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Crocifisso in aula non discrimina ne' viola la liberta' di educazione

di Paolo Razzuoli

Il crocefisso può restare appeso nelle aule delle scuole pubbliche italiane. Questo è quanto ha stabilito la Corte europea dei diritti dell'uomo, che con una sentenza definitiva della Grande Camera, votata da 15 giudici su 17, ha dichiarato che la presenza in classe di questo simbolo non lede ne' il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni, ne' il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione.

Per il governo italiano e il fronte pro-crocefisso è una vittoria a tutto campo. Nel motivare la sua decisione la Corte afferma come il margine di manovra dello Stato in questioni che attengono alla religione e al mantenimento delle tradizioni sia molto ampio. Ma i quindici giudici che hanno votato a favore della piena assoluzione delle autorità italiane sono andati oltre. Nella sentenza si legge infatti come la Corte non abbia trovato prove che la presenza di un simbolo religioso in una classe scolastica possa influenzare gli alunni. E come nonostante la presenza del crocefisso (definito simbolo passivo) conferisca alla religione maggioritaria una visibilità preponderante nell'ambiente scolastico, questo non sia sufficiente a indicare che sia in atto un processo di indottrinamento. Si sottolinea infatti che nel giudicare gli effetti della maggiore visibilità data al cristianesimo nelle scuole si deve tener conto che nel curriculum didattico non esiste un corso obbligatorio di religione cristiana e che l'ambiente scolastico italiano è aperto ad altre religioni.

Nessun commento dall'avvocato Nicolò Paoletti, difensore di Soile Lautsi, la cittadina italiana di origini finlandesi che aveva presentato ricorso alla Corte.

Dichiarazioni di grande soddisfazione, invece, di coloro che hanno strenuamente difeso l'importanza della presenza del crocifisso nelle scuole italiane. «È una pagina di speranza per tutta l'Europa», ha commentato monsignor Aldo Giordano appena il presidente della Corte di Strasburgo, Jean Paul Costa, è uscito dall'aula dopo la lettura della sentenza. Il rappresentante della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa ha quindi sottolineato come la Corte abbia preso una posizione coraggiosa e abbia tenuto conto delle preoccupazioni che in questo momento gli europei esprimono nei riguardi delle loro tradizioni, dei loro valori e della loro identità.

Gli ha fatto eco il vice ministro della giustizia russo, Georgy Matyushkin, che è intervenuto davanti alla Grande Camera in favore dell'Italia ed è volato appositamente da Mosca per assistere alla lettura della sentenza. Il ministro russo si è detto «molto soddisfatto per l'approccio della Corte».
Ma anche il direttore dello European Centre for Law and Justice, Gregor Puppinck, ha definito la sentenza «un colpo che mette un freno alle tendenze laiciste della Corte di Strasburgo e che costituisce un cambiamento di paradigma».

Lo European Centre for Law and Justice era una delle organizzazioni no profit che si erano costituite parte terza a favore dell'Italia nel procedimento.

Alla lettura della sentenza, che è avvenuta in un'aula piena di studenti e funzionari del Consiglio d'Europa, erano presenti anche l'ambasciatore italiano Sergio Busetto, oltre agli ambasciatori cipriota e greco e ai rappresentanti della diplomazia armena, lituana, e di San Marino. Tutti Paesi che assieme a Bulgaria, Romania, Malta e Principato di Monaco erano intervenuti a favore dell'Italia.

La sentenza emessa oggi mette la parola fine al ricorso «Lautsi contro Italia». Un fascicolo che fu aperto dalla Corte nel 2006 e che nel 2009, con una sentenza in primo grado a favore delle tesi della ricorrente, suscitò una vera alzata di scudi contro la Corte. L'indignazione fu tale che il governo italiano ricorse immediatamente, chiedendo e ottenendo la revisione del caso da parte della Grande Camera. In questo suo appello, andato a buon fine, l'Italia ha potuto contare non solo sui dieci Paesi che «ufficialmente» si sono presentati come parti terze davanti alla Corte, ma anche sul contributo di diverse ong, di parlamentari italiani ed europei e del lavoro diplomatico condotto dal rappresentante della Santa Sede.

alcune opinioni sulla sentenza

Cardinale Camillo Ruini

"RICONOSCIUTO IL VALORE DEL SIMBOLO" «Il crocifisso ha valore universale». Così il cardinale Camillo Ruini commenta in un'intervista alla Stampa il sì della Corte europea per i diritti dell'uomo alla presenza del crocifisso nelle aule delle scuole italiane. «Il crocifisso - spiega - esprime certamente valori universali e da tutti condivisibili e già per questo la sentenza si giustifica ampiamente. Bisogna aggiungere che un sano pluralismo vive proprio di questa accoglienza reciproca, dove le tradizioni religiose di un popolo possono essere integralmente mantenute senza che ciò costituisca un ostacolo per l'accoglienza di coloro che hanno e professano convinzioni diverse». La sentenza di Strasburgo ha grande valore, aggiunge, perchè «conferma alcuni principi fondamentali. Innanzitutto la religione non deve essere esclusa dallo spazio pubblico. In particolare le espressioni e i simboli della religione cattolica, come quelli di ogni altra determinata fede e tradizione religiosa, non offendono coloro che non condividono la nostra fede».
"Oso formulare un auspicio - aggiunge il Cardinale - cioe' che questo pronunciamento possa iutare non solo l'Italia, ma l'Europa intera a liberarsi dall'odio di se stessa il cui oggetto principale sembra essere proprio il cristianesimo. il Crocifisso non provoca esclusione, non separe ne' limita la liberta' di alcuno".

