme il Paese abbia bisogno per ripartire. Abbiamo una economia ingabbiata, ostaggio di settori privilegiati e organizzati che non hanno altro obiettivo fuor che quello di difendere i loro diritti acquisiti. Uno studio recente dell'International Monetary Fund, citato dall' Economist , sostiene che lo smantellamento di queste fortezze, con un alleggerimento della pressione fiscale, regalerebbe all'Italia, in 10 anni, un aumento del Pil (Prodotto interno lordo) pari al 20%. Ma sulla strada di quell'obiettivo vi sono i cavalli di frisia degli interessi personali e corporativi. Al Paese occorre un governo che abbia il coraggio di abbatterli.

(dal Corriere della Sera - 24 febbraio 2013)

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