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  Il Presidente 'poeta' e l ultima primavera di Praga, Vàclav Havel tra storia e leggenda!

 

di Federico Bini

 

Ci sono due modi per descrivere, ritrarre e raccontare Vàclav Havel. Uno è descriverlo con una frase, semplice e lineare, ' l'uomo che andò alla ricerca di se stesso, scoprendo i crimini del comunismo e la purezza dell'arte '. L'altra, che è la via che ho voluto intraprendere, stando a quanto diceva Havel, '' per favore sia breve'', è di descriverlo, immergendosi nella sua complessità storica, politica e filosofica. Egli non lo si può raccontare a tratti.    La sua vita è un ''opera d arte''. Un libro diviso in capitoli, dove ogni capitolo ti fa capire il successivo, e basta semplicemente che se ne salti uno, che tutto non torna e bisogna ricominciare dall'inizio. Con lui non si parla solo di materia politica come potrebbe sembrare descrivendo un Capo di stato. Egli si descrive unendo letteratura, storia, arte, teatro, filosofia, poesia e musica. Un percorso lungo, difficoltoso, a tratti delicato, ma sicuramente affascinante che alla fine porterà a farsi una domanda ...

 

I rintocchi di campane, risuonano nella gelida Praga. Non sono però natalizi, seppur delicati, ma tocchi che segnano la fine di un epoca, di una pagina di storia, di una vita vissuta. E' natale a Praga, come nel resto del mondo, maestosi abeti dominano le piazze principali della città, luci dorate e splendenti, chiasso gentile, pacato e  accogliente, aria di festa che avvolge tutto il paese. Freddo secco, nordico, quasi glaciale, invoglia ad assaporare le bevande di cioccolata calda, di grog, e del caratteristico vin Brulè, esposti nei tipici mercatini natalizi.
Ma in verità questo sarà un Natale diverso per la Moldava.  E' una Praga triste, momentaneamente '' appassita'',  lontana dalla sua ultima primavera. Silenziosa e spettrale, attonita e smarrita, racchiusa nel suo profondo e raccolto dolore. La nebbia,  le grigie e biancastre nuvole, il  rigido freddo rendono un aria ancora più gelida e malinconica sul far della sera. Il riflesso delle luci che ogni sera rende quasi dorati i palazzi in stile liberty, stavolta si perde nel buio. Pochi passanti nella città vecchia, poco traffico, anzi un traffico calmo, quasi rispettoso del lutto della sua città, vi è nella Piazza San Venceslao, dove s'innalza imperiosa la statua del Duca di Boemia, solitamente piena di turisti e cittadini. Il gotico e massiccio Ponte Carlo, che attraverso i suoi archi   ''abbraccia'' e fa scorrere  il fiume Moldava, il Castello di Praga  imponente e maestoso, la Cattedrale di San Vito con la sua torre rinascimentale e barocca, i marciapiedi spesso coperti da mosaici di marmo, la  pittoresca Viuzza d'oro, L'orologio astronomico in Starè Mèsto, che ogni ora mostra il corteo degli apostoli e la Torre delle Polveri rendono l' immagine  della purezza artistica, della bellezza intellettuale e della magnifica storia di questa città. Una città tra il vero ed il vero simile, tra il magico e l'apparente, tra fantasia e realtà.

La Città d'oro, la città delle cento torri, sinfonia di pietre, colori e forme. La ''Praga magica'' di Angelo Maria Ripellino, ''svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti...Fatti forza, resisti '', era il 1973 . La città che sapeva rendere felice Mozart, '' si i miei praghesi mi capiscono'', la città che seppe conquistare il cuore, la fantasia ed il genio artistico di Bertold Brechet, ''in fondo alla Moldava vanno le pietre, /sepolti a Praga riposan tre re./ A questo mondo niente rimane uguale/ la notte più lunga eterna non è''.   La '' mammina'' di colui che '' era un fanciullo debole e delicato; per lo più serio, ma disposto talvolta a fare il chiasso; un fanciullo che leggeva molto e non voleva fare ginnastica", Franz Kafka.  Ma anche la ''procreatrice'' di molti uomini comuni, onesti e valorosi, coraggiosi ed orgogliosi, operosi e silenziosi, pronti a battersi per quel sentimento, per quell'ideale, per quell'orizzonte che è il traguardo della libertà.Un traguardo che appare vicino ma che al momento della conquista sembra divenire sempre più un lontano miraggio.

Ed in questa schiera di uomini, noti e meno noti, in un lontano 5 ottobre 1936, da una colta e ricca famiglia borghese, a Praga nacque Vàclav Havel.

Cresciuto in un ambiente di caratura '' illuministica'', con la presa del potere nel 1948 del Partito Comunista cecoslovacco, sostenuto da Mosca,  e con l'instaurazione di un regime fortemente totalitario guidato prima da Klement Gottwald e poi da Antonin Novotny, la famiglia Havel fu messa in grave pericolo dopo che in un articolo del 23 febbraio del 1949, furono accusati di essere stati filo-tedeschi.