Marco Pannella

Secondo l'esponente radicale, in Europa si sono così manifestati una sorta di «feticismo» e di ritorno al «tradizionalismo». «Mi chiedo sinceramente - dice il leader dei radicali - se un autentico credente cristiano possa essere davvero fiero o felice del fatto che si riconosce a Cesare la possibilità di imporre a tutti i suoi sudditi il massimo simbolo della propria fede con la motivazione che in realtà quel simbolo non comporta alcun effetto su una parte di coloro ai quali è rivolto». La corte europea, aggiunge Pannella, «finge di ritenere che concretamente esista nella scuola pubblica italiana il diritto o la facoltà di esibire altri simboli religiosi, per esempio la 'Menorah' ebraica. E ciò a prescindere dal fatto che per la stessa Onu vadano riconosciuti pari diritti a religiosità teiste o non teiste".

On. Pier Ferdinando Casini

CASINI ESULTA PER LA SENTENZA «Esultiamo per questa sentenza: il crocifisso non incrina certo la laicità dello Stato, ma e' simbolo che conferma l'identita' cristiana dell'Italia che e' un valore per credenti e non». del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche".

On. Antonio Mazzocchi

Antonio Mazzocchi, deputato del Popolo della Libertà e Presidente dei Cristiano Riformisti.
“Non c’è nessuna violazione ad esporre il crocifisso nelle aule e questa sentenza della Corte Europea di Strasburgo è una vittoria dei milioni di italiani, cristiani e non, che si sono battuti in questi ultimi mesi per ribadire l’importanza e il valore culturale di questo simbolo della cristianità. L’Italia è una terra che vive con profonda spiritualità le sua tradizione religiosa, e per questo togliere il crocifisso dalle scuole pubbliche sarebbe stata una violenza nei confronti di tanti italiani. Per questo ringraziamo la Corte Europea per aver ristabilito la giustizia in questa materia e vogliamo ringraziare il Governo Berlusconi per essere sceso da subito in campo a difesa di questo nostro importante simbolo culturale".

Prof. Carlo Cardia, Docente di Diritto Ecclesiastico all'Universita' Roma 3

"E' il piu' bel regalo che potessimo ricevere per i 150 anni dell'unita' d'Italia".

"Mi ha colpito la notazione, molto bella, che in Italia la scuola è aperta a tutti. Anzi qualche volta – pensi un po’ – fanno obiezione al vescovo. Da trent’anni abbiamo una scuola pluralista, e la corte ne ha tenuto conto. E si tratta di un riconoscimento della nostra laicità positiva, aperta, che non c’è mai stato prima in Europa".

"Due i cardini della sentenza. Uno di principio e uno di merito. Il primo è il riconoscimento che ogni Paese ha il diritto di dare il giusto rilievo alla propria tradizione. E questo proprio in forza delle norme europee, della Convenzione per i diritti dell’uomo. Perciò la tradizione cristiana, che è qualcosa di vivo, ha un suo spazio e un suo ruolo da svolgere. Circa il secondo, il merito, la Corte fa intravedere un elemento importante: il simbolo religioso in sé non comporta la lesione dei diritti del ragazzo o della famiglia, non è elemento di divisione. O addirittura di parte. Come, con un certo scandalo mio – ma non solo –, aveva affermato la sentenza di primo grado. Qui si afferma, invece, in modo sottile che esso non deve essere vissuto in maniera negativa, come se fosse ostile. Vale per la croce, ma anche per altri simboli".

"Nessun indottrinamento o pressione quindi. Il simbolo va visto in modo positivo, come integrazione della nostra identità italiana e – possiamo aggiungere – europea".

"La sentenza ripara il torto fatto da quella precedente. Si badi bene, non solo all’Italia, ma alla stessa giurisprudenza trentennale della Corte. Inoltre lancia il messaggio che l’identità e la tradizione cristiane devono trovare il loro giusto posto – giusto, non esagerato, e ciò è positivo – ai livelli sociale, giuridico e giurisprudenziale. La tradizione integra i diritti di libertà. E ciò fa guardare positivamente al futuro. Perché finora c’è stato un certo atteggiamento restrittivo: si pensi all’obiezione di coscienza in materia di aborto e biotecnologie. E anche a una certa volontà di emarginare la religione, confinandola nel privato".

Monsignor Rino Fisichella

Grazie alla sentenza, si recupera il rapporto tra le istituzioni e il sentire comune delle persone. Questo ha una valenza che va oltre l'Italia e la stessa Europa.

Padre Federico Lombardi

"Si riconosce che la cultura dei diritti dell'uomo non deve essere posta in contraddizione con i fondamenti religiosi della civilta' europea a cui il cristianesimo ha dato un contributo essenziale. Si riconosce inoltre che secondo il principio di sussidiarieta', e' doveroso garantire ad ogni Paese un margine di apprezzamento quanto al valore dei simboli religiosi nella propria storia culturale e identita' nazionale e quanto al luogo della loro esposizione. In caso contrario, in nome della liberta' religiosa si tenderebbe, paradossalmente, invece a limitare, o persino a negare questa liberta'. La nuova sentenza della Grande Chambre e' benvenuta, anche perche' contribuisce efficaciemente a ristabilire la fiducia nella Corte Europea dei diritti dell'uomo da parte di una gran parte degli europei, convinti e consapevoli del ruolo determinante dei valori cristiani nella loro propria storia, ma anche nella costruzione unitaria europea e nella sua cultura di diritto e di liberta'".

Lucca, 20 marzo 2011

(Alcuni materiali utilizzati per la stesura di questo articolo provengono dai siti www.leggonline.it e www.avvenire.it)

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