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Cura omeopatica dell'antipolitica: no grazie.

Solo la buona politica potra' curare la cattiva politica. Le scorciatoie sono illusorie e non risolvono il problema.

di Paolo Razzuoli

Consentitemi, gentili lettrici e lettori, di iniziare la mia riflessione con una citazione tratta dal dizionario:
"Omeopatia - (termine composto da due parole di derivazione greca che significano "simile", e "sofferenza"), è un controverso metodo terapeutico alternativo , i cui principi teorici sono stati formulati dal medico tedesco Samuel Hahnemann verso la fine del XVIII secolo. Alla base dell'omeopatia vi è il cosiddetto principio di similitudine del farmaco ("similia similibus curantur"), concetto privo di fondamento scientifico enunciato dallo stesso Hahnemann, secondo il quale il rimedio appropriato per una determinata malattia sarebbe dato da quella sostanza che, in una persona sana, induce sintomi simili a quelli osservati nella persona malata".

Il soggetto malato e' il nostro Paese e la malattia e' l'antipolitica.
Una malattia grave, capace di inoculare nel circuito sanguigno tossine ammorbanti e distruttive. Sono le tossine dell'egoismo, della rassegnazione, della sfiducia, della frammentazione, della mancanza del necessario senso della comunita', che segna il confine fra una nazione ed un'assieme di tribu'.
Tutti mali che affliggono l'Italia di oggi, in alcuni casi mali antichi in altri mali recenti, comunque portatori di una sofferenza dell'intero corpo sociale di cui si avvertono oggi tutti i sintomi.

Certo la crisi economica e' emergenza primaria, ma la crisi italiana ha sfaccettature piu' complesse che, cercando di sintetizzare, credo che possano essere riassunte nella caduta dell'etica della responsabilita' e nella progressiva perdita del senso di appartenenza ad una comunita' nazionale.
Le deviazioni della politica, e la sua progressiva ed inevitabile perdita di credibilita', sono evidentemente facce di questo problema.

Ormai da vari decenni e' venuto meno, in molti di coloro che sono stati chiamati a cariche politiche, il presupposto di base, vale a dire la imprescindibile consapevolezza del loro ruolo di servizio verso il Paese. Troppo di sovente si e' affermata la logica di "servirsi della politica" anziche' "servire la Politica". Ormai ogni giorno le cronache ci riservano notizie su scandali e ruberie. Ma al di la' di questi inammissibili episodi, e' la capacita' di visione che si e' affievolita, lasciando il posto ad un "gioco politico", che mette in scena una partita dedicata al ritaglio dei ruoli di singoli e/o di gruppi di potere, in barba ai veri bisogni della societa'.
Le istanze elettorali prevalgono ormai su logiche di visione e di progetto, che sono invece piu' che mai necessarie per immaginare un futuro in un mondo che sta rapidamente e radicalmente cambiando, e che non ammette vuoti nella capacita' di governo.
La politica in Italia e' stata molto attenta nell'invadere ogni ganglo della ssocieta' civile, (anche aiutata da un interessato apparato burocratico arrogante ed inefficiente), ma e' stata imperdonabilmente incapace nell'esercizio di una vera azione di governo, mirata ad una funzione maieutica per far emergere le migliori energie del corpo sociale che fortunatamente l'Italia copiosamente possiede, quindi per creare sviluppo e futuro per i nostri figli.

Lo iato fra cittadini ed istituzioni e l'antipolitica montante, sono il portato di questo scenario. E' ridicolo stracciarsi le vesti: e' il risultato di decenni di politica deviata, in cui anziche' pensare all'interesse generale del Paese si e' pensato al soddisfacimento di interessi di gruppi di pressione, con evidenti intenti di ricerca del consenso.

E' un male pero' che va saputo affrontare con gli strumenti giusti: quelli della presa di coscienza, della partecipazione, dell'impegno collettivo, della capacita' di tenersi distinti e distanti da visioni demagogiche e salvifiche.
La crisi attuale, che non e' ovviamente solo un problema nazionale anche se qui ha le sue specificita', richiede piu' politica e non certo antipolitica. Certo una politica intesa come capacita' di visione e di progetto, e non come mera occupazione della societa' o occasione di arricchimento personale.
Ma deve essere ben chiaro che la cattiva politica si combatte con la buona politica: non certo con l'antipolitica ne' con i tecnici, anche se tecnici di qualita'.
IL nocciolo del problema sta proprio qui: ricreare le condizioni per il rilancio della buona politica; se fosse sufficiente trovare buoni tecnici, il Paese ne ha sicuramente molti a disposizione.

Immaginare un progetto di sviluppo di una societa' e' azione politica, non tecnica. La tecnica e' il mezzo non il fine. Si potra' vedere la luce alla fine del tunnel della crisi - che e' ansitutto crisi antropica - se vincera' la filosofia e non la tecnicha o la tecnologia.