Gli Havel furono espropriati di tutti i loro beni. Le industrie presenti sul territorio furono messe al servizio di Mosca, migliaia di oppositori al regime vennero uccisi,  moltissimi operai costretti ad andare a lavorare nelle miniere di uranio, internati politici, violenze e colpi di armi, risuonavano nelle deserte e polverose vie della città.

Il giovane Vàclav, tra  restrizioni ed innumerevoli ostacoli, riuscì a compiere gli studi liceali, ma non pote accedere all'università, stando al motto stalinista dell' ''odio di classe''. Egli così si mantenne facendo dei saltuari lavoretti, per poi iscriversi ai corsi serali dell'Università Tecnica Ceca di Praga fino al 1957. Contemporaneamente studiò inglese  e  tedesco.

Terminato nel 1960 il servizio militare, lavorò come macchinista in vari teatri, dove iniziò a presentare alcune sue opere e proseguì lo studio della drammaturgia, una delle sue grandi passioni che lo accompagneranno per tutta la vita.

Il suo primo lavoro è '' La festa in giardino'' del 1963. Un teatro il suo, volto a stimolare l' impegno e la riflessione politica : '' provocare l'intelligenza dello spettatore, appellarsi alla sua fantasia, costringendolo a riflettere su questioni che lo toccano direttamente in maniera da vivere intimamente il messaggio teatrale".

Saranno questi anni importantissimi nella vita del giovane Vàclav, prima il matrimonio con la moglie Olga, compagnia di una vita.   «Io  un ragazzo  borghese,  un intellettuale eternamente  impacciato, lei una  ragazza proletaria molto originale, sentimentalmente sobria, a volte  mordace e antipatica».  

Poi, un '' piccolo spiraglio'' di apertura politica, una timida e delicata luce nel profondo buio della dittatura,  la salita al potere nel 1968 del segretario generale, Alexander Dubcek, che insieme ad altri componenti del suo partito, volevano cercare di trovare una reale soluzione per far coesistere assieme socialismo e democrazia. Molto dibattito, confronto, entusiasmo, gioia, speranza ed illusione avvolse un paese ferito ed oppresso.

Ma niente alla fine sembrò cambiare, anzi un destino ancora più crudele stava per abbattersi di li a poco su Praga.

'' Agli inviti della ragione si reagì inviando i carri armati'', disse Havel ed infatti era il 21 agosto 1968 quando da Mosca i terribili mezzi russi invasero l'intero paese.  Tra colpi di fucili, bombe, arresti, omicidi, violenze e repressioni, ci fu un giovane Jan Palach che decise di darsi fuoco, nella Piazza San Venceslao e divenire così il simbolo della Praga silenziosa, timorosa, ma pronta a resistere ed a combattere per la propria indipendenza e libertà, '' poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa''.

La Primavera di Praga era ormai lontana. Era una breve, triste e dolorosa parentesi di un presente che sembrava, ogni giorno che passava, un passato sempre più remoto.  La gloriosa città asburgica, era ora una silenziosa, angosciata, distrutta ''città prigioniera'' di Mosca.  Avvolta in un manto rosso, sotto il rumore terribile delle armi russe, Praga era entrata nel più rigido ed '' infernale inverno'' della sua storia.

Havel durante l'invasione sovietica partecipò come corrispondete su vari quotidiani e su '' Radio Cecoslovacchia libera '' prima che fosse definitivamente chiusa dal regime.                                                                                      Per mantenersi cominciò a lavorare in una birreria e continuò nel portare avanti la sua passione  e produzione per i drammi.

Saranno gli anni 70',  l'inizio di un lento e logorante '' sfaldamento''  del potere sovietico in Cecoslovacchia, dato dagli enormi problemi economici e dall'insofferenza politica della Slovacchia che non voleva sottostare a Praga, preceduta anche dalle famose dichiarazioni di Novotny, simbolo del comunismo più conservatore, che aveva definito gli slovacchi '' nazionalisti e separatisti''.

Ma sarà soprattutto la musica il filo conduttore di questa svolta. L'inizio del declino partì proprio da lei, dalla sua forza, dalla sua capacità naturale di saper svegliare ed infiammare gli animi umani e terminò in quei lontani anni 90'. Quando al castello di Praga arrivarono i Rolling Stone ed era divenuto Presidente quel ragazzo semplice, borghese e studioso che per mantenersi faceva diversi  lavoretti.

La rock band, i '' Plastic people of universe'', gruppo di musica psichedelica, molto popolare, erano stati repressi dal regime ed arrestati.

Ecco che a questo punto Havel, Jan Patočka, Zdeněk Mlynář, Jiří Hájek, Pavel Khout e 247 cittadini sottoscrissero un documento di dissenso nei confronti del governo comunista cecoslovacco che passò alla storia come Charta 77.

Ma Havel ed i suoi amici, non lavorarono da soli a questo progetto, furono appoggiati e sostenuti anche da altri gruppi di opposizione al regime comunista sovietico, quali il polacco Kor che possiamo definirlo come una Charta 76.  Proprio il 1976 fu un anno importante per la conquista dei diritti. Furono firmati ad Helsink i patti internazionali sui diritti civili e politici, anche da paesi vicini a Mosca. "Si trattava - ricorda Havel - di prenderle in parola e dire: qui ci sono scritte queste cose, e noi vogliamo che tutto questo sia garantito, e lo chiediamo in maniera pacifica".

Il 6 gennaio 1977,  Havel, l'attore Landowsky e lo scrittore Vaculik, furono fermati dalla polizia poiché sorpresi a diffondere alcune lettere.

Il testo del documento di Charta 77, apparve ufficialmente per la prima volta su un giornale in Germania Ovest ed i firmatari si presentavano come : "un'associazione libera, aperta e informale di persone [...] unite dalla volontà di perseguire individualmente e collettivamente il rispetto per i diritti umani e civili".

Charta 77 era un Manifesto di non violenza, di libertà, di civiltà, di democrazia che mirava a svegliare gli animi di tutti i cittadini per muovere una silenziosa ma imponente e capillare ribellione al regime. Compito rischioso e difficile visto che il governo vietava con leggi speciali l'aggregarsi in gruppi di opposizione.

Ed infatti la risposta del regime fu durissima : i quotidiani vicini al partito comunista '' bollarono'' il documento come  '' abusivo, antistatale, antisocialista e demagogo''. I firmatari furono definiti '' traditori e rinnegati'',                '' politici falliti'', '' avventurieri internazionali''.

Confische, perquisizioni, campagne denigratorie. Molti persero il lavoro, altri furono arrestati e rimasero in carcere per cinque anni, come capitò allo stesso Vàclav. Altri ancora persero la cittadinanza o furono espulsi.

Il regime aveva dimostrato che ogni prova di resistenza ad esso sarebbe stata vana e repressa duramente. Ma la forza delle idee, il desiderio di democrazia, di sovranità, cominciarono seppur lentamente e con molte difficoltà a far scricchiolare un regime, duro, violento e sanguinario, ma che nulla poteva però fare difronte ad un popolo intero che si univa per recuperare un diritto, fondamentale, anzi essenziale nonché '' umano'' quale la libertà.  Havel diceva infatti in questi difficili momenti : '' l'onnipresente e onnipotente stato'', cadrà '' vittima del suo stesso principio mortifero'' perché '' la vita la si può violentare a lungo e a fondo, la si può schiacciare e mortificare, è però impossibile fermarla definitivamente''. 

Havel fu condannato per '' sovvertimento alla repubblica'', fu rinchiuso con alcuni amici, nel carcere di Hermanice. Passava le lunghe, intrepide, intramontabili e dure giornate a saldare griglie di  latta e tagliare flange dalle lamiere. Gli mancavano i dolci, la cioccolata, la frutta, le sue pacate e razionali riflessioni intellettuali, gli mancava il teatro, ma soprattutto sentiva lontana la moglie Olga. Seguiranno giorni in cui passerà a leggere Brecht e Kafka, la Bibbia e Beckett.

Ma sarà proprio da qui, dal quel piccolo angolo di carcere, da una delle più ignobili e tristi pagine della sua vita,  che scriverà invece uno dei più nobili ed affascinanti capitoli della sua esistenza.                                                            '' Le Lettere a Olga'' , in cui  riuscirà ad unire e trasmettere amore, tenerezza, riflessioni filosofiche esistenziali, delicatezza umana, calore affettivo, vicinanza, passione, amarezza e sublimità culturale. Un unione di sensibilità artistica e dolcezza, di '' poesia'' e  magia, di grazia stilistica e delicato pathos. Prive di umorismo, per disposizioni del direttivo del carcere, riuscirà a rendere comunque l' immagine di un uomo afflitto e solitario, ma capace di resistere a questa sua ingiustizia anche grazie alla cultura, alla lettura, alla sua passione nel  ricercare sempre di apprendere qualcosa di nuovo, di insolito, di non scoperto fino ad ora ;  quel qualcosa che si vada ad aggiungere non solo alla mente, ma anche al cuore. E sarà quasi costretto, in questi lunghi anni solitari ed in compagnia, a dover trovare un compagno di viaggio. Un compagno di viaggio che lo prenda per mano e lo porti alla scoperta di se stesso, della propria interiorità. Saranno numerose infatti le sue riflessioni sull'esistenza umana, date anche dalle numerose letture kafkiane. Ed in questo suo lungo '' cammino''  in carcere, condividerà dolori e scoraggiamenti, forse proprio con quel Dio e con quella religione cristiana su cui lui rifletterà molto e di cui vorrà apprendere ''qualcosa in più'' , facendosi portare l' '' Introduzione al Cristianesimo'' di quel giovane Ratzinger che molti e molti anni dopo, salirà sul 'soglio' Pontificio come Benedetto XVI.  

Scrisse l'Editore Mazzariol di Havel, nella prefazione all'opera, secondo lui alta ed inusuale:« il  suo pensiero e  la sua religiosità, la grandezza e la forza culturale ed etica del suo umanesimo, la sua incommensurabile dignità di uomo».

Scorrendo le pagine delle sue lettere, si apprenderanno passaggi e frasi indimenticabili di un delicato, timido, umano ma profondo romanticismo privato e pubblico: “verità e amore, devono prevalere su menzogna ed odio”,  “ho trovato in  lei proprio quello  di cui  avevo bisogno: la risposta  mentale alla mia incertezza  mentale, un sobrio  revisore delle mie folli idee, un sostegno privato alle mie avventure pubbliche”.

Havel uscirà  dal carcere negli anni in cui scoppierà  la rivoluzione Polacca del 1980, e Gorbaciov a Mosca con la sua politica di riforme avvierà numerosi processi di cambiamento basati sulla   Glasnost (trasparenza), a Perestrojka (ristrutturazione) e Uskorenie (accelerazione - sviluppo economico-), che proporrà al ventisettesimo congresso del PCUS (nel mese di febbraio del 1986) mettendo fine alla Guerra Fredda e scongiurando così  il rischio di un conflitto nucleare tra Usa e Urss.

L' 11 ottobre 1986, Gorbaciov ed il presidente americano Regan si incontrano a Reykjavìk per discutere la riduzione degli arsenali nucleari installati in Europa. Ciò portò alla firma del Trattato INF del 1987, sulla eliminazione delle armi nucleari nel continente europeo.  L'anno successivo Mosca annuncia la fine della dottrina Breznhev, che permise ai paesi aderenti al blocco sovietico, di tornare ad essere stati liberi e democratici.

La fine della dottrina Breznev, conosciuta anche come '' dottrina della sovranità limitata'',  segnò un passaggio essenziale nell'evoluzione politica europea e mondiale. Nacque così la '' dottrina Sinatra'',  ( definizione scherzosamente data dal Governo Gorbaciov) riferendosi alla famosa canzone '' My Way''.   Gerasimov, capo del Dipartimento del ministero degli esteri russo, affermò: «Oggi in Unione Sovietica abbiamo sostituito la dottrina Breznev, che non esiste più e forse non è mai esistita, con la dottrina Frank Sinatra, dal titolo di una sua famosa canzone ognuno ha una sua strada. Credo infatti che oggi ogni paese dell'Est abbia la sua strada» .

Il Presidente Gorbaciov,  stava aprendo ad una nuova e tanto attesa primavera politica. Commentò un noto scrittore russo: '' Dio scelse- l'ateo Gorbaciov- e bastò la sua volontà di cambiare a mettere ammodo tutto il resto''.

Di li a poco, in Polonia alle elezioni semilibere, trionfò Solidarnosc e divenne Premier  l'intellettuale Tadeusz Mazowicki, amico di Havel e di Woytila. Era il luglio 1989, le strade della Polonia erano piene di gioia, di incredulità, di bandiere polverose e ammuffite che tornavano a sventolare, ma nessuno credeva che il comunismo sarebbe arrivato alla sua epocale fine.  Ed invece a poco a poco, i paesi satelliti, fino ad allora '' avvolti nel terribile manto rosso'', cominciarono ad insorgere.  Prima Praga, poi la simbolica e determinante caduta del Muro di Berlino, l'Ungheria e la fine del tiranno Ceausescu; '' Good Bye Lenin'' ! ... E  nella Praga di Havel era iniziata la Rivoluzione di Velluto.

Si cominciò il 17 novembre 1989,  con una manifestazione studentesca pacifica a Bratislava. Il giorno dopo una simile manifestazione, sempre pacifica, fu repressa violentemente  dalla polizia .                                            Questo evento provocò  una serie di dimostrazioni popolari per oltre un mese, rafforzato ad uno sciopero generale di due ore il 27 novembre.        I dimostranti pacifici riunitisi a Praga passarono da 300.000 a quasi mezzo milione.

Mentre i regimi "dell'Est europeo" stavano cadendo e la protesta aumentava nelle strade, il Partito

Comunista Cecoslovacco annunciò che avrebbe rinunciato al proprio potere politico.

Il 5 dicembre fu tolto il filo spinato al confine con la Germania Ovest e l'Austria. Il 10 dicembre  il

presidente comunista Gustáv Husák nominò un governo in buona parte non comunista e si dimise.

