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La Risiera di San Sabba

Tratto da: Dizionario della Resistenza A cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi

(Polizeihaftlager - campo di detenzione di polizia - della Risiera di San Sabba).

Nell'autunno 1943 giunge a Trieste agli ordini del Gruppenführer - SS Odilo Lotario Globocnik, l'Einsatzkommando Reinhard (reparto operativo Reinhard) che ha portato a termine il massacro di due milioni di ebrei polacchi nei campi di sterminio rapido di Sobibor, Treblinka, Belzec e altri.
Come scrive Enzo Collotti (1971), gli Einsatzgruppen o Einsatzkommandos, creati per garantire la sicurezza politica delle zone conquistate, "dovevano liquidare intransigentemente ogni resistenza contro il nazionalsocialismo e non solo la resistenza presente ma anche quella del passato e del futuro. Dovevano essere uccisi senza soste e senza istruttoria, senza compassione, lacrime o pentimenti, intere categorie di uomini", a cominciare dagli ebrei, seguiti dagli zingari, dai malati di mente, dalle razze inferiori asiatiche, dai funzionari comunisti e dagli elementi "asociali". Compiti e obiettivi di questi reparti sono strettamente connessi all'ideologia e alla prassi della "guerra totale" hitleriana, inscindibile dai piani di dominazione imperialistica e razziale dell'Europa "che prevedeva il soggiogamento alla potenza dominante dei popoli considerati inferiori e al limite la loro fisica estirpazione".

L"Einsatzkommando Reinhard (EKR) è composto da circa un centinaio di "specialisti"  in genocidio, come Christian Wirth (der wild Christian, "Christian il selvaggio") che comanda l"EKR fino alla sua uccisione da parte dei partigiani; Dietrich Allers, che assume il comando dell"EKR dopo Wirth e il breve interregno di Gottlieb Hering; come Franz Stangl, Kurt Franz, Joseph Oberhauser (comandante della Risiera), Heinrich Gley, Heinrich Unverhau, Karl Schiffner, Otto Stadie (il "boia della Risiera"), Lorenz Hackenholt, Gustav Münzberger e altri. Numerosi di essi sono "reduci" anche dell'Aktion T4 (dalla sede centrale in Tiergartenstrabe 4 a Berlino). Con l'Aktion T4, o operazione Eutanasia, sono uccisi col gas, iniezioni e altri mezzi oltre settantamila cittadini tedeschi "ammalati di mente" o invalidi, considerati vite-zavorra (Ballastexistenzen).
Nell'EKR parecchi provengono dai territori annessi al Reich (Austria, Sudeti). In Risiera c'è anche un gruppo di ucraini addetti ai massacri sotto la direzione di Stadie.

Nell'ottobre-novembre 1943, l'EKR allestisce in una vecchia fabbrica per la lavorazione del riso nel rione industriale di San Sabba, nota come la "Risiera", un Polizeihaftlager, sistemandovi un nuovo forno crematorio collegato alla preesistente ciminiera. Costruisce anche diciassette piccole celle in cemento per i politici e i partigiani destinati quasi sempre alla morte, larghe ciascuna un metro e venti e lunghe due metri scarsi, gelide d'inverno e soffocanti d'estate, e che talora ospitano due o più prigionieri ognuna. Forno e celle sono opera dell'SS Erwin Lambert, uomo di Wirth e specialista in camere a gas e costruzioni similari. Un edificio al centro del cortile interno della Risiera è adattato a camera della morte. I prigionieri, prima di essere uccisi (individualmente e a gruppi, una notte circa 150), sono obbligati a spogliarsi. Da un calcolo dei vestiti messi in deposito da un prigioniero la Corte d'Assise di Trieste stabilisce, con sentenza 29 aprile 1976 contro Oberhauser (contumace, condannato all'ergastolo), che le vittime sono state non meno di duemila, esclusi gli ebrei, ma altre fonti italiane e iugoslave danno cifre di tre-quattromila. La Corte stabilisce anche che i massacri sono intensi e costanti fino all'aprile 1945 e con sistemi usati nell'Est Europa.

Inizialmente viene usato il gas di motori degli autofurgoni in cui sono rinchiusi i prigionieri, poi il sistema più rapido del colpo di mazza alla nuca.
In un edificio contiguo vi sono i cameroni per la folla dei "rastrellati" in città, in Istria, in Friuli, una parte destinati ai lager in Germania e Polonia, un'altra al forno. Fra le vittime molti sloveni e croati, uomini e donne e anche ragazzi. Per la gran parte degli ebrei la Risiera è un campo di smistamento per Auschwitz e altri lager, tranne che per gli "intrasportabili", uccisi nel campo triestino. Sorte analoga tocca ad alcuni ebrei uccisi per rappresaglia o per altri abietti motivi. In Risiera cadono anche alcuni esponenti (uomini e donne) del Cln triestino, delle Garibaldi e Osoppo, dopo crudeli torture.

Gli orrori del campo vengono scoperti già nel corso della guerra poiché rifluiscono alla riva ceneri e ossa gettate in mare dalle SS. Prima di fuggire nella notte fra il 29 e il 30 aprile '45, le SS fanno saltare l'edificio delle esecuzioni ma la polizia del Governo militare alleato rinviene sul posto altri mucchi di ceneri e ossa. La Risiera è anche centro politico-militare di reclutamento coatto, preceduto da minacce e fucilazioni, di militari della Rsi che hanno cercato di disertare e di schiavizzati al lavoro di guerra, purché giovanissimi, selezionati d'autorità. Il lager triestino è una vera e propria articolazione dell'universo concentrazionario hitleriano e dell'ideologia e strategia genocida nazista, trapiantata nel capoluogo giuliano.

Processo per i crimini della Risiera.

La celebrazione del processo a carico dei nazisti responsabili dei crimini commessi alla Risiera di San Sabba avviene nel 1976, cioè a oltre trent'anni di distanza dai fatti, presso la Corte d'Assise di Trieste. Diverse e non tutte riconducibili all'ovvio silenzio interessato dei carnefici (che al momento di abbandonare la Risiera distruggono significativamente il forno crematorio perché non ne resti traccia) e dei loro complici locali le ragioni di questo ritardo.

Va sottolineato, in primo luogo, il ruolo che nello stendere una coltre di silenzio sulla vicenda nel'immediato dopoguerra ha svolto il Governo militare alleato che, per tutto l'arco di tempo della sua durata, dal 1945 al 1954, frappone ostacoli invalicabili a inchieste non solo sui fatti della Risiera, ma anche sull'apparato nazista e sui suoi collaboratori. E questo nonostante già dall'immediato dopoguerra siano iniziate le indagini. Infatti, dopo che un primo rapporto verbale di polizia al procuratore generale, nel giugno 1945 (dopo la partenza delle truppe iugoslave di occupazione), è rimasto senza seguito, il rinvenimento in Risiera di tre sacchi contenenti ceneri e ossa umane, ai primi di dicembre dello stesso anno 1945, è oggetto di un verbale redatto dalla Divisione criminale investigativa e indirizzato alla procura, in cui si riferisce dettagliatamente del rinvenimento e anche dell'esistenza del forno crematorio e della consuetudine da parte tedesca di scaricare in mare, da un molo sito nelle vicinanze, i resti delle vittime dopo la cremazione.
Al ricevimento del verbale, la procura dà l'immediato nulla osta per la rimozione e il seppellimento dei resti e ordina la trasmissione degli altri oggetti all'ufficio istruzione del tribunale "per la formale istruzione contro gli ignoti autori degli omicidi". La decisione del giudice istruttore è altrettanto rapida: il 19 dicembre infatti quest'ultimo dispone "la trasmissione degli atti all'ufficio del PM presso la corte straordinaria d'assise di Trieste", con la motivazione che "la cognizione del fatto non appartiene all'autorità giudiziaria ordinaria". Presso la Corte straordinaria di Assise - organismo istituito dal Gma e rimasto operativo fino al marzo 1947, la cui azione penale complessiva non può certo definirsi approfondita sul piano istruttorio e severa su quello del giudizio - gli atti rimangono giacenti senza seguito: nulla viene promosso, nemmeno una perizia istruttoria.

La più puntuale denuncia della politica di "insabbiamento"  perseguita dal Gma è contenuta nella sentenza di rinvio a giudizio per Allers e altri, stesa dal giudice istruttore del tribunale di Trieste, Sergio Serbo, il 22 febbraio 1975: in essa il magistrato mette in rilievo come "negli anni in cui sarebbe stata ogni ricerca ben più spedita e sicura, disposizioni del Gma, assai dubbie nella legittimità, inammissibili certamente sotto il profilo morale, ma non di meno cogenti per tutti, avessero escluso per la Procura della Repubblica di Trieste ogni possibilità di pur solo venire a conoscenza (e non ancora assumere conseguente iniziativa) degli elementi indispensabili all'instaurazione di procedimento", e prosegue con la constatazione di come tutte le denunce, i rapporti e gli accertamenti relativi alla Risiera, ma in genere a tutti i crimini di guerra compiuti dai nazisti, siano stati stornati a un particolare ufficio dell'amministrazione del Cma. Sono rilievi estremamente gravi, che certo necessitano di maggior approfondimento in sede storica. Certo, appare perlomeno strano che proprio nei mesi in cui a Norimberga si svolge il processo ai responsabili del nazismo, nel cui ambito emergono in tutta la loro gravità le vicende dell'Aktion Reinhard e dell'Einsatzkommando agli ordini di Globocnik, nessun ufficio inquirente ritenga opportuno stabilire quei collegamenti che già allora erano individuabili, non solo per induzione, con le vicende triestine. A spiegare l'atteggiamento del Gma, è richiamato talora il clima della "guerra fredda", che avrebbe investito Trieste prima che altre aree, e nel cui conto andrebbe collocata anche la protezione accordata dagli alleati ad alcuni esponenti di secondo piano degli organigrammi nazisti nel Litorale Adriatico. Le ragioni di tale scelta potrebbero, tuttavia, essere ricondotte più semplicemente al contesto locale e alla volontà del Gma di evitare di alimentare in qualsiasi modo il clima incendiario di contrapposizione che intorno alla questione dell'appartenenza statale della città si è subito instaurato alla fine del conflitto.
Più che di trame occulte degli angloamericani, allora, si tratterebbe piuttosto di scarsa attenzione, nell'ambito di una gerarchia di problemi che vede le vicende legate al'occupazione nazista (e in misura minore gli "infoibamenti"; per i quali lo Psychological Warfare Branch opera alcuni accertamenti, e una nota diplomatica di protesta viene trasmessa al governo iugoslavo) relegate in fondo alla lista. Va peraltro sottolineata la circostanza che le stesse autorità militari iugoslave, durante i giorni dell'occupazione della città, si sono limitate a raccogliere parte della scarsa documentazione rintracciata nella Risiera senza avviare a loro volta un'approfondita istruttoria (di cui non risultano tracce negli archivi), pur essendo già allora emersi elementi e testimonianze precise sui crimini in essa commessi.

Non sarebbe azzardato concludere che il prevalere in questi mesi di altre priorità, rispetto alla giustizia per i crimini della Risiera, sia una delle tante conseguenze dell'ormai durissimo (almeno fino a tutto il 1946) conflitto per Trieste. Ed è in questo contesto che va collocata anche la pretesa delle organizzazioni dei comunisti giuliani di monopolizzare nel dicembre 1945 la gestione pubblica della memoria, come avviene in occasione della traslazione dell'urna contenente le ceneri di alcune delle vittime, trasferendo in tal modo anche sul delicatissimo terreno etico e religioso della memoria dei caduti - tutti accomunati dalla tragica sorte subita, al di là delle differenze politiche, religiose e nazionali - le divisioni ideologiche e nazionali che dilaniano la città.

E non è una forzatura sostenere che, accanto al disinteresse del Gma, a determinare il silenzio sui fatti della Risiera abbia fornito un contributo determinante la condizione della città stessa. Basti qui un semplice richiamo alla cronologia.
Gli alleati lasciano Trieste nel 1954. Anche se a partire dalla metà degli anni cinquanta alcuni intellettuali iniziano a squarciare finalmente il velo che ricopre quelle vicende, e anche se nel 1963 viene avviata la procedura per dichiarare la Risiera monumento nazionale (ciò che avverrà nel 1965), nonostante questi importanti passi avanti sul piano del risveglio della memoria collettiva, anche dopo la fine del Gma nessuna iniziativa sul piano giudiziario viene assunta a livello locale. Infatti, è solo per effetto dell'apertura in Germania nel 1964 di un procedimento contro gli uomini dell'Einsatzkommando Reinhard - nel corso del quale emergono le vicende relative all'operato di quegli uomini del Litorale Adriatico - e in conseguenza delle rogatorie che la magistratura tedesca promuove a Trieste, che la magistratura triestina deve prendere atto della necessità di aprire un'inchiesta. Nel 1967 è promossa d'ufficio un'istruttoria, che tuttavia viene frettolosamente chiusa nel 1969 per l'"impossibilità di procedere contro ignoti". E finalmente, nel 1970, il giudice istruttore Sergio Serbo, che ha condotto gli interrogatori per rogatoria per conto della magistratura tedesca, può aprire un'istruttoria presso il tribunale di Trieste in vista della celebrazione di un processo in Italia, ormai possibile per l'ampiezza e la rilevanza degli elementi acquisiti. Ma i problemi non finiscono qui. Il procuratore generale Santonastaso, nel 1972, invita l'Ufficio istruzione a trasmettere gli atti per competenza alla Procura Militare di Padova, che subito apre un'istruttoria in base al codice di procedura militare di guerra. Si tratta di una svolta che non si esaurisce in un conflitto di competenza in quanto l'attribuzione della competenza a decidere all'autorità giudiziaria militare comporterebbe inevitabilmente l'insabbiamento definitivo dell'inchiesta, per intervenuta prescrizione.
L'opposizione del giudice istruttore al trasferimento del processo al giudice militare, corroborata dalle memorie di alcuni avvocati di parte civile che chiedono la conferma della giurisdizione ordinaria, è determinante: il conflitto di competenze viene risolto dalle sezioni riunite della Cassazione il 3 febbraio 1973, riconoscendo la natura politica e non militare di reati "ispirati solo ai fini di odio politico e razziale". In tal modo l'istruttoria può essere conclusa e il processo celebrato.

Nella formulazione originaria il capo di accusa coinvolge quattordici persone tra ufficiali e subalterni delle SS, tutti tedeschi e ucraini.
L'esclusione dal rinvio a giudizio di nove subalterni perché non identificati e di tre ufficiali (Christian Wirth, Franz Stangl, Gottlieb Hering) perché da tempo deceduti, e poi la morte dell'ultimo comandante del reparto R (Dietrich Allers), avvenuta a pochi mesi dal dibattimento, riducono il numero degli imputati effettivamente giudicati al solo Oberhauser, allora birraio a Monaco, giudicato in contumacia.
Il dibattimento, svoltosi tra il febbraio e l'aprile 1976, ha dunque luogo di fronte a un banco degli imputati vuoto e si conclude con la condanna all'ergastolo dell'unico responsabile allora identificato e vivente, l'ex Obersturmfuhrer Joseph Oberhauser, ultimo comandante del lager. Processo parziale, dunque, quanto alla sua capacità di individuare e punire tutti i responsabili, ma anche perché circoscritto per scelta della pubblica accusa, condivisa dallo stesso magistrato inquirente, "ai soli fatti di soppressione di persone che per certo non avevano avuto ad esplicare attività contraria agli interessi militari dell'Autorità occupante". Quindi limitato alle sole vittime definite "innocenti", con esclusione delle ben più numerose vittime "non innocenti"; cioè "implicate in attività militari o politiche perseguite dalle leggi di guerra inevitabili in tali circostanze".

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