In Italia, e' ormai un ventennio che si alimenta la cultura dell'antipolitica, contrapponendo alla politica il mito della cosiddetta "societa' civile". Una visione populista su cui Berlusconi abilmente costrui' la sua "discesa in campo" del 1994, e che ha finito per attecchire in tutti gli schieramenti.
La crisi del tradizionale modello di partito ha favorito questo clima. Partiti "antenna", leaderisti, slegati da un autentico radicamento territoriale, hanno perso qualsiasi capacita' di agenzie di formazione politica, privando il Paese di una nuova vera classe dirigente. Uno scenario ideale per l'autoreferenzialita' della vecchia classe dirigente senza alternativa, se non in qualche figura presa all'ultimo momento dal variegato mondo delle professioni, messa al riparo sotto l'ombrello protettivo di una legge elettorale indecente e catapultata nelle istituzioni di rappresentanza popolare senza il tirocinio di un percorso democratico e, perche' no, di esperienza di governo nelle dimensioni locali.
Paradossalmente, si pretende di combattere l'antipolitica con la stessa antipolitica: con una medicina omeopatica insomma che, al di la' dell'apparenza, non offre alcuna vera garanzia terapeutica per i mali che affliggono la sfera politica del Paese.
Essere buoni docenti universitari, magari anche rettori, giornalisti o applaudite figure dello spettacolo o dello sport, e' sicuramente una condizione molto lodevole ma non e' certo garanzia di capacita' politiche. Magari in questo mondo dominato dalle apparenze e dai mass-media, potranno forse portare voti, ma la capacita' politica e' altra cosa. Ne consegue che queste scelte sono - da ovunque provengano - sintomo della malattia.
Una malattia che ha anche colpito l'insieme del montismo, i cui contenuti programmatici peraltro guardo con interesse, venato da un'opzione irresistibilmente tecnocratica che, se ne sia consapevoli o no, rappresenta essa pure un esito classico dell'«antipolitica». Certamente nomi nuovi sono stati inseriti nelle liste, probabilmente con un lodevole sforzo di attenzione alla fedina penale, ma con nessuna seria garanzia che questo personale risulti adeguato ai nuovi compiti per i quali si propone al corpo elettorale.
Una malattia che ha colpito anche il Pd, che pur ha alle spalle le belle pagine di democrazia che ha saputo scrivere con le primarie, ma che poi ha in parte smentito con candidature di figure, anche della societa' civile, chiaramente destinate a rafforzare la leadership di chi le ha scelte, nello specifico del Segretario aspirante premier e del nuovo corso.

Infatti, poche cose sono così sicure come il fatto che, al centro come a sinistra, coloro che risulteranno eletti con il crisma salvifico della societa' civile, alla fine, si adegueranno disciplinatamente ai vincoli e agli obblighi della politica, secondo la regola suprema che chi ha più forza, più potere, comanda: e poiché la gran parte dei cosiddetti esponenti della società civile di forza propria ne hanno poca o nulla, proprio essi - si puo' scommettere - risulteranno in definitiva i più intruppati e docilmente obbedienti.

Del PdL nemmeno occorre parlare, giacche' da quelle parti si applicano logiche aziendalistiche, ove peraltro non sono previste le rappresentanze sindacali.

La riflessione rimanda ai partiti ed al loro compito di formare la classe politica. Partiti che avranno tanti difetti, ma che sono certamente migliori del nulla di oggi. Un nulla nel quale la classe dirigente e' estranea a qualsiasi processo di selezione democratica. Una situazione mostruosa, ben rispecchiata in una legge elettorale che tutte le forze politiche hanno ipocritamente dichiarato di voler cambiare, salvo poi aver fatto ogni sforzo per lasciarla invariata. Una legge che e' un'offesa alla decenza ancor prima che alla democrazia: lo ha avvertito molto bene il Capo dello Stato, figura di grandissimo spessore istituzionale, culturale, politico e democratico, che, inutilmente, ha compiuto ogni sforzo riconducibile alle sue prerogative costituzionali, per convincere i partiti a rimediare a questo nostro vulnus democratico.

In questi ultimi decenni molta fortuna hanno ottenuto le proposte di natura "civica": un binario su cui ha ritenuto di doversi muovere anche Mario Monti, con la sua "Scelta civica".
Un'opzione che se puo' risultare praticabile nella dimensione locale, quando si pretende di esportarla in ambito nazionale mostra tutti i suoi limiti e la sua fragilita' sotto il profilo democratico.
Il vero problema da affrontare e' quindi quello di ridare credibilita' ai partiti: un compito arduo, ma l'esperienza ci ha ormai insegnato che non serve aggirare l'ostacolo, bisogna affrontarlo.
Solo cosi' potremo aspirare ad avere un personale politico preparato, che possegga i requisiti di base che a mio avviso sono:

Solo attraverso un percorso politico si potra' rinnovare la politica ed il personale ad essa dedicato.
Un personale che venga legittimato dal lavoro che sapra' costruire sul teritorio, e non investito per "scelta divina", indipendentemente dalla natura dell'Essere Superiore.

Il panorama attuale non e' certo incoraggiante e segna la distanza che dovremo percorrere: i troppi simboli con il nome del leader, sono la piu' eloquente cartina di tornasole dello spessore della crisi.
Un dato che attesta come ancora si pretenda di combattere l'antipolitica con la sostanza da essa stessa prodotta.
Insomma una cura omeopatica della patologia.

No grazie!

Lucca, 16 gennaio 2013

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