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L’ITALIA, I MERCATI E L’EUROPA - False illusioni, sgradevoli realtà

di Mario Monti

Silvio Berlusconi ha spesso sostenuto che, grazie alla personale autorevolezza riconosciutagli dagli altri capi di governo, l’Italia ha acquisito un peso maggiore, a volte determinante, nelle decisioni europee e internazionali.

In questi giorni, ciò rischia di essere vero. Ma è una verità amara. Nelle riunioni dell’Unione europea e del G20 che cercano di arginare la crisi dell’eurozona e di invertire le aspettative, l’Italia avrà il ruolo cruciale. Cruciale come fonte di problemi, purtroppo; non certo come influenza sulle decisioni da prendere, tanto più che siamo già oggetto di «protettorato » (tedesco-francese e della Banca centrale europea).

È ormai convinzione comune — in Europa, in America e in Asia — che non sarà la Grecia a far saltare l’eurozona, con le possibili conseguenze: disintegrazione dell’Unione europea, crisi finanziaria globale, grave depressione, crisi sociale drammatica. Potrebbero esserlo, per la loro dimensione, la Spagna o a maggior ragione l’Italia. La Spagna è più avanti nel processo di ripartenza politica ed economica volto a padroneggiare la crisi. L’Italia è più indietro. Lo mostrano anche i tassi di interesse sul debito pubblico: più alti per l’Italia che per la Spagna. (E ora, più alti per l’Italia che per la Polonia, benché questa, non facendo ancora parte dell’euro, presenti un esplicito rischio di cambio).

L’Italia è più indietro perché non c’è stato neppure il minimo riconoscimento di responsabilità da parte del governo. In Spagna, invece, il governo ha addirittura lasciato il campo e indetto nuove elezioni e, intanto, ha chiesto e ottenuto una collaborazione con l’opposizione per alcune misure essenziali. In Italia il governo e la maggioranza, pur avendo mancato di visione strategica sulla politica economica e avere indulto a lungo a un ottimismo illusionistico, preferiscono scaricare su altri le responsabilità. L’opposizione avrebbe «impedito al governo di lavorare» (accusa che peraltro accredita le opposizioni di un’identità politica e di un’efficacia di cui si stenta a vedere traccia). I magistrati avrebbero «costretto» il capo del governo a occuparsi soprattutto di loro, piuttosto che dell’economia o dei giovani senza futuro. La «sinistra », così evanescente come forza di opposizione, eserciterebbe però un’influenza assoluta sui corrispondenti a Roma della stampa estera; sarebbe per questo, solo per questo, che vengono scritti nel mondo tanti commenti critici sul presidente del Consiglio e sul governo.

Devo riconoscere che, spesso richiesto all’estero di giudizi sul presidente Berlusconi e sul suo governo, non ho mai assecondato le colorite espressioni usate dai miei interlocutori nel formulare la domanda e ho sempre sottolineato che, se c’è un «problema Berlusconi», deve essere un problema di noi italiani, che l’abbiamo democraticamente eletto tre volte. La prima volta, posso aggiungere, nella speranza di molti che emergesse anche in Italia una forza liberale.

Oggi, mi pare però importante che il presidente del Consiglio — al quale forse fanno velo un’ovattata percezione della realtà e una cerchia di fedelissime e fedelissimi che, a giudicare dalle apparizioni televisive, toccano livelli inauditi di servilismo — si renda personalmente conto di alcune sgradevoli realtà. In Europa e negli Stati Uniti (mi sembra anche in Asia, dove però non ho fonti dirette altrettanto esaurienti):
1) pur riconoscendo all’economia italiana punti di forza e un notevole potenziale, si nutre grande preoccupazione per un’Italia che, in mancanza di crescita economica e di riforme vere nel settore pubblico e nei mercati, potrebbe essere vittima (non innocente) di forti attacchi nei mercati finanziari;
2) si identifica proprio nell’Italia il possibile fattore scatenante di una crisi nell’eurozona di dimensioni non ancora sperimentate e forse non fronteggiabili. Il mondo, non solo l’Europa, potrebbe subirne gravi conseguenze;
3) le principali responsabilità di questa situazione vengono attribuite al governo italiano in carica da tre anni e mezzo;
4) la permanenza in carica dell’attuale presidente del Consiglio viene vista da molti come una circostanza ormai incompatibile con un’attività di governo adeguata, per intensità e credibilità, a sventare il rischio di crisi finanziaria e a creare una prospettiva di crescita;
5) queste valutazioni, comprese quelle riportate ai punti 3 e 4, vengono formulate anche —e con particolare disappunto e imbarazzo—da personalità politiche europee, inclusi alcuni capi di governo, appartenenti alla stessa famiglia politica (il Partito popolare europeo) del presidente Berlusconi e del suo partito.

A questo quadro di preoccupazione internazionale sull’Italia e di sfiducia nel governo in carica fa riscontro la recente riconfermata fiducia da parte del Parlamento. Solo quest’ultima, ovviamente, è rilevante per la legittimità del governo. Ma in un’Europa e in un mondo sempre più interdipendenti, sarebbe opportuno che quanti hanno dato il loro sostegno al governo Berlusconi (e riesce davvero difficile immaginarne uno diverso, nel quadro attuale) prendessero maggiore consapevolezza della realtà internazionale che rischia di travolgerci, di trasformare l’Italia da Stato fondatore in Stato affondatore dell’Unione europea, di rendere ancora più precario il futuro e la stessa dignità dei giovani italiani. Hanno salvato il presidente del Consiglio. In cambio, lo incalzino perché risparmi all’Italia, se non il ludibrio, almeno il biasimo per aver causato un disastro.

(dal Corriere della Sera - ediz. del 16 ottobre 2011)

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