Era il 29 dicembre, quando lo slovacco Alexander Dubcek fu eletto presidente della Camera e   Vàclav Havel diveniva Capo di stato della Cecoslovacchia ed entrava trionfalmente, da vero  '' imperatore boemo'' nel castello di Praga. Giurò lealtà e senso dello stato nella sala Vladislao, dove vi rimarrà per quattordici lunghi anni. In questa sala vi furono incoronati re ed imperatori ma soprattutto qui si celebrò la grandezza e la fine del feroce comunismo sovietico-cecoslovacco. '' Il governo è tornato alla gente'' esclamò Havel !

La cerimonia tuttavia non terminò nel castello, ma come descrive bene Andrea Possieri sull' Osservatore Romano,  ''  proseguì nella cattedrale con la messa del Te Deum celebrata in occasione della nomina del presidente da parte del primate ceco František Tomášek. Non succedeva una cosa del genere dal 1948. «Ci troviamo qui nella cattedrale di San Vito — disse il cardinale — madre di tutte le nostre chiese. Come sempre durante i secoli passati, nei momenti di gioia siamo riuniti per ringraziare Dio della grande speranza che ci ha dato in questi giorni».

Havel attraversò la Porta d’Oro ed entrò in chiesa accompagnato dalla moglie Olga, la «brontolona»

come la definisce nelle sue memorie, che aveva sposato nel 1964. Prima di giungere alla cappella di

San Venceslao dove lo attendeva il vescovo Jan Lebeda, Havel si inginocchiò facendosi il segno

della croce davanti alla tomba dei re boemi e di fronte alle reliquie di sant’Agnese che era stata

recentemente canonizzata da Giovanni Paolo II. Poi sotto le splendide ed enormi navate gotiche

risuonarono le note del Te Deum laudamus di Antonin Dvořák, eseguito dalla Filarmonica di Praga.

Quella cerimonia, dunque, non fu solamente la riscoperta di un’antica liturgia che univa politica e

tradizione, cultura e religione ma rappresentò l’inizio di una nuova storia. Una storia di libertà di cui

Václav Havel era l’emblema più importante ''.

Alle elezioni democratiche dell'anno dopo, Havel vinse.                                                                                    Insieme ai democratici ed al vecchio Dubcek, Presidente del Parlamento, dettero vita ad una fase  costituente e nuova  per il paese. Restaurarono la libertà, la democrazia, cercano di rilanciare un economica fragile e sfruttata dai sovietici, ma non poterono non evitare la scissione della Cecoslovacchia.                                                                                                                           Nacque così la Repubblica ceca, di cui Havel fu il primo presidente e che grazie a lui,  prima entrò nella Nato e poi nell'Unione Europea. 

In quegli anni non ottenne solo riconoscimenti ed apprezzamenti in patria ma anche all'estero. Strinse un amicizia sincera con il Dalai Lama. Apprezzato dalla Regina Elisabetta, famose le sue foto in cui ride scherzosamente con Clinton difronte a due calici di birra, e poi con la Thatcher, Regan e Chirac. 

Ma sarà la divisione della Cecoslovacchia un atto politico molto duro che ferì l'animo passionale di Havel.  Rimase male e deluso da questa separazione. Forse fu una sua sconfitta, oppure semplicemente aveva visto e capito che i popoli si tengono uniti per legami di tradizioni, condivisione di valori, storia,cultura ed arte e non per tatticismi politici. Gli avversari lo attaccarono duramente, sostenendo che era un dilettante, un attore prestatosi alla politica, un politico principiante che non aveva avuto la forza, la tenacia, la determinazione e l'autorevolezza politico istituzionale di imporsi. A riguardo di ciò, in un colloquio con l'amico Michnik disse: '' spesso una collettività nazionale deve passare attraverso una fase di indipendenza per poter comprendere il significato dell'integrazione: infatti oggi sia i cechi che gli slovacchi fanno parte della stessa Unione europea". 

La politica, è come una fata, una dolce dama ottocentesca, appare affascinante, bella, pura, limpida, intrigante, come è infondo la sua natura, ma poi ci sono gli uomini, che la usano a proprio piacimento e ad un tratto la trasformano. Ed ecco svelarsi una dama maligna, spietata, ingrata, venale.  Havel conobbe nella sua vita tutti i lati, i volti e le maschere più belle, terribili ed ingannevoli della politica, ma rimase sempre se stesso, sapendo bene che tutto passa, ma la propria etica, la propria morale, no quelle rimangono sempre le stesse.

Seguirono a ciò altri momenti di grandi difficoltà e sconforto, la morte dell'amata moglie Olga, il cancro ai polmoni e all'intestino, a cui seguirono terapie durissime e delicate. Affrontò senza timori anche questa dura prova che la vita li pose davanti. Era come se la immaginava  l'ultima battaglia da compiere per se stesso e per la sua terra e non poteva certo andarsene da sconfitto.

