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 ''A questa mia diletta Italia ond.ho la vita e la favella''.

 

di Federico Bini


 

A fare l'Italia alcuni pochi italiani ci sono, senza e contro i piu', riusciti. A fare gl' italiani, l'Italia, in centocinquant'anni, non c'é riuscita; anzi non ci s'é nemmeno provata”.
Da “La stanza di Montanelli”, (Corriere della Sera, 19 giugno 1997).


 

Scriveva così un nostro antenato illustre nel 1300 :'' Ahi! Serva l'Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di provincie, ma bordello'', serviron secoli, morti, sangue sparso, vittime innocenti, moti fallimentari e finalmente ecco la  '' notte stellata, bella, tranquilla , solenne , di quella solennità che fa palpitare l'anime  generose che si lanciano all'emancipazione degli schiavi'', secondo le parole pronunciate da Garibaldi, tra il 5 e il 6 maggio 1860, all'inizio dellìavventura dei Mille che sarebbe terminata a Teano con la famosa frase rivolta a Vittorio Emanuele II '' ecco il nuovo Re d'Italia''.                                                                  

 

1.     
quadro di Carlo Strigliati

                                                                                                                                                                   

                                               Carlo Strigliati,  Episodio delle cinque giornate                                                                                                                  

                                                               di Milano, 1848.  

 

 

Il 17 marzo 1861, alla prima seduta del nuovo Parlamento italiano, fu proclamato il Regno d'Italia,  lasciando irrisolta la ''questione romana''. Finalmente l'Italia calpestata e derisa da secoli è unita,  ma il suo processo di unificazione ha lasciato molti e vecchi problemi irrisolti che oggi si riaffacciano prepotentemente sulla scena politica, sociale ed economica del nostro Paese.

 

Due dipinti sono considerati i manifesti dell'arte romantica e risorgimentale in Francia e in Italia, uno è '' La libertà che guida il popolo'' di Eugène Delacroix e l'altro è l'' Episodio delle Cinque giornate di Milano'' di Carlo Stragliati.  Sono stato sempre combattuto tra quale preferire e alla fine per 'amor patrio' ho sempre scelto il dipinto del Risorgimento italiano. Le due ragazze, in abiti semplici, alla finestra, sventolano la bandiera italiana, mentre nelle vie la gente è in festa e dai balconi vicini sventolano altre bandiere italiane:Milano è libera e presto lo sarà anche l'Italia. Mi piace osservare attentamente il viso dolce e solare, arricchito dalle labbra rosse della ragazza poggiata sulla balaustra della finestra, che  volge lo sguardo lontano verso sinistra, mentre la  ''vecchiarella'' seduta accanto a loro sorride di gioia e sembra tenere nella mano sinistra un pezzo di stoffa tricolore. Il dipinto non rappresenta solamente la liberazione di Milano e la sua gioia, ma anche il sentimento di unità nazionale e di condivisione di quei valori, come la bandiera italiana, che si vanno diffondendo tra le classi sociali più basse e soprattutto tra le donne, per secoli sfruttate, derise e ridotte in silenzio, ma ora rialzatesi dignitosamente più forti e migliori  di prima. E' quanto è accaduto alla nostra  '' bella Italia'', che nata bella e nobile, dolce e delicata, piena di luce e di speranza, di animo delicato e tenero,  misteriosa  come Dio e splendore di tutte le grazie della natura concentrate in lei, visse invece travagli e divisioni, inganni e amori pieni d'affanni, noie e disperazioni, placide, dolci e chiare notti nonchè frenetiche tempeste,  ma poi come scrive il Leopardi '' passata è la tempesta: odo augelli far festa, e la gallina,/ tornata in su la via, che ripete il suo verso...Ogni cor si rallegra, in ogni lato / risorge il romorio/ torna il lavoro usato ..'', così fu anche per l'Itala che dopo terribili tempeste, visse la quiete, una quiete momentanea (come possiamo oggi vedere), troppo felice e lieta, un raggio di sole in un cielo nero, dove s'aggrovigliano saette scintillanti.                                                                                                                                 Ed il contrasto delle due ragazze, giovani,piene di speranza e di vita che impugnano il tricolore e la ''vecchiarella'' seduta che guarda felice è il segno della nuova ''vita'' dell'Italia che abbandona le sue vecchie paure e si avvicina a raggiungere una meta, la meta della libertà e dell'indipendenza e forse da lassù anche quei nostri antenati tanto gloriosi e ammirati sorrisero assieme alla ''vecchiarella''.

Se da una parte vi era un'Italia che gioiva, dall'altra vi era però anche un'Italia che insorgeva e protestava perchè abbandonata e illusