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Alcune riflessioni attorno al Capodanno 2013.

 

di Paolo Razzuoli

 

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     L’inizio di un nuovo anno porta con se’il bisogno, direi naturale, di trarre la sintesi per quello che si e’ chiuso, e di formulare auspici ed obiettivi per quello che abbiamo davanti.

  Ai lettori di Fucinaidee, come di consueto, offro alcune riflessioni, senza alcuna presunzione, con lo scopo di focalizzare l’attenzione su quelli che ritengo i nodi fondamentali del tempo che viviamo.

   Un tempo che, al di la’ di ogni retorica e/o luogo comune, e’ certamente molto complesso, in ragione delle trasformazioni rapidissime che investono i popoli di ogni latitudine e longitudine, che creano scenari deltutto nuovi da produrre una vera e propria rivoluzione antropica rispetto ai modelli conosciuti e consolidati.

  Non e’ necessario che mi soffermi sulle ragioni di questa “rivoluzione”. Sono ragioni ampiamente note: basti per tutte citare lo sviluppo tecnologico, l’abbattimento delle distanze quale conseguenza ad esso riconducibile, la globalizzazione intesa nella molteplicita’ delle sue implicazioni.

Fenomeni complessi, che investono ogni dimensione del vivere, sia nella sfera individuale che in quella sociale.

Fenomeni che non si possono certo arrestare, (sono illusorie le tesi che ad essi si oppongono), ma che richiedono una capacita’ di governo che al momento non sembra ancora essersi materializzata.

Di fronte ad una ormai diffusa presa di coscienza di problemi fondamentali per il mantenimento delle necessarie condizioni di vita sul pianeta, (basti citare per tutti  i temi ambientali o quelli dell’approvigionamento alimentare in ragione delle previsioni demografiche), fanno riscontro scelte attendiste, frutto della volonta’ di tutelare interessi consolidati, quindi piu’ mirate a prospettive di cortissimo corso che non ad una dimensione nella quale il futuro delle nuove generazioni sia il focus dell’azione politica di governo del pianeta.

 A cio’ vanno ovviamente sommati altri fondamentali temi quale quello della pace, della ridistribuzione della ricchezza, della riscrittura delle regole dei mercati finanziari, tema a mio avviso fondamentale, se si vorra’ evitare il ripetersi intermittente di crisi capaci di minare in profondita’ lo sviluppo di assetti pacifici fra le varie aree del pianeta.

Scrive Benedetto XVI nel messaggio per la giornata della Pace 2013: “In effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.

Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini”.

  Poche righe che fotografano la complessita’ degli scenari contemporanei, e che indicano quanto cammino deve ancora essere percorso affinche’ possa essere inaugurata una stagione di autentico rispetto della persona umana.

  Non solo non sembrano essere in atto politiche migliorative ma, per vari problemi, le situazioni si stanno aggravando. Cito l’ampliarsi delle differenze nella distribuzione della ricchezza che stanno superando i tradizionali confini fra nord e sud del mondo, per investire discriminazioni anche all’interno di aree tradizionalmente etichettate come ricche. Mi riferisco al nord del mondo, ove si stanno creando ed estendendo fasce di poverta’ con dimensioni sempre piu’ preoccupanti. Un fenomeno che non puo’ certo essere affrontato con la mentalita’ egoistica, sempre piu’ diffusa soprattutto nel mondo occidentale, ne’ con un capitalismo selvaggio e sregolato, che assegna priorita’ assoluta al guadagno immediato, incurante di qualsiasi preoccupazione di creare e sviluppare condizioni di crescita per le nuove generazioni.

Tutto e subito e’ l’imperativo categorico degli impalpabili operatori della finanza: una filosofia capace certo di arricchire molto qualcuno, ma portatrice di conseguenze esiziali per i piu’, che hanno invece necessita’ di progetti legati a durature strategie di crescita, di equita’ e di sviluppo.

  Certo la globalizzazione ha anche aspetti positivi: ha consentito a un paio di miliardi di persone di uscire dalla poverta’. Il problema non e’ certo quello di impedirla: e’ invece quello di governarla, con un grande sforzo di visione e di progettualita’, non facile poiche’ non puo’ essere affrontato con le categorie di pensiero e gli strumenti tradizionali.

 Si uscira’ dalla crisi se prevarra’ questo sforzo di visione: insomma, se prevarra’ la filosofia sulla tecnologia. Cio’ non sottintende certo un pensiero oppositivo alla tecnologia. Il problema pero’ e’ quello di non confondere i fini con i mezzi: il fine e’ il progetto per l’uomo di oggi e di domani; fra i mezzi, sicuramente un posto di prim’ordine e’ da assegnarsi allo sviluppo tecnologico.

 Una consapevolezza che non sembra poi cosi’ consolidata: ben vengano pertanto i richiami, da intellettuali e figure rappresentanti le piu’ svariate culture, tradizioni, posizioni religiose e storie personali.

    IL mondo occidentale dovra’ sapersi misurare con una realta’ nuova in cui il peso economico delle varie parti del mondo si e’ profondamente modificato. Ormai i paesi del cosiddetto BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud-Africa, hanno un pil galoppante, a fronte dell’affanno dei paesi occidentali. L’incapacita’ di gestire la globalizzazione, sta creando una paradossale divisione del mondo in due aree economiche, quella della produzione, paesi emergenti, quella dei consumi, paesi occidentali. Non vi e’ chi non comprenda che questa situazione non puo’ reggere, e che il superamento della crisi passa attraverso un ripensamento di questo modello, quindi rivitalizzando, pur in forme rinnovate e possibili, l’economia reale, senza la quale non penso si possa concretamente offrire una credibile risposta al tema dell’occupazione e del lavoro.

A scanso di equivoci, chiarisco che non sono cosi’ sciocco, come certi settori della politica nostrana, da pensare – sarebbe poi tutto da vedere quanto sinceramente - a barriere doganali. Pero’ qualche intervento sul fronte etico sarebbe possibile, purche’ si abbandoni la logica dominante del massimo profitto a tutti i costi, per imboccare una strada nuova, in cui la logica del profitto possa essere coniugata con quella del rispetto della persona.

 

  Spostando il focus della riflessione, non possono sfuggire i numerosi e sanguinosi conflitti in atto in varie aree del mondo.

In primo luogo il conflitto in Siria, particolarmente drammatico perche’ sta mietendo un numero impressionanti di vittime inermi, particolarmente odioso giacche’ si tratta di una tragica repressione operata da un regime sanguinario ai danni del suo stesso popolo.

Poi la vicenda israelo-palestinese, che si trascina ormai da oltre un sessantennio, e che sembra non trovare una via di sbocco e di composizione.

Una particolare attenzione va ai teatri di instabilita’ ove sono presenti nostri militari: penso soprattutto al Libano e all’Afghanistan ove la nostra presenza risulta fondamentale anche quale strumento di aiuto alle popolazioni civili, e che in Afghanistan, anche nel 2012, ha purtroppo visto cadere alcuni nostri valorosi soldati.

 Una particolare attenzione merita poi il nord-Africa, negli scorsi anni percorso da un fremito di rinnovamento e di richiesta di democrazia, che in Libia ha assunto connotazioni particolarmente drammatiche, e che ora sembra in preda ad un senso di smarrimento e di instabilita’, come attestato dalla recente vicenda egiziana.

 A queste situazioni, vanno poi aggiunti i conflitti interni e/o guerre dimenticate,quali ad esempio la situazione in Nigeria o in Somalia.

 Una pagina particolarmente drammatica e’ quella degli attentati a sfondo religioso, prevalentemente perpetrati contro i cristiani. Da statistiche attendibili, sembra che nel 2012 siano stati uccisi piu’ di centomila fedeli: l’anno si e’ chiuso con nuovi attentati a chiese nel nord della Nigeria, nel quale sono morte piu’ di venti persone.

     Il 2012 lascia al nuovo anno una eredita’ non certo semplice, sia sul fronte dell’economia e dello sviluppo sostenibile, sia sul versante politico per la presenza di molteplici situazioni di crisi, la cui mancata soluzione potrebbe degenerare con conseguenze imprevedibili.

   Al di la’ di ogni ottimismo-pessimismo, e’ lecito augurarsi che coloro che hanno responsabilita’ di governo ai massimi livelli, sappiano agire con profondo senso di responsabilita’ e con la consapevolezza che il loro primo dovere e’ quello di consegnare il miglior mondo possibile alle prossime generazioni. Di questo compito e’ sicuramente cosciente Barack Obama, confermato per il secondo mandato, che speriamo possa esercitare un ruolo piu’ incisivo di quanto non ha fatto nei primi quattro anni della sua presidenza.

 

 

L’Europa

 

    Il 2012 e’ stato per l’Europa un anno particolarmente turbolento per la grave crisi dell’Euro, che ha rischiato di travolgere le istituzioni faticosamente costruite in decenni di lavoro.

  Certo la costruzione europea poteva essere fatta molto meglio. La dimensione monetaria ed economica doveva procedere parallelamente al processo di integrazione politica che invece non c’e’ stato.

Vorrei tuttavia che non si dimenticasse la storia. L’Europa e’ stata per secoli teatro di guerre continue. E’ stata il punto di innesco delle due piu’ drammatiche conflagrazioni mondiali della storia dell’umanita’.

Oggi l’europa e’ un continente di pace, in cui a nessun europeo viene in mente di fare guerra ad un altro europeo, e in cui persone, idee e merci girano quasi da pertutto liberamente.

Un risultato straordinario, ottenuto in poco piu’ di sessant’anni di paziente lavoro, avviato grazie alla lungimirante intuizione di straordinarie figure di statisti quali De Gasperi, Adenauer e Schumann.

 Certo errori sono stati commessi, soprattutto sul versante dell’avvicinamento delle istituzioni comunitarie alla gente. C’e’ sicuramente un deficit di democrazia nelle istituzioni europee che, soprattutto in un tempo di crisi, sono individuate quali responsabili della situazione, e come entita’ che hanno espropriato gli stati nazionali della possibilita’ di approntare strumenti per il suo superamento. Tesi queste peraltro cavalcate dalle sirene del populismo, presenti non solo in Italia, che irresponsabilmente alimentano sentimenti anti-europeisti per fini meramente elettorali.

 Le crisi sicuramente sono fertili terreni di coltura di populismi e dell’esasperazione degli egoismi. Razionalmente invece, la crisi potra’ essere superata solo se prevarranno la cultura della solidarieta’ e politiche ad essa ispirate.

Certo il cammino e’ faticoso. Errori, come gia’ ho avuto modo di dire, se ne sono fatti, e sicuramente e’ necessaria una profonda riforma delle istituzioni europee. Troppo spesso si ha la sensazione che interessi delle economie piu’ forti tendono ad imporsi su quelle piu’ deboli. Ma al di la’ di una piu’ stretta coesione europea, che dovra’ prima o poi approdare ad una forma di Stati Uniti d’Europa, c’e’ la perdita di qualsiasi ruolo vero del vecchio continente nello scenario planetario. La via dell’integrazione e’ difficile e faticosa; lo si vede bene dagli affanni che precedono ogni seria decisione dell’Unione. Realisticamente, penso che non si potranno escludere fasi di integrazione a doppia velocita’ (pensare ad un cammino uguale per Paesi molto diversi mi pare sinceramente illusorio); ma la consapevolezza della meta da raggiungere deve essere patrimonio di qualsiasi statista europeo degno di questo attributo.

  Il tumultuoso 2012, nel quale la crisi greca sembrava trascinare nel baratro tutta la zona euro, ha visto il protagonismo di due grandi italiani: Mario Monti e Mario Draghi.

Monti e’ riuscito non solo a recuperare dignita’ al nostro Paese nel consesso europeo, ma ha avuto, grazie alle sue competenze, credibilita’ ed esperienza, un ruolo determinante per il raggiungimento di quanto di positivo si e’ fatto a livello comunitario.

Draghi, dalla Banca Centrale Europea, ha guidato la politica monetaria europea con senso di responsabilita’ e con piena consapevolezza delle implicazioni politiche ad essa legate.

Pur faticosamente, la creazione dello scudo anti-spread ed il controllo comunitario sulle grandi banche, sono passaggi importanti da non sottovalutare.

     Infine, ma non certo per ultimo, mi sembrano eloquenti le indicazioni dell’Agenda Monti che testualmente riporto:

 “La crisi ha impresso al processo di integrazione europea una accelerazione che sarebbe stato difficile immaginare solo pochi anni fa. Nei prossimi anni saranno scritte pagine decisive per il futuro dell'Europa e per il destino degli Stati che ne fanno parte. La scelta a favore o contro l'Europa e su quale Europa diventerà una linea di frattura fondamentale tra gli Stati e le forze politiche. L'Italia, Paese fondatore, deve essere protagonista attivo e autorevole di questa fase di ri-fondazione dell'Europa. Deve svolgere un ruolo trainante per promuovere nuovi assetti che rendano l'Unione Europea capace di perseguire in modo efficace, e secondo linee democraticamente decise e controllate, la crescita economica e lo sviluppo sociale del continente secondo il modello dell'economia sociale di mercato. L'Italia deve battersi per un'Europa più comunitaria e meno intergovernativa, più unita e non a più velocità, più democratica e meno distante dai cittadini. Le conclusioni del Consiglio europeo del 13-14 dicembre 2012 segnano l'avvio di un cammino per la costruzione di un'autentica Unione economica e monetaria basata su una più intensa integrazione fiscale, bancaria, economica e politico istituzionale. Le elezioni europee del giugno 2014 dovranno costituire il momento per un confronto trasparente e democratico tra le forze politiche europee sul futuro della costruzione comunitaria. Il prossimo Parlamento europeo dovrà avere un mandato costituzionale. Il rifiuto del populismo e dell'intolleranza, il superamento dei pregiudizi nazionalistici, la lotta contro la xenofobia, l'antisemitismo e le discriminazioni sono il denominatore comune delle forze europeiste.”

 

 

 

 

L’Italia.

 

     Avvio la riflessione sul nostro Paese partendo da cio’ che essa deve chiedere all’Europa. Parto da qui in considerazione di un contesto nel quale molte scelte fortemente impattanti sulla societa’ italiana vengono definite in sede comunitaria. Una dimensione fondamentale per lo sviluppo dell’intero “Vecchio continente”, ma che oggi sta vivendo una fase di caduta di consenso fra le popolazioni di molti Stati membri, nei quali si stanno sempre piu’ sviluppando movimenti antieuropeisti. Quel ritornello “ce lo chiede l’Europa”, che rimbalza in presenza di richieste di sacrifici, suona come l’imposizione di un esattore “ancien régime” che vessava il “Terzo Stato”.   

Mario Monti, nella conferenza stampa di fine anno 2012, ha giustamente sottolineato che l’Italia e’ parte fondante e fondamentale dell’Unione Europea, e che se sacrifici  vanno fatti, debbono essere il frutto di scelte condivise, finalizzate al ripristino di condizioni per un cammino di crescita.

Sempre Monti, nella sua Agenda, scrive:   

“L'Europa da sola non è la ricetta che risolve i problemi dell'Italia. L'Unione europea non è qualcosa al di sopra o al di fuori dei suoi Statimembri. Le sue politiche sono il risultato di un mix di interessi generali e interessi particolari dei vari Stati. Per questo trarre pienamente vantaggio dalla partecipazione all'Unione richiede una presenza costante e vigile per far valere il proprio punto di vista quando si definiscono le politiche, che poi fissano la cornice per le azioni a livello nazionale. Per contare nell'Unione europea non serve battere i pugni sul tavolo. Se non si convincono gli altri Stati delle proprie ragioni, si resta con un pugno di mosche in mano. Né serve fare i soci poco esigenti al tavolo del negoziato e magari provare ad allentare gli obblighi successivamente quando devono essere attuati. L'influenza sulle decisioni comuni nasce dalla credibilità, dal saper far valere peso economico e politìco, dal lanciare idee su cui creare alleanze. Per questo l'Italia, paese contributore al bilancio europeo e che sostìene finanziariamente lo sforzo di salvataggio dei Paesi sottoposti a programma del Fondo Europeo Salva-Stati, deve chiedere all'Europa politìche orientate nel senso di una maggiore attenzione alla crescita basata su finanze pubbliche sane, un mercato interno più integrato e dinamico, una maggiore solidarietà finanziaria attraverso forme di condivisione del rischio, una maggiore atenzione alla inclusione sociale e alla sostenibilità ambientale. Politiche che ne riflettono i suoi interessi e i suoi valori.”

     Ritengo deltutto da irresponsabili seminare l’antieuropeismo, come alcuni settori della politica nazionale stanno facendo. E’ un atteggiamento populista che, inserito in una cornice di altri populismi, fanno di chi li pratica soggetti negativi, che l’intelligenza degli italiani punira’ severamente.

 Non mi dilungo sui fatti politici del 2012 che sono a tutti noti. Cerchero’ invece di sviluppare attorno ad essi alcune riflessioni.

   Tramonto del berlusconismo. – La stagione del berlusconismo e’ al tramonto come forza propulsiva, capace di aggregare e rappresentare un blocco sociale. Certo, un mucchietto di voti ed un manipolo di parlamentari li raccogliera’, ma il grosso dei settori che avevano in esso creduto quale fattore di cambiamento guarderanno altrove.Questo movimento sta finendo nel peggiore dei modi, non solo con il tradimento dei suoi postulati iniziali, ma con un copione nello stesso tempo tragico e farsesco, nel quale la consapevolezza del fallimento viene mascherata con una baldanza ed arroganza che rasentano il ridicolo.

Finale in cui il capo e’ circondato da un gruppetto di comprimari, talvolta inconsistenti nella piu’ invertebrata sottomissione, talvolta paradossali in valutazioni nelle quali forse nemmeno loro credono, come l’On. Cicchitto, che parla di “vulnus istituzionale” a proposito della “salita in politica di Monti”, evocando una terzieta’ del presidente del Consiglio che il PdL ha sfiduciato, e come se nella storia della Repubblica non fosse tante volte accaduto che il presidente del Consiglio abbia fatto direttamente campagna elettorale. 

  E’ proprio sull’essenza della proposta politica, quella della liberta’, che il berlusconismo ha rivelato la mollezza dei suoi fianchi. In realta’ si e’ prodotta una legislazione non liberale, spesso addirittura autoritaria nei toni, sicuramente frutto di mentalita’ che temevano la liberta’ anziche’ esaltarla.

Mi vengono in mente a tal proposito queste parole di Luigi Sturzo “Fra coloro che amano la libertà per convinzione e coloro che amano la libertà a parole vi è una divergenza sostanziale: i primi sono convinti che la libertà rimedia ai mali che può produrre, perché al tempo stesso eccita energie nuove, spinge alla formazione di libere associazioni, sviluppa contrasti politici

e sociali dai quali derivano i necessari assestamenti; gli altri, invece, hanno paura della libertà e cercano sempre il modo di imbrigliarla con una continua

e crescente legislazione e con un’azione politica vincolatrice, che finiscono per soffocarla.”

 

     Crisi del sistema politico e ipotesi di sbocco. - La crisi del sistema politico si sta cronicizzando in Italia, e gli episodi accaduti nel 2012 non fanno che aggravarla.      

Ecco cosa ha detto il Presidente Giorgio Napolitano in occasione dello scambio degli auguri con le piu’ alte cariche dello Stato: “Ma ben più complesso e critico è il discorso da fare oggi rispetto all'evoluzione del sistema politico. In questi giorni, sulle colonne di un quotidiano, si sono amichevolmente richiamate le aspettative che un anno fa - in occasione di questo stesso tipo di tradizionale incontro - avevo enunciato. L'aspettativa, soprattutto, che - avviandosi e consolidandosi un clima più disteso nei rapporti politici - si producesse un sussulto di operosità riformatrice e anche un moto di rinnovamento dei partiti, del loro modo di essere, del loro rapporto con i cittadini e con la società. Si trattava - debbo dire oggi - di aspettative troppo fiduciose o avanzate, rispetto alle quali si è fatto sentire tutto il peso di resistenze ed ostacoli profondamente radicati, di antichi ritardi, di lenti e stentati processi di maturazione.

Lo dico con amarezza e preoccupazione, perché vengono da ciò alimentati il corso limaccioso dell'antipolitica e il qualunquismo istituzionale. Per le più che mature riforme della Seconda Parte della Costituzione, quella ora giunta al termine è stata purtroppo un'altra legislatura perduta: anche modeste modifiche mirate, frutto di un'intesa minima, sono naufragate. Il tema dei costi ovvero del finanziamento della politica, e quello connesso dei trattamenti riservati ai parlamentari, hanno formato oggetto di decisioni discutibili ma non trascurabili e da non svalutare, la cui eco è stata però soverchiata dal clamoroso esplodere di indegni abusi di danaro pubblico commessi da numerosi eletti nei Consigli regionali.

È in effetti rimasta ancora in larga misura da percorrere - e non solo sotto il profilo della moralità - la strada di una riqualificazione dei partiti politici, secondo regole coerenti col dettato costituzionale. Non sono mancati, è vero, stimoli e aperture a una maggiore partecipazione politica dei cittadini.

Ma il fatto imperdonabilmente grave è stato il fallire la prova della riforma della legge elettorale del 2005, su cui pure la Corte Costituzionale aveva sollevato seri dubbi di legittimità. Forte, motivato, tenace è stato il richiamo da parte di tante voci della società civile e del mondo del diritto, e - quante volte! - da parte del Presidente della Repubblica: ma più forte è stato il sopravvivere delle peggiori logiche conflittuali tra le forze politiche. Diffidenza reciproca, ambiguità di posizioni continuamente mutevoli, tatticismo esasperato: nessuno potrà fare a meno di darne conto ai cittadini-elettori, e la politica nel suo insieme rischia di pagare un prezzo pesante per questa sordità.”

     Napolitano, in molteplici circostanze, si e’ infatti fatto promotore di appelli al Parlamento affinche’ riformassero una legge elettorale liberticida, che produce un Parlamento di nominati anziche’ di eletti, causa, anche se non la sola, della faglia sempre piu’ profonda fra cittadini e istituzioni. Dico senza reticenza alcuna che a mio avviso le responsabilita’ di questo fallimento sono bipartisan: le valutazioni elettorali hanno finito per prevalere su qualsiasi volonta’ riformatrice.

Certo affrontare le elezioni con questa legge non sara’ facile, ed e’ verosimile che il primo partito risulti quello dei non votanti. Un dato sconfortante, per un Paese che ha bisogno di una riforma in profondita’ dei suoi assetti, che richiede un forte spirito di coesione fra cittadini ed istituzioni democratiche.

Il superamento delle situazioni di crisi richiede infatti piu’ politica, intesa come capacita’ di visione, di progetto e di gestione. In momento di grande espansione la societa’ ha una vivacita’ che le danno la forza di muoversi anche in situazioni di debolezza politico-istituzionale. Non e’ cosi’ nei momenti di crisi, nei quali le societa’ sono chiamate ad uno sforzo di coesione e di ripensamento dei propri modelli: fasi che richiedono una grande credibilita’ delle istituzioni ed una forte capacita’ di progettazione politica.

 L’antipolitica non si combatte con gli slogan. Essa e’ stata generata ed alimentata dalle infinite storture della politica, anche denunciate nelle frasi del Presidente Napolitano sopra riportate.

 Le storture della politica si potranno combattere solo grazie al forte, corale, tenace impegno della societa’ civile. Oggi chi piu’ parla male della politica e dei politici raccoglie ampia messe di consensi. E’ questo il risultato di decenni di errori e di scellerata arroganza della classe politica, che ha portato la frattura fra societa’ civile ed istituzioni sull’orlo del non ritorno. La ragione ci insegna pero’ che non serve sparare nel mucchio e cio’ che piu’ crea momentanei consensi non corrisponde a cio’ che serve per superare la frattura. La via da seguire e’ quella, sicuramente piu’ faticosa ma necessaria, della mobilitazione e dell’impegno.   

   Ha scritto Mario Monti:    «Insieme abbiamo salvato l'Italia dal disastro. Ora va rinnovata la politica. Lamentarsi non serve, spendersi sì. "Saliamo" in politica!”

  Ebbene, il rinnovamento di questo Paese e’ imperativo categorico che interpella tutti: non deleghiamolo; ritroviamo la voglia di impegnarci: solo cosi’ si potra’ contribuire al profondo rinnovamento di cui la nostra societa’ ha urgente bisogno.

    Per me e’ di grande significato che Mario Monti abbia proposto al Paese un’agenda, in cui si sintetizza una strategia di governo per la prossima legislatura. Ovviamente ogni valutazione del documento e’ legittima; non si puo’ pero’ negare che dopo decenni di lotte sugli schieramenti, l’Agenda Monti sposta il baricentro del dibattito sui contenuti, che consentiranno di capire come ad essi si rapporteranno le forze politiche in campo.    

La scelta di Monti e’ – a mio avviso - condivisibile per diverse ragioni.

   Ormai da quasi un ventennio il Paese e’ ostaggio di un bipolarismo selvaggio che ha prodotto solo danni. In teoria, l’assetto bipolare poteva essere una soluzione all’infinita transizione italiana. Cosi’ non e’ stato ed oggi e’ giunto il momento di ripensarlo, ampliando l’offerta politica in modo da dare dignitosa rappresentanza a coloro che non si sentono piu’ rappresentati da poli privi di una proposta al loro interno realmente condivisa, tenuti insieme da ragioni elettoralistiche, condizionati dalle componenti estreme.

Naturalmente nella situazione attuale, i due schieramenti tradizionali hanno carature profondamente diverse. Il centrosinistra ha scritto una bellissima pagina di democrazia con le primarie, mentre il PdL si e’ arrovellato in una farsesca girandola che sembra concludersi con l’incoronazione del solito leader-proprietario. Con ampi settori del Pd, molto e’ lo spazio di condivisione, sulla scorta di un disegno europeista; con il PdL dell’attuale Berlusconi, la frattura risulta insanabile. 

 Con l’azione di Monti, si potra’ forse sconfiggere il malificio che ha colpito la cultura liberal-riformista italiana, scippata da un gruppo di potere che l’ha piegata ai suoi interessi.

  Ha scritto Monti su twitter: “ho deciso di salire in politica: sono con gli italiani che vogliono il cambiamento”.       

  Si’, perche’ il Paese non ha bisogno solo di riprendere il cammino della crescita con il superamento di una crisi economica iniziata assai prima del 2008, ma ha bisogno di un profondo cambiamento di natura politica.      

Occorre aiutare la societa’ italiana a recuperare una mentalita’ europea, diffondendo la cultura della legalita’, lottando contro la mentalita’ dei furbetti del quartierino, lottando contro l’evasione fiscale, lavorando per una pubblica Amministrazione efficace ed efficiente, che consideri i propri interlocutori come cittadini e non come sudditi.

Occorre creare le condizioni per la ripresa, coniugando sviluppo ed equita’, rimuovendo privilegi frutto di un contesto ideologico ormai superato, ma anche costruendo una adeguata rete di protezione per le situazioni di debolezza.

Occorre in buona sostanza dare una dignitosa rappresentanza a quella vasta area del Paese che si ispira alla cultura politica del liberalismo riformista, che non trova piena legittimazione nei due grandi partiti italiani. Ecco perche’ la “salita in politica” di Monti, ha una straordinaria forza di cambiamento, per le conseguenze che potra’ produrre sui futuri scenari politici del Paese.

 Gia’ se ne vedono le avvisaglie, con nomi illustri che, provenendo da altre collocazioni, hanno aderito al progetto Monti.

 Un progetto che si sta aggregando attorno alle idee, anzichè sugli schieramenti o sulla leadership.

Un progetto che non nasce contro qualcuno o qualcosa, ma in favore degli italiani, per cercare di inaugurare una stagione di speranza.

Le isteriche reazioni del PdL, al di la’ della baldanza esibita, attestano la consapevolezza che per questa compagine e’ giunta l’ora del tramonto e la partita si sta chiudendo. Atteggiamenti che rendono ovviamente impraticabile qualsiasi forma di collaborazione. Diverso e’ l’atteggiamento del Pd, improntato alla consapevolezza della competizione, ma in un quadro di civile confronto elettorale.

  La scelta di Monti e’ sicuramente coraggiosa e comporta anche grandi rischi. Sul piano personale, sarebbe stato sicuramente piu’ comodo, e probabilmente anche piu’ redditizio sul piano politico, starsene da parte. Lo ha delresto detto con chiarezza nella conferenza stampa, aggiungendo pero’ che la sua scelta risponde ad un imperativo morale verso il Paese. Atteggiamento nobile, di grande spessore, supportato da una lucida analisi del contesto politico in cui in questo momento si trova il Paese. Cio’ premesso, se non ora quando?               

     I moderati. – Una riflessione merita la questione dei moderati: area che Berlusconi pretende erroneamente di rappresentare. Posto che cio’ che il centrodestra ha espresso in questi anni non ha niente di moderato, (nemmeno nel mal governo), senza un approfondimento, anche se ovviamente sintetico in questa sede, la nozione di moderati appare deltutto vuota di significato.

   Moderati si’, ma da moderazione o da moderatismo?

 Tento una definizione dei termini.

  La moderazione, quando è vera, è la prima virtù dell’uomo politico. Essa non è diversa dalla prudenza, che è la capacità strategica di raggiungere, con i giusti mezzi, il fine ultimo che ci si prefigge.

Altra cosa è il “moderatismo”, che è invece il rifiuto dei grandi obiettivi politici e culturali, in nome di un pragmatismo che mira solo alla conquista e alla conservazione del potere. Chi si ispira a questa pratica di vita, paventa l’affermazione chiara dei princìpi, che definisce “estremismo”. La verità gli sembra un eccesso, come del resto l’errore.

  Qualcuno ha detto che il moderatismo sta alla moderazione come l’impotenza alla castita’.

   I contenuti dell’Agenda Monti non sono certo ispirati al moderatismo. Anzi, postulano una riforma molto radicale della societa’ italiana, individuando mali e terapie di vasto spessore riformista. Un disegno che trova certo condivisione anche in settori del centrosinistra riformista, ma che viene rigettato dalla sinistra conservatrice, ancorata a visioni ormai impraticabili.

     I diritti. - Il tema della tutela dei diritti e della laicita’ dello Stato e’ ovviamente della massima importanza. MI permetto pero’ di sottolineare che forse c’e’ bisogno di meglio definire il concetto di diritti, per distinguerlo da quello di capricci o di desideri.

La forte spinta all’atomizzazione del tessuto sociale, con l’esaltazione dell’individualismo e/o dell’edonismo, porta ad una confusione fra diritti meritevoli di tutela, e altri atteggiamenti che forse proprio diritti non sono.

 Inoltre, penso che una riflessione debba essere sviluppata sulla differenza – che a mio avviso deve essere netta – tra rispetto delle condizioni personali, uno dei diritti fondamentali sancito dalla nostra Carta Costituzionale, ed equiparazione di strumenti giuridici che rispecchiano situazioni deltutto differenti.

  Pensare ad esempio ad un ordinamento basato sul diritto naturale, significa certo proporre un modello di organizzazione della societa’ civile, ma non certo negare dignita’ a chi vive altre esperienze, sulla base delle proprie condizioni personali. La circostanza che una tale visione coincida con quella della Chiesa Cattolica, non significa minare le fondamenta dello Stato Laico: si puo’ raggiungere la stessa meta pur percorrendo strade diverse. Stato laico non significa assenza di visione: visione in cui trovano posto limiti ad aspirazioni personali, laddove esse vengano ritenute confliggenti con valori rispondenti alla tutela di principi generali, quindi prioritari. Sono temi complessi, capaci di suscitare accesi dibattiti, da affrontarsi con grande attenzione, e proprio per questo liberandosi del peso di luoghi comuni che, dietro la facciata del progressismo, nascondono l’appiattimento su conformismi frutto di quei mali che altrove si pretende di combattere.

    Le emergenze. – L’elenco delle emergenze nazionali sarebbe molto lungo. Solo alcuni esempi: lavoro, crescita, equita’, scuola, problemi giovanili, sanita’, politiche sociali, dissesto idrogeologico, problema delle carceri, criminalita’ organizzata e comune e via dicendo.

Tutte emergenze vere, ma tu lettore mi consentirai di focalizzarne una, piu’ che un’emergenza e’ forse meglio definirla urgenza, che forse giudicherai astratta, ma che io ritengo fondamentale perche’ trasversale a tutte le altre: la necessita’ di recuperare l’etica della responsabilita’.

“Etica della responsabilita’” significa tantissimo. Significa avere il senso dei raporti con gli altri, dalla comunita’ domestica allo Stato; significa coscienza della funzione sociale di cui ciascuno e’ portatore nel proprio lavoro; significa prendere coscienza dei propri doveri chiudendo con la prassi di scaricare sugli altri le proprie responsabilita’; significa prendere coscienza di appartenere ad un popolo, a cui i destini individuali sono comunque legati.

  Il generalizzato decadimento dell’etica della responsabilita’ e’ una delle cause del declino del Paese. Non e’ evidentemente estraneo alla caduta demografica dei bambini nati da genitori italiani: tema che Monti ha avuto modo di sottolineare nella conferenza stampa del 23 dicembre.

Il piu’ bel regalo da chiedere al 2013 e’ quello che aiuti questa nostra meravigliosa nazione a invertire la rotta: sara’ un passo fondamentale per continuare a sperare!!!

     UN pensiero a Rita Levi Montalcini. – Ricordo questa grande scienziata e questa grande donna, scomparsa il 30 dicembre 2012, con le espressioni delle piu’ alte cariche dello Stato.

 Giorgio Napolitano: «Si è spenta, con Rita Levi Montalcini, una luminosa figura della storia della scienza. Il riconoscimento internazionale che ha premiato un'intera vita dedicata alla ricerca, ha costituito alto titolo di orgoglio per l'Italia, che garantirà

l'ulteriore sviluppo della Fondazione scientifica da lei creata e fino all'ultimo curata con passione. La sua ascesa a ruoli elevatissimi ne ha fatto un

simbolo e punto di riferimento per la causa dell'avanzamento sociale e civile delle donne, che l'ha vista personalmente impegnata anche fuori d'Italia.

La fermezza e dignità con cui di fronte alle persecuzioni razziali del fascismo scelse la difficile strada dell'esilio ha rappresentato un esempio straordinario

nel movimento per la libertà e la rinascita della democrazia in Italia. La serietà e dedizione con cui infine ha assolto alla funzione di senatore a vita

l'ha resa ancor più vicina, nel rispetto e nell'affetto, alle istituzioni e agli italiani. Mi associo con commozione e gratitudine al cordoglio dei famigliari

e del Paese”.

 Mario Monti: «Voglio ricordare la ricercatrice che con il Premio Nobel del 1986 ha

dato lustro al nostro Paese e alla ricerca scientifica. Ma soprattutto

voglio ricordare l'esempio di una donna carismatica e tenace, che ha dato battaglia per

tutta la vita per difendere i valori in cui credeva”.

 Renato Schifani: «L'Italia perde un grande scienziato e una grande donna, ma la sua

figura e il suo insegnamento rimarranno sempre vivi nel nostro ricordo e continueranno a costituire motivo d'orgoglio per il nostro Paese”.

 

  

Lucca.

 

     Ed ora poche righe dedicate alla dimensione locale.

La prima riflessione si appunta sulla vicenda della provincia. Gia’ in altre occasioni ho avuto modo di esprimere il mio pensiero negativo sul modo con cui il governo ha affrontato il tema. Non certo per mero conservatorismo, bensi’ per la sbrigativa semplificazione che sottintende la “ratio” del provvedimento, dettato da legittime ragioni di contenimento della spesa, ma carente di qualsiasi serio impianto di riorganizzazione politico-amministrativa del territorio. Per meglio chiarire: come si possono immaginare circoscrizioni provinciali quale quella ipotizzata fra Lucca, Massa, Pisa e Livorno, pensando di non dover rivedere l’amministrazione regionale?

 Un plauso e’ dovuto a quelle figure del nostro territorio che si sono spese con intelligenza e tenendosi al di sopra di atteggiamenti ispirati a meri campanilismi. In particolare mi riferisco al presidente Stefano Baccelli ed al Senatore Andrea Marcucci che, nelle dimensioni di loro competenza, hanno saputo tessere un ordito tenace ed intelligente, che sicuramente rappresentera’ un grande patrimonio di elaborazione politica allorche’ il tema sara’ ripreso.

     Spostando l’attenzione sul Comune di Lucca, il 2013 potra’ svelarci le capacita’ gestionali ed il respiro politico della nuova amministrazione. Un’amministrazione che si e’ insediata anche grazie al mio consenso, offerto per considerazioni di natura squisitamente civica, come ho avuto modo di scrivere a suo tempo. La compagine amministrativa e’ formata da persone sicuramente specchiate. Altra cosa e’ ovviamente il giudizio politico; il breve periodo trascorso dal suo insediamento non consente ancora alcuna seria sintesi valutativa sul suo operato. Ne riparleremo fra un anno.

    Infine alcune parole sulla situazione generale del comprensorio. La crisi morde anche qui e fa male. Forse, come ha avuto modo di dire il Presidente della Regione, Enrico Rossi, la nostra realta’ e’ messa meno peggio di altre, ma le prospettive non sono rosee.

La Toscana, e in questa la nostra provincia, posseggono uno straordinario patrimonio di arte, cultura, beni ambientali che, sostenuti dalla vivacita’ del nostro spirito creativo ed imprenditoriale, offrono grandissime opportunita’ di sviluppo anche nel complesso scenario del mondo globalizzato.

La condizione necessaria e’ pero’ che la politica faccia seriamente il proprio dovere, creando le condizioni affinche’ le potenzialita’ possano emergere. Cio’ vuol dire favorire logiche di sistema, vuol dire capacita’ di progettazione di prospettiva medio-lunga, vuol dire semplificazione burocratica, vuol dire sforzo per rimuovere le storture, antiche e meno antiche della pubblica amministrazione, vuol dire creazione di servizi alle imprese, vuol dire ammodernamento infrastrutturale, vuol dire creazione di strumenti per favorire l’imprenditorialita’ giovanile, soprattutto in quei settori che piu’ sembrano coerenti con le potenzialita’ di sviluppo del territorio.

 Un salto di qualita’ dell’azione politica, rispetto ad una prassi consolidata ovunque in Italia, che ha visto la politica piu’ propensa ad occupare spazi della societa’ civile, per controllarla, anziche’ porsi quale motore della sua organizzazione e del suo sviluppo.

 

 

Conclusioni.

 

     Anzitutto un auspicio ed  un augurio: che coloro che hanno responsabilita’ di governo, ad ogni latitudine e longitudine, ispirino la loro azione a criteri di onesta’, consapevolezza, volonta’, capacita’, lungimiranza.

 Onesta’, quale requisito morale fondamentale di chi e’ chiamato a compiere azioni per il pubblico bene.

 Consapevolezza, per saper leggere sino in fondo gli scenari in cui si e’ chiamati ad operare.

 Volonta’, per trovare lo slancio imposto dalla complessita’ e mutevolezza della contemporaneita’.

 Capacita’, per saper individuare gli strumenti che meglio possono aiutare a rimuovere le emergenze e soddisfare le richieste di cambiamento del tempo che viviamo.

 Lungimiranza, per saper disegnare scelte non basate sulla soddisfazioni degli egoismi del momento, ma capaci di ispirarsi a visioni di prospettiva, onde assicurare il futuro alle prossime generazioni.

     Veniamo ora al nostro Paese.

 Con quale stato d’animo  dobbiamo affrontare l’anno che e’ da poco iniziato?

Il mio suggerimento è di farlo senza perdere la fiducia nel futuro, ma poggiando bene i piedi sul piu’ spassionato, direi anzi spietato realismo e quindi sulla consapevolezza di ciò che ci aspetta e dei passi non facili che dovremo fare.