Alla fine la vinse, sconfisse il cancro. Ma la malattia è un po' come una cicatrice, guarisce ma rimane, resta con te, forse ti cattura per sempre e solo al momento della morte te ne liberi totalmente. Ma questa battaglia lo aveva forse segnato più delle altre. Era cambiato fisicamente, era divenuto '' asciutto'' in volto, sofferente, minuto, sembrava un piccolo e gracile soldatino di gesso. Ma il sorriso, quello mai levò dal suo volto. Sempre cordiale, disponibile e pronto a dare consigli.  E' stato proprio Obama a volerlo incontrare dopo poco che era divenuto presidente degli Stati Uniti.  Lo stesso presidente americano alla morte de '' Le dissident '', ha scritto in una nota : '' mi sono ispirato alle sue parole e alla sua leadership'', ''avendo incontrato molti ostacoli, Havel ha vissuto con uno spirito di speranza, da lui definita come la capacità di lavorare per qualcosa perché e'  buono, non solo perché c'è una possibilità di successo''.

E dall'alto della posizione del castello di Praga, che domina imperioso e maestoso sulla Moldava, i praghesi ebbero dal 1989, un  '' padre '' in più , in quel lungo e vertiginoso cammino verso la riconquista della propria identità e serenità. Havel dal carcere aveva cercato di andare alla scoperta di se stesso. Adesso toccava a lui, aiutare i suoi concittadini a riscoprire se stessi ed un paese lacerato ma forte della sua storia e delle sue tradizioni. Vàclav pote così vigilare e vegliare meglio, su quella stessa città che per troppi e lunghi anni, visse tra la paura ed il dolore, tra il tedio e la disperazione, tra la clandestinità e l'oscurità. 

Egli salì sul '' gradino'' più alto del potere boemo, con l umiltà dei grandi e con il sorriso che lo contraddistinse sempre. Anticomunista convinto, anticonformista, tollerante, liberale e democratico. Statista laico e moralista. Lungimirante e razionale. Unione di morale e politica.  Vedeva la vita come una '' rappresentazione teatrale'', e la giudicava da critico, con humor e sottigliezza. Era il simbolo del '' potere dei senza potere''.  Sorriso limpido, seducente, signorile, come il suo stile. Simpatia e semplicità, onestà etica ed intellettuale. Seduttore ed attore. Dissidente e contestatore. Barista e macchinista. Drammaturgo e scrittore. Gestualità raffinata e fine, ma mai eccessiva. Era un po' il Regan hollywodiano di Praga!  Amore per la cultura, umanità e senso dello stato. Abile e spontaneo. Spigliato e deciso. Amante delle birrerie e dei caffè, '' Il poeta dei caffè che sacrificò la fantasia al bene comune'', ha scritto Claudio Magris.  Spirito di sacrificio e amante della politica come servizio. Rispettoso e tagliente, ironico e pungente. Umorismo e sarcasmo, briciolo di follia e disinvoltura, unite a genialità ed umanità.  Nervi saldi e battuta  pronta. Eleganza sobria e mai fuori dalle righe. Occhi di ghiaccio, sguardo profondo, penetrante e sincero, alcune volte un po' assente. Forse ricercava attraverso i suoi occhi e nei ricordi, quel dolore e quello scorrere di immagini cupe che aveva vissuto in quel tempo così vicino, ma che ora era divenuto finalmente passato, un passato pesante e forse incancellabile, ma che doveva superare, per il bene suo e di tutto il popolo, che in lui ripose gran parte delle proprie speranze ed aspettative. Maglioni neri a collo alto, jeans, giacconi di pelle, vestiti gessati con l immancabile fazzoletto bianco, blu, rosso o viola, sempre portati con umile sobrietà.  Sigaretta sempre accesa e braccio destro leggermente e timidamente elevato sempre con moderazione e timidezza nel salutare le folle, i passanti , i sostenitori che lo acclamavano.

Presidente rock. Simpatizzante dei Rolling Stone e di Frank Zappa, che  invitò nella sua residenza quando era premier. La band suonò il primo concerto in un paese ex comunista allo stadio Strahov di Praga.

Ma se follia e genialità, come detto, erano caratteristiche principali della sua personalità unite anche ad un po' di sano realismo ed ironia, non stupisce quando disse che avrebbe voluto Frank Zappa come ministro della cultura. Tutti ci risero sopra e la questione finì lì.  Ma nel 1990 per lo stupore di tutti e l'irritazione degli Stati Uniti, lo nominò '' Ambasciatore speciale in Occidente per il commercio, il turismo e la cultura''.

Amico del chitarrista statunitense Lou Reed, che era sorpreso e meravigliato di come un' attore e drammaturgo potesse avere quella passione civile e politica. E' bellissima l'immagine di Havel, in abito nero elegantissimo, fiocchetto nero impeccabile sulla candida camicia, fazzoletto bianco composto e delicato, capelli al vento,  sorriso smagliante e gestualità da miglior attore  hollywoodiano, con il bicchiere nella mano destra,  si rivolse al  cantautore e disse sorridendo: '' lo sai che se sono Presidente è grazie a te ? ''.

