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il rapporto censis 2011 sulla situazione della societa' italiana

a cura di Paolo Razzuoli

L'italia della crisi: in 4 anni un milione di giovani ha perso il posto di lavoro.
Famiglie più deboli, meno autostima. A disagio con i poteri finanziari. Cresce l'idea di «responsabilità collettiva» e la richiesta di una classe dirigente onesta in privato e in pubblico.

Giunto alla 45ª edizione il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese in una difficile congiuntura. Le Considerazioni generali introducono il Rapporto sottolineando come la società italiana si è rivelata fragile, isolata, eterodiretta. Ma al di là del primato degli organismi apicali del potere finanziario, il passo lento del nostro sviluppo segue una solida traccia: valore dell’economia reale, lunga durata, relazionalità e rappresentanza. Nella seconda parte, La società italiana al 2011, vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno: quel che resta del modello italiano, le cause del ristagno economico, come ridare forza al potenziale di crescita. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, il governo pubblico, la sicurezza e la cittadinanza.

La societa' italiana: l'immagine di una diffusa fragilita'

Più fragile, isolata e guidata da poteri esterni. È l'immagine dell'Italia nel 45esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale. Dall'indagine esce il ritratto di un Paese dove la crisi non ha soltanto inciso sui fondamenti economici, ma anche sulla consapevolezza e sulle aspettative degli italiani nel proprio futuro.

I GIOVANI

E veniamo alle cifre. In Italia i giovani sono al centro della crisi: la difficile situazione economica si è abbattuta come una scure sugli under 35. In 4 anni il numero degli occupati è diminuito di 980.000 unità e nel 2010 quasi un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni non studia nè lavora, consegnando così al Belpaese un triste primato a livello europeo. Lo rivela il 45esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Inoltre molto alta, rispetto alla medie Ue è la quota degli scoraggiati: l'11,2% tra i 15 e 24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra i 25 e 29, non è interessato nè a lavorare nè a studiare, mentre la media europea è pari rispettivamente al 3,4% e all'8,5%. Dunque il futuro della ripresa occupazionale resta incerto e mentre il mercato è sempre più incapace di garantire sbocchi professionali, i mestieri manuali sembrano non conoscere crisi.

LAVORO

Nel mercato del lavoro i più colpiti sono stati i giovani, per quanto vittime loro malgrado di un calo demografico senza precedenti. Tra il 2007 e il 2010 il numero degli occupati è diminuito di 980.000 unità, e tra i soli italiani le perdite sono state oltre 1.160.000. Poco meglio è andata alla generazione immediatamente precedente. Anche tra i 35-44enni la crisi ha mietuto vittime, am con un impatto decisamente più contenuto: 100.00 posti di lavoro in meno, per un calo dell'1,4%. Di contro, nelle generazioni più mature i livelli occupazionali non solo sono stati salvaguardati, ma sono addirittura aumentati: +7,2% l'occupazione tra i 45-54enni e +12,9% tra i 55-64enni. La quota dei giovani cosiddetti 'Neet', sottolinea il Censi, ha ripreso a crescere con l'inizio della crisi economica, attestandosi nel 2010 al 22,1% rispetto al 20,5% dell'anno precedente. Tra il 2007 e il 2010 è aumentata l'occupazione straniera (quasi 580.000 lavoratori in più, di cui circa 200.000 nell'ultimo anno, con un incremento complessivo del 38,5%), mentre quella italiana ha registrato la perdita di 928.000 posti di lavoro (-4,3%), di cui 335.000 nell'ultimo anno. La frenata della crisi nel 2010 (bruciati 153.000 posti di lavoro, contro i 380.000 del 2009) e i dati positivi per il 2011 (+0,4% gli occupati nel primo semestre) fanno sperare in una chiusura d'anno con segno positivo. Viene meno la capacità di tenuta dell'occupazione a tempo indeterminato. Dopo due anni di tendenziale stabilità, si riduce dell'1,3% nel 2010 e dello 0,1% nel primo semestre del 2011. Si segnala però una crescita significativa del lavoro a termine (+1,4% nel 2010 e +5,5% nei primi sei mesi del 2011) e del lavoro autonomo (dopo cinque anni di contrazione, nel 2010 c'è una prima tiepida crescita: +0,2%).

VALORI POSITIVI

L'altra faccia del momento negativo è un recupero di serietà, di coscienza di una responsabilità collettiva «pronta a entrare in gioco come spesso è accaduto nei passaggi chiave della storia nazionale». Emergono nuovi giudizi su antichi vizi: l'80% condanna l'evasione fiscale. La tradizionale rete di salvezza, rappresentata dalla famiglia, comincia a mostrare «segni di debolezza, con riferimento alla patrimonializzazione e alla solidarietà intergenerazionale». In altre parole: le famiglie sono meno ricche di prima e stentano a dare «protezione" in momenti di crisi come accadeva in passato. Però l'Italia ha ancora dalla sua parte elementi che possono consentire di uscire dalle difficoltà: il valore dell'economia reale, base del sistema delle medie e piccole aziende, le eccellenze dei territori, la capacità di aggregazione che mantiene anche una base di solidarietà possibile.

POTERI FINANZIARI

Nel 2008-2009, secondo il rapporto Censis, «avevamo dimostrato una tenuta superiore a tutti gli altri, guadagnandoci una good reputation internazionale». Ma ora «siamo fragili a causa di una crisi che viene dal non governo della finanza globalizzata e che si esprime sul piano interno con un sentimento di stanchezza collettiva e di inerte fatalismo rispetto al problema del debito pubblico». Siamo anche «isolati, perché restiamo fuori dai grandi processi internazionali. E siamo eterodiretti, vista la propensione degli uffici europei a dettarci l’agenda». I punti di forza tradizionali, (capacità di adattamento, processi spontanei di autoregolazione nel welfare, nei consumi, nelle strategie d’impresa) non funzionano più. «Viviamo esprimendoci con concetti e termini che nulla hanno a che fare con le preoccupazioni della vita collettiva (basti pensare a quanto hanno tenuto banco negli ultimi mesi termini come default, rating, spread) e alla fine ci associamo ma da prigionieri di culture e interessi che guidano quei concetti e quei termini».

COSA CI ACCOMUNA

Il 46% dei cittadini si dichiara «italiano»; i «localisti» sono il 31,3% e si riconoscono nei Comuni, nelle regioni o nelle aree territoriali; i «cittadini del mondo», che si identificano nell’Europa o nel globale, sono il 15,4%; i «solipsisti», che si riconoscono solo in se stessi, sono il 7,3%. La famiglia è indicata dal 65,4% come elemento che accomuna gli italiani. Seguono il gusto per la qualità della vita (25%), la tradizione religiosa (21,5%), l’amore per il bello (20%). Cosa dovrebbe essere messo subito al centro dell’attenzione collettiva per costruire un’Italia più forte? Per più del 50% la riduzione delle diseguaglianze economiche. Moralità e onestà (55,5%) e rispetto per gli altri (53,5%) sono i valori guida indicati dalla maggioranza degli italiani. Ed emerge la stanchezza per le tante furbizie e violazioni delle regole. L’81% condanna duramente l’evasione fiscale: il 43% la reputa moralmente inaccettabile perché le tasse vanno pagate tutte e per intero, per il 38% chi non le paga arreca un danno ai cittadini onesti.

FAMIGLIA E CASA

L’82% delle famiglie italiane sono proprietarie della loro abitazione, percentuale da sempre più alta che negli altri Paesi europei. L’attivo finanziario delle famiglie, al netto dei debiti, ammonta al 175% del Pil, quota maggiore che in Francia (131,5%), Germania (125,2%), Spagna (77,5%). Ma in valore assoluto c’è stata una erosione del patrimonio, passato dai 3.042 miliardi di euro del 2006 a 2.722 miliardi (-10,5% in valori correnti, -16,3% in valori reali). Se all’inizio degli anni ’80 il reddito da lavoro era il 70% del reddito familiare complessivo, nel 2010 la quota si è ridotta fino al 53,6%. RETI RELAZIONALI- Le famiglie sono anche cambiate. Nell’ultimo decennio l’Italia ha perso 739.000 coppie coniugate con figli (-8%), sono aumentare di 274.000 unità le coppie non coniugate con figli, le famiglie monogenitoriali (345.000 in più: quasi +19%) e i single (quasi 2 milioni in più: +39%). Mentre diminuisce la presenza della famiglia allargata di un tempo, assumo importante le «reti di prossimità» (il 43,4% definisce il vicinato una comunità in cui tutti si conoscono, si frequentano e si aiutano) e di aiuto. Svolge attività di volontariato oltre il 26% degli italiani (più di 13 milioni di persone) e più del 32% degli italiani (15 milioni) dichiara di aver fatto donazioni a organizzazioni. Ci sono poi le reti che creano servizi supplettivi rispetto al welfaretradizionale: quasi 6 milioni di persone sono coinvolte in forme di mutualità in sanità, con circa 10 milioni di beneficiari.

