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Per coniugare sviluppo e giustizia: Economia e coesione sociale

di Michele Dau

Le difficoltà economiche del mondo occidentale non devono porre in ombra quanto sta avvenendo nel panorama globale. Più di 80 Paesi, infatti, stanno crescendo con una velocità pari al doppio della media dell’area Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) negli ultimi dieci anni. Milioni di persone stanno così uscendo da una povertà atavica che, fino a ieri, appariva quasi ineluttabile. La crisi che ha investito il nord America e l’Europa ha, nei fatti, rafforzato le economie emergenti che hanno trovato un maggiore spazio competitivo nelle debolezze e nei ritardi strutturali del vecchio mondo.

Tuttavia, se la distribuzione della ricchezza fra le Nazioni sta migliorando, non altrettanto sta avvenendo all’interno di ciascuna realtà nazionale. In molti Paesi, infatti, l’aumento vertiginoso del prodotto lordo determina maggiori tensioni e distorsioni, sollecitando, fino al rischio della rottura, la stessa coesione sociale. È questo il tema di un recente documento dell’Ocse che si propone di misurare e comparare questi fenomeni in un quadro in cambiamento. La coesione sociale è un fattore apprezzato dai cittadini e implica, alla base, un forte senso di appartenenza comunitaria e una sostanziale uguaglianza di opportunità per tutti. È un concetto di coesione basato su principi di libertà, di responsabilità e di iniziativa di ogni persona, e si contrappone ai modelli di coesione forzata quando le società erano costrette entro forme antiche di socialità e di mobilità.

Le classifiche mondiali per quanto aride, consentono tuttavia raffronti utili, quantomeno nelle grandezze macroeconomiche. Sono 83 i Paesi emergenti che stanno convergendo rapidamente verso l’area Ocse più avanzata, mentre erano solo 16 nel 1990. I Paesi ancora strutturalmente poveri erano 55 e sono divenuti 16. I Paesi «affluenti», cioè i più ricchi fra tutti, sono 42, mentre erano 34 vent’anni or sono. Nel volgere di due decenni la geografia economica è, dunque, mutata alle fondamenta ed è sempre di più necessario dotarsi di atlanti e mappe, territoriali e concettuali, nuovi per esaminare i fenomeni mondiali.

Malgrado la forte crescita le disuguaglianze sociali aumentano rapidamente. Se si guarda solo ai più grandi Paesi in movimento si può osservare che le distanze sociali crescono in Cina, in India e in Sud Africa. Anche la Russia è interessata da questa tendenza. Solo il Brasile si muove nella direzione opposta, anche se le dinamiche sociali sono tutte in corso. Quasi ovunque si viene riducendo l’area dell’estrema povertà, misurata secondo gli indicatori che quantificano le risorse per soddisfare i bisogni essenziali di base e anche il fabbisogno calorico minimo. Diminuisce in tutti i Paesi emergenti il valore prodotto in agricoltura, mentre aumenta un po’ quello nell’industria e ancor di più nel settore dei servizi. Tuttavia la povertà rimane un fenomeno relativo perché quando si superano i bisogni primari di sopravvivenza si aprono scenari di nuova povertà relativa, legata all’accesso all’istruzione, alle cure mediche, alla casa, al lavoro stabile, alla tutela dei bambini e delle famiglie, alla protezione della vita in età anziana. L’asticella, dunque, si sposta sempre verso l’alto, ponendo sempre nuove sfide alle società e agli Stati. Così la coesione sociale è nuovamente sfidata e sollecitata da spinte e aspettative di milioni di persone che, uscite da una condizione di mera sussistenza, cercano di costruire il loro futuro umano, personale e familiare. Gli ordinamenti istituzionali e sociali dovrebbero così tendere a riconoscere e a perseguire obiettivi di riequilibrio e di giustizia sociale, per sostenere la formazione di sempre più ampie fasce di ceti medi ai quali assicurare standard di sicurezza e di benessere sociale complessivi. Queste fasce sociali possono anche divenire anche le forze trainanti della crescita e dell’integrazione sociale.

A questi fini, come sottolinea l’Ocse, è decisivo il ruolo degli Stati, delle politiche fiscali e di bilancio e della capacità di intervenire in modo tempestivo ed equilibrato per offrire adeguate reti di servizi a tutti e per tutelare le condizioni di esclusione. Politiche fiscali basate su principi di progressività e di proporzionalità, e gestite con regole e organizzazioni trasparenti ed efficaci. L’acquisizione di queste basi statuali richiede poi, ovunque, un completo passaggio alle forme della democrazia sociale e politica, con la valorizzazione del pluralismo delle posizioni, dei corpi associativi e delle comunità locali. Mentre questi processi si svolgono, con accelerazioni nell’economia e una maggiore lentezza nella costruzione di nuovi equilibri della coesione sociale, il mondo occidentale non dovrebbe rimanere ripiegato sui propri problemi regionali. Insieme a nuove visioni sono necessarie nuove aperture e strategie di cooperazione internazionale.

I processi globali interpellano tutti, e in particolare i Paesi che hanno radici più solide, risorse e tecnologie, ma anche corpi sociali più evoluti. Le sfide sono quelle dell’integrazione e dell’equilibrio di ciascun popolo, ma anche, e sempre di più, quelle dell’integrazione aperta e dinamica fra i popoli e le culture, assicurando la maggior attenzione alle generazioni più giovani che in questi scenari stanno crescendo. Superare egoismi e ristrettezze, per tutto l’Occidente, vorrebbe dire anche accelerare una via solida per la ripresa del progresso, interrotto non solo dalle crisi bancarie ma anche da chiusure localistiche e tentazioni di proteggere quel che si è raggiunto, dimenticando che lo sviluppo dei popoli è un complesso cammino collettivo.

(da L'Osservatore Romano - ediz. del 25 novembre 2011)

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