Unì la musica,la letteratura e la poesia ,la filosofia e la storia, l'arte ed il teatro,  che per lui non erano così distanti dalla materia politica, ma anzi potevano assieme essere le armi più forti, più efficaci per affrontare ogni sfida. Più forti dell'odio, della menzogna e della repressione.  <<In Occidente gli scrittori sono spesso presenze decorative, artisti pretenziosi, celebrità. Da noi è diverso>>.  

La vita di Havel è stata una candida melodia. Una sinfonia mozartiana, spumeggiante ed incalzante. Un libro in continua stesura, scritto in maniera stilografica, con cura, leggerezza, passionalità, sofferenza ed umanità. Un dramma a lieto fine. Una poesia suggestiva. Una lunga e breve, ma intensa lettura '' burkiana'' che produce forti emozioni all'animo.  Un immagine solenne di un genio artistico e politico. Una vita vissuta per lo più lontana dal palco teatrale, che egli tanto amava. Ma consumata su un altro palco, quello della politica, della scena internazionale, della realtà quotidiana. Come ogni attore, prima ha imparato a recitare, poi ha studiato ed approfondito la materia, ma alla fine, dopo essere stato ad imparare ed a subire in più le repressione del regime, ha cominciato a scrivere la sua vita come un vero regista, sapendo bene che questa era la sua unica vera ed '' insbagliabile '' scena. Poiché se sbagliava, battuta o copione, sceneggiatura o musica, non c'erano ne fischi, ne lanci di frutta. C era la fine di una speranza, di un destino, di un affetto, di molti orizzonti che i suoi spettatori, il popolo cecoslovacco prima e cieco dopo, avevano riposto nella sua persona. Si, la sua persona, la sua figura. Nella storia della politica, gli ideali valgono, ma ad oggi molto contano anche i carismi, le personalità, il modo di porsi, di comunicare. Vàclav Havel in questo è stato un maestro. Serviva aggrapparsi a qualcuno dopo tanta oscurità,  i ciechi trovarono lui, il ragazzo borghese di caratura '' illuministica''. Riuscì in molte sfide, ne vinse altre, sbagliò, però era umano, come tutti noi e questo non va mai dimenticato.

La vita di Havel, spiegò lo scrittore ceco Milan Kundera , «è interamente costruita su un solo grande tema; non ha il carattere di un vagabondaggio, non conosce cambiamenti di orientamento. È una sola gradazione continua e dà l’impressione di una perfetta unità compositiva». Insomma, la vita di Václav Havel è «un’opera d’arte».

Un '' opera d'arte'' che tutti i ciechi vogliono conservare come autentica fino all'ultimo istante.

E' un momento unico questo,  tutti i cittadini ciechi si sentono protagonisti e partecipi con il loro dolore, ma anche con il loro affetto. E' l'ultimo saluto, l'ultimo tributo, l' ultimo omaggio, l'ultima lacrima versata per chi come loro ha creduto e vissuto lottando e sentendosi sempre in dovere di rispondere alla coscienza propria e del proprio popolo, una caratteristica alquanto inconsueta per molti governati di oggi.

Questa e' l ultima chiamata del loro Presidente-rivoluzionario-intellettuale, a ritrovarsi tutti assieme sotto un'unica bandiera. In questi tristi e gelidi pomeriggi e sere, giovani, donne, bambini ed anziani, hanno portato moltissime candele e fiori in via Nazionale, luogo simbolo  della manifestazione studentesca del 17 novembre 1989.                                                                                                                  ''Grazie a Vaclav Havel, il mondo conosce anche cose positive sul nostro paese. In lui non c'è menzogna, né corruzione", ha detto una giovane praghese.  Anche in piazza Venceslao, dove i cittadini ciechi, si batterono contro i carri  armati russi a mani nude, ci sono fiori e candele che rendono di notte l'immagine di un paradiso illuminato, silenzioso e splendente che quasi raffigura l'animo nobile ed artistico del suo ultimo '' padre''.                                       I praghesi hanno salutato il loro Havel anche davanti alla sua casa ed al castello di Praga, su cui sventola una grande bandiera nera.                                                                                                                                                              

"Per noi rappresentava tutto quello che democrazia e libertà significano. Era un uomo coraggioso che aveva lottato a nome di tutti noi... ", ha detto piangendo un semplice cittadino molto anziano.

''Grazie Presidente , cercheremo di non deluderla'', ripetono i più.

Era iniziato tutto dalla sala Vladislao e dalla Cattedrale di San Vito  ed oggi qui tutto finisce, o forse in verità non potremo mai scrivere la parola fine !