AUTOSTIMA

Siamo uno dei Paesi al mondo dove è più forte lo scarto tra quello che all’estero si pensa di noi e la reputazione che noi stessi ci attribuiamo. Nella classifica della percezione internazionale ci collochiamo in 14ª posizione, prima di Regno Unito, Spagna, Francia e Stati Uniti. Perdiamo 2 posizioni rispetto al 2009, nulla di paragonabile al downgradingdi Spagna, Irlanda e Grecia. Ma nella classifica della reputazione interna, l'Italia era al 26° posto su 33 Paesi esaminati nel 2009, scivoliamo fino al terz’ultimo posto su 37 Paesi nel 2011. RICHIESTE ALLA POLITICA-Più razionalità e meno presa all’adesione per simpatia, fascinazione e carisma. Si chiede una classe dirigente di specchiata onestà sia in pubblico che in privato (59%), che i leader siano preparati (43%), illuminati da saggezza e consapevolezza (42,5%).

PRODUTTIVITA'

Nell’ultimo decennio gli occupati sono aumentati del 7,5%, ma il Pil è cresciuto in termini reali solo del 4%. Germania e Francia hanno registrato una crescita del Pil rispettivamente del 9,7% e dell’11,9%. Si è ridotta la nostra capacità di generare valore. La produttività oraria è andata progressivamente calando. Nel 2000, fatto 100 il livello di produttività medio europeo, l’Italia presentava un valore pari a 117, sceso nel 2010 a 101 (133 la Francia, 124 la Germania, 108 la Spagna, 107 il Regno Unito). Tale dinamica è stata condizionata dalla qualità della crescita occupazionale degli ultimi anni, con un aumento dei lavori a bassa o nulla qualificazione a scapito di quelli più qualificati.

SCUOLA

Il tasso di diploma delle superiori non va oltre il 75% dei 19enni. Se poi circa il 65% dei diplomati tenta ogni anno la carriera universitaria, tra il primo e il secondo anno di corso quasi il 20% abbandona gli studi. Il tasso di occupazione per i laureati è del 76,6%, all’ultimo posto tra i Paesi europei. Con la crisi la richiesta di laureati nel mercato del lavoro è addirittura diminuita. E difficilmente i giovani sono chiamati a coprire ruoli di responsabilità in tempi brevi, iniziando i percorsi professionali spesso al di sotto delle loro competenze: il 49,2% dei laureati 15-34enni e il 46,5% dei diplomati al primo impiego risultano sottoinquadrati. IL CONTRIBUTO DEGLI IMMIGRATI - Sono oltre 4,5 milioni gli stranieri che vivono in Italia. Quelli che lavorano regolarmente sono più di 2 milioni, impiegati nei servizi (59,4%), nell’industria (19,5%), nelle costruzioni (16,7%), in agricoltura (4,3%). I titolari di impresa stranieri, sono aumentati dal 2009 al 2011 del 10,7%. Rappresentano il 10,7% dei piccoli imprenditori, ma a Prato sono il 38,9%, a Firenze il 21,5%, a Milano il 20%, a Trieste il 18,6%, a Roma il 16,9%. Particolarmente presenti in alcuni settori: le costruzioni (il 20,2% degli imprenditori attivi) e il commercio al dettaglio (18,1%). E le donne sono protagoniste: oltre 77.000 imprenditrici straniere (il 21,8% del totale).

Alcuni approfondimenti

(Materiali dai siti: www.corriere.it - www.ilsole24ore.it)

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