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Il marcio e il caos

di Antonio Polito

Forse il Consiglio superiore della Magistratura dovrebbe disporre un'indagine statistica per accertare se questa storia della giustizia a orologeria è vera o no. Se è vero, cioè, che in momenti politici particolarmente delicati, come una campagna elettorale, l'attivismo delle procure si intensifica e gli ordini di custodia cautelare fioccano. Certo è che negli ultimi giorni il tintinnar di manette si è sentito, eccome. Ma è provenuto da luoghi così distanti tra loro e per inchieste così diverse l'una dall'altra che è difficile credere all'ipotesi della «manona giudiziaria» di cui ha parlato Silvio Berlusconi. Più che al disegno intelligente di un deus ex machina che manovra dall'alto le inchieste, sembra piuttosto di assistere a un vero e proprio caos organizzato, all'incrociarsi casuale ma micidiale delle tre debolezze del sistema-Italia: una corruzione dilagante, una politica declinante, una giustizia debordante.

La corruzione dilagante

La corruzione dilagante è sotto gli occhi di tutti. C'è del marcio in Italia, e questo è un fattore killer per la nostra economia. I capitali esteri non arrivano anche perché sanno che da noi si paga il pizzo, la tangente, la mancia; che si può essere scavalcati da un concorrente solo perché gioca sporco; che la trasparenza nei confronti del mercato non è la Bibbia del nostro capitalismo di relazioni (è con l'accusa di comunicazioni truffaldine e aggiotaggio che è stato arrestato ieri il finanziere Alessandro Proto). Il coinvolgimento contemporaneo di tre grandi aziende come Monte dei Paschi, Eni e Finmeccanica in vicende nelle quali la governance è sotto accusa, depone male per il Paese non meno del debito pubblico. La domanda che circola nel mondo è: ci si può fidare di voi? È un costo in più del rischio-Italia. La corruzione è così dilagante che talvolta rischiamo di perseguire come tale anche ciò che altrove è considerato solo lobbismo, dandoci ulteriormente la zappa sui piedi. Il confine è molto sottile, ma i nostri magistrati dovrebbero seguire il criterio dell'applicazione «ragionevole» della norma, suggerito più volte dalla Consulta.

La politica declinante

La politica declinante è invece lo sfondo di questo giudizio universale. Un regime politico al tramonto è la riserva di caccia ideale per gli inquirenti, perché le loro prede perdono protezione e spesso anche lucidità. Fu così anche nel crollo della Prima Repubblica: prima venne la vittoria elettorale della Lega, che mandò in tilt il sistema, e solo dopo le inchieste di Tangentopoli, che gli assestarono il colpo di grazia. Quel che oggi accade a Finmeccanica, il cui capo azienda è stato arrestato, allora toccò all'Eni con i quattro mesi di carcerazione preventiva per Gabriele Cagliari, finiti con un tragico suicidio. Se allora fu l'emergere della Lega a consentire ai magistrati di attaccare un feudo del potere socialista, oggi è il declinare della Lega a lasciare Orsi privo della protezione che l'aveva portato fino alla guida del gruppo.
In ogni caso, non c'è speranza di pulizia finché i vertici di grandi aziende con proiezione internazionale verranno scelti dalla politica per motivi politici. Si è visto a sinistra con il Monte dei Paschi di Siena, una banca gestita di fatto dal Pds-Ds-Pd. Si vede ora a destra con Finmeccanica, basta leggere come fu scelto il vertice secondo la testimonianza di uno dei papabili: «Letta e Berlusconi erano per la mia nomina, Tremonti non era in disaccordo, solo la Lega spingeva per Orsi...». Il quale Orsi, appena nominato, provvide subito a spostare la sede legale di Alenia Aermacchi da Pomigliano d'Arco al Varesotto, terra natale di Maroni.

La giustizia debordante

Infine c'è la giustizia debordante, antico male italiano che non sembra essere stato in alcun modo curato in questi vent'anni in cui pure la politica ha molto strepitato contro la magistratura. Innanzitutto c'è un uso disinvolto, insistito e spesso spettacolare della custodia cautelare. È difficile non chiedersi perché per inchieste che duravano da mesi (Finmeccanica e Monte Paschi), o per personaggi noti come Massimo Cellino e Angelo Rizzoli, si sia resa improvvisamente indispensabile la privazione della libertà personale. L'impressione è che la lentezza del sistema giudiziario stia convincendo più di un magistrato che l'unica condanna ottenibile sia quella dell'opinione pubblica, e che il mandato di cattura venga talvolta usato come una sentenza. A questo si aggiunge un sistema mediatico che sempre meno fa differenza tra sospetti e prove, un pubblico eccitabile che chiede giustizieri invece che giustizia, e uno star system che sempre più proietta le toghe celebri in politica. È un corto circuito che innesca un populismo giudiziario non meno pernicioso del populismo politico. Il quale, a dieci giorni dalle elezioni, sentitamente ringrazia.

(dal Corriere della Sera - 15 febbraio 2013)

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