Passano gli uomini, le mode, le stagioni, gli amori, gli anni, ma la forza delle idee e delle parole, no quelle non passeranno mai. Certo, potranno essere dimenticate nel caos di una vita sempre più volta alla '' fiumana del progresso'' ed alla globalizzazione che alla conservazione dei sani valori etici, civili e famigliari. Si potranno perdere nel vuoto, o  magari andare ad '' infilarsi'' in qualche vecchio cassetto della nostra memoria. Ma non svaniranno mai. Torneranno prima o poi alle nostre menti, alle nostre pacate riflessioni, come le rondini tornano ai loro nidi, le api agli alveari e le farfalle ai loro bozzoli.

La bara con sopra la bandiera ceca, portata su una carrozza scortata. Una lenta e lunga marcia verso il castello. All'avvicinarsi degli imponenti e regali cancelli, si apre un suggestivo panorama su Praga, avvolta in un gelido alone grigio.  Ai lati della via migliaia e migliaia di cittadini, con in mano fiori e bandiere che sventolano, hanno applaudito e si sono commossi al passaggio del corteo. Un manto imperiale, asburgico e regale ha accompagnato Havel nel suo ultimo cammino. Sulle note del '' Kde domov muj '', Vàclav è stato 'accolto' nella sala Vladislao.

Tappeto rosso, palcoscenico imperiale, 'scenografia' architettonica tra il magico ed il reale, tra il sublime ed il gotico, la bara di Havel viene posta vicino all'altare.  Ai lati raffinati e magnifici candelabri in argento, emettono una timida luce. Vicino, una grande foto, con due nastri neri. Fiori bianchi, rossi e blu, si ' fondono' con i colori delle luci dorate e degli antichissimi e lavorati vetri della navata centrale. Un palcoscenico teatrale perfetto, degno del miglior attore, ma anche del miglior imperatore boemo. Forse da ragazzo, non si sarebbe mai immaginato di salire su un balcone e parlare con gesti socratici difronte ad una folla che lo acclamava. Ma nemmeno si sarebbe mai immaginato di concludere la sua vita tra le magnifiche arcate del castello di Praga. Il luogo simbolo del potere , della grandiosità, del successo e della sovranità moldava.

Seduti, silenziosi e commossi, i più importanti capi di stato mondiali. Un atto dovuto il loro, ma anche un riconoscimento ad un uomo, prima che politico. Un uomo da cui tutti hanno tratto singolarmente un messaggio, una parola, un idea, un gesto significativo. Un uomo che ha reso grande ciò che era piccolo ed immenso ciò che era minuscolo.

Fuori dalla cattedrale, ad attenderlo, una folla immensa, quasi impietrita, lo ha aspettato per l'ultimo, l' ultimissimo saluto.

Le bandiere ceche sventolano su Praga. La Cecoslovacchia è tornata per un giorno ad essere unita. L'inno risuona nelle vie. Le campane danno gli ultimi tocchi di addio. La folla, riunitasi, si separa per tornare nelle proprie case, alla sua quotidianità.   Si accendono le luci al castello, un immagine dorata avvolge la sua magnificenza architettonica. Ormai è sera.  Nell'immenso e buio cielo moldavo, brilla qualche timida stella. Ma poi passano le grigiastre nuvole e tutto torna come prima. E così forse, sarà anche per i ciechi. Ognuno da oggi torna alla sua vita. Infondo tutto scorre. Tutto passa. Tutto muta.

Certo,mancherà loro un ' padre'. Ma mancherà sulla terra. Havel continuerà a regnare sul suo popolo dal più alto dei mondi, quello dei cieli. Da lassù, in quell'universo sconosciuto, incognito ed irraggiungibile per l'umanità, dove si dice non esservi mali. Forse avrà tutte le risposte che cercava sull'esistenza dell'uomo. E certamente si chiederà come scrisse una mia Amica un tempo lontano, unendo sensibilità artistica ed amore per la filosofia, se sulla terra, siamo           '' Proprietari del nulla''.   '' Ogni uomo – (scrisse )- a un certo punto del suo cammino, si ritrova faccia a faccia con la vita: il più timoroso cerca di sfuggire, il più temerario si impegna nella ricerca di un senso, il più saggio è consapevole della sua nullità. Nasciamo senza volerlo, viviamo senza saperlo, moriamo senza chiederlo...Noi siamo semplicemente rame che crede di essere oro, ma in realtà non è neanche metallo...Ci troviamo dispersi per vie sconosciute, immersi in domande a cui non si vorrebbe neanche rispondere, presuntuosi e convinti di poter far tutto, ma incapaci di affrontare anche solo noi stessi...In realtà, proprio quando riusciremo a percepire di essere vivi, solo allora moriremo, lasciando la nostra vita a chi ancora non ha assaporato la bellezza di essere proprietario del nulla''.

Vaclàv Havel. Il Presidente poeta e l ultima primavera di Praga. Una storia ed una leggenda vissute alla ricerca dell'esistenza umana.

 

Come promesso, mi conceda però una domanda.

 

'' Per favore -stavolta- sia breve'' (Havel).  

 

Ma chi era veramente Lei ?    ....

 

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