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Avventura in Libia

di Alessandro Bedini

“Nella Libia dove tutto è di Gheddafi tranne l’anima dei libici”. E’ il titolo di un articolo apparso il 23 ottobre del lontano 2006 su L’Indipendente, uscito dalla penna del sottoscritto, da poco ritornato dal paese della Jamahirya. Il titolista l’aveva davvero indovinata e l’articolo in questione aveva colpito duro, tanto che dopo pochi giorni l’ambasciata libica aveva inoltrato al mio direttore una nota di protesta dove si affermava tra l’altro che vi erano contenute ”un cumulo di falsità che mettevano in discussione – nientemeno- i buoni rapporti economico-diplomatici tra la Libia e l’Italia”.
L’ambasciata fece anche sapere in via riservata, che l’articolo in questione era arrivato nelle mani di Gheddafi, il quale pare ci fosse rimasto piuttosto male. Mi si faceva presente inoltre che per il paese della Jamahirya ero una persona indesiderata.

Molte cose mi avevano colpito della Libia: mentre dall’aeroporto di Tripoli il taxista mi accompagnava in albergo mi resi conto che l’auto stava rallentando in una zona periferica della città. Chiesi il perché, dal finestrino si vedeva un grande muro recintato dal filo spinato con torrette di guardia, pareva un’enorme caserma: “questa è la casa di Gheddafi – mi disse l’autista, che si chiamava Zoer – poi quasi si corresse, comunque tutta la Libia è la casa di Gheddafi – precisò”. E infatti a ogni angolo di strada, in ogni locale, pubblico o privato, non mancavano fotografie e gigantografie del padre della jamahirja, il culto della personalità è tipico dei tiranni.

Avevo parlato con diverse persone che mi avevano fatto un quadro assai puntuale ma desolante della situazione del paese. Eppure la Libia dovrebbe essere un paese ricco, grazie al petrolio, invece non è così, la gente vive in abitazioni fatiscenti, fuori della porta degli appartamenti apparentemente più lussuosi, si trovano vere e proprie discariche a cielo aperto. Un ingegnere che ha studiato per diversi anni in Canada mi aveva accompagnato a Villa Sileen, a pochi chilometri dalla città di Al Khoms, dove si possono ammirare splendidi mosaici bizantini. Anche qui la trascuratezza si toccava con mano. Il governo libico non finanzia gli scavi e il mantenimento dei siti. Lo fanno le diverse Università straniere, in particolare italiane: Urbino e Roma.
Durante il viaggio l’ingegnere mi parlava delle condizioni politiche del paese. Sosteneva che il regime militare impediva qualsiasi dissenso e chi si permetteva di criticare troppo faceva una brutta fine. “Il potere è accentrato nelle mani di pochi e il popolo è tenuto in soggezione. “
Quello che più ferisce – ribadiva il mio amico – è che ti impediscono di pensare, di esprimere le tue opinioni. Non oso prevedere ciò che accadrà nel dopo-Gheddafi. Probabilmente sarà la guerra civile”.

Dopo Tripoli Bengasi. Anche qui il degrado urbano si tocca con mano. L’albergo consigliato dalla guida è poco accogliente e neppure troppo pulito. C’è molta povertà in giro. In questa zona nel febbraio del 2006 si verificò l’assalto contro il consolato italiano. Alcuni libici che avevo interpellato mi assicurarono però che quelle manifestazioni non erano in origine contro gli italiani ma contro Gheddafi. Poi furono indirizzate verso il nostro consolato. Mi informarono anche che il dittatore non godeva di molta popolarità in città. Mohamed, un giovane inserviente dell’albergo si spinse fino ad affermare che a Bengasi il leader libico non poteva mettere piede e che l’ultima volta che lo aveva fatto la sua auto era stata presa a sassate.

La tappa successiva del viaggio è stata la Cirenaica. L’autista che mi accompagnava era un giovane imprenditore turistico che parlava un buon inglese. Ripeteva che il suo sogno era di andarsene dalla Libia, magari solo per qualche anno, per fare soldi e poi tornare nel suo paese.
“Qui si guadagna poco e vivere è difficile – aggiunse”.

Spingendosi verso Derna si lambisce la regione montagnosa dell'Al Jabal al-Akhdar, conosciuta anche col nome di "Montagne Verdi". Il mio accompagnatore mi ha raccontato che fino ad alcuni anni fa Derna era letteralmente tagliata fuori dal resto della Cirenaica a causa dei “ribelli” che avevano trovato rifugio sulle vicine montagne. La “pulizia” del regime pare però che avesse avuto un buon successo e così le strade di accesso verso la tripolitania erano state riaperte. Nonostante tutto almeno cinque ufficiali dell’ entourage di Gheddafi erano stati assassinati negli ultimi anni. E’ per questo che a Derna come a Bengasi venne imposto il coprifuoco. Nonostante i bombardamenti dell’esercito e i quarantamila soldati spediti da Tripoli la resistenza è stata accanita e non poteva dirsi del tutto sconfitta.

La storia si ripete in questi giorni, tragica, luttuosa, violenta.
Il mio articolo terminava con queste considerazioni:” La Libia è un paese che non ha capito l’importanza delle sue ingenti risorse, oppure lo hanno capito solo in pochi. Nessuno odia gli italiani, come qualcuno pensa a causa del passato coloniale. Prevale invece l’indifferenza, la sonnolenza di un paese che sembra non volersi svegliare e che fatica ancora a trovare un’identità”, è l’unico passaggio che non riscriverei oggi perché ora sappiamo che davvero l’anima del popolo libico non appartiene a Gheddafi e che l’identità di quel paese sta tutta nel futuro che i suoi cittadini vorranno scegliersi.

Lucca, 12 aprile 2011
Alessandro Bedini

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