 Volendo comunque partire dal “bicchiere mezzo pieno” possiamo Dire che la crisi finanziaria che impose tre anni fa il salvataggio di tante banche a spese dei contribuenti è stata da noi meno grave che altrove, per la prudenza dimostrata dalle nostre banche, rimaste grazie a ciò al riparo dalla bufera. Possiamo dire che quando la crisi è diventata anche economica, l'Italia ha potuto avvalersi di un'industria manifatturiera più robusta di quella di altri e seconda soltanto a quella tedesca. Possiamo altresi’ dire che in un mercato globale nel quale la concorrenza dei Paesi emergenti può sostituire tante delle produzioni dei Paesi già sviluppati, l'Italia ha il suo inconfondibile patrimonio

culturale e la perdurante capacità di rinnovarlo, che le assicurano comunque uno spazio ed un ruolo.

Vi e’ poi stata l'azione e la credibilità del governo Monti, che ci hanno evitato il tracollo dei nostri titoli pubblici, che non a caso vengono oggi negoziati in tutta serenità, nonostante la stagione di incertezza politica che si sta aprendo in Italia (ma qui gioca

anche, e non poco, la rete di sicurezza europea, che finalmente sta prendendo corpo).

    Ma non possiamo realisticamente sottovalutare le molte cose che non funzionano, e che richiedono la necessita’ di affrontarle con i criteri richiamati all’inizio di questo paragrafo.

 Anzitutto la nostra situazione economica, che definire insoddisfacente e’ un generoso eufemismo. Accreditati studi e proiezioni sono tutt’altro che incoraggianti: la perdita di produttivita’ e competitivita’ sono impressionanti e le proiezioni propongono un quadro a tinte scure.

dobbiamo prendere atto che la saggezza delle nostre

banche, la qualità della nostra industria manifatturiera, la ricchezza

del nostro patrimonio

culturale non sono bastate a salvarci da quella che è oggi una autentica

recessione, né si prevede che bastino ad evitarci domani un ritmo di

sviluppo crescentemente inferiore alla media.

 Se e’ vero che le nostre banche non pagano il prezzo di rischi abnormi al pari di altre, e’ pur vero che hanno perso la loro funzione precipua, vale a dire quella di erogare credito per lo sviluppo.

 Se e’ vero che abbiamo un patrimonio culturale, artistico e paesaggistico straordinario, e’ altrettanto vero che non riusciamo a gestirlo in modo adeguato, cogliendone le straordinarie potenzialita’ quale motore di sviluppo.

 Vi e’ poi il tema della scarsa produttivita’, quindi scarsa competitivita’, gravi vulnus in un mondo globalizzato. Carenze frutto di numerosi fattori: la scarsa energia di un Paese che sta invecchiando, la bassa immissione di conoscenza ed innovazione in un sistema che ha finora tentato il recupero di competitivita’ puntando meramente sul costo del lavoro. A cio’ va sommata poi la caduta della domanda interna, quale conseguenza della compressione dei redditi.

 Lungo e’ l’elenco delle cose cattive in cui abbondiamo:

il numero di autorizzazioni e licenze di cui ha bisogno un'impresa in Italia e non

altrove, il tasso di mutevolezza delle regole a cui è assoggettato un progetto o un processo produttivo, il carico fiscale che grava sull'attività d'impresa,

la facilità con la quale in sede giudiziaria può essere rovesciato un contratto faticosamente stipulato con le rappresentanze sindacali ma impugnato da singoli che ne sono insoddisfatti, le diseconomie perduranti nelle nostre città per i servizi che mancano e per quelli che funzionano a singhiozzo, una pubblica amministrazione pletorica e spesso arrogante, una giustizia civile dai tempi biblici.

 Tutti temi che potranno essere fattivamente affrontati ove il Paese ritrovera’ se stesso, in una rinnovata cornice di solidarieta’ e di rilancio dell’etica della responsabilita’.

 Scrive Giuliano Amato sul Sole 24 Ore: “alleluia alle imprese che volano sugli ostacoli e si affermano nel mondo, alleluia alla storia a cui dobbiamo una grande eredità, che oggi possiamo non solo sfruttare, ma anche rinnovare in un sempre rinnovantesi made in Italy. Ma guardiamoci bene dal cullarci sugli allori e affrontiamo

le nostre carenze con tutta la durezza che serve. Una produttività totale così rovinosamente bassa dipende da noi che lavoriamo male, che litighiamo sul

da farsi anziché fare, che usiamo la ruota quadrata quando da tempo è in uso quella tonda, che difendiamo certezze vecchie quando è tempo di acquisirne

di nuove.

Abbiamo eccellenze e risorse che ci parlano di un'Italia migliore. Dobbiamo impegnarci a costruirla per tutti, spinti da una politica capace di fare il

suo mestiere, che è quello di mobilitarci in vista di un futuro migliore”.

 

     Infine, ma non certo per ultime per importanza, le elezioni del 24-25 febbraio.

Eloquenti le parole pronunciate dal Presidente Giorgio Napolitano nel suo messaggio di fine anno:

 “Le elezioni parlamentari sono per eccellenza il momento della politica.

Un grande intellettuale e studioso italiano del Novecento, Benedetto

Croce, disse, all'indomani della caduta del fascismo : "Senza politica,

nessun proposito, per nobile che sia, giunge alla sua pratica

attuazione". E ancor prima aveva scritto, guardando all'ormai vicina

rinascita della democrazia : "i partiti politici in avvenire si

combatteranno a viso scoperto e lealmente... e nel bene dell'Italia

troveranno di volta in volta il limite oltre il quale non deve spingersi

la loro discordia".

L'insegnamento è anche oggi ben chiaro : il rifiuto

o il disprezzo della politica non porta da nessuna parte, è pura

negatività e sterilità. La politica non deve però ridursi a conflitto

cieco o mera contesa per il potere, senza rispetto per il bene comune e

senza qualità morale”.

 

Ai lettori di Fucinaidee, i piu’ sentiti auguri di ub buon 2013!

 

Lucca, 1 gennaio 2013

 

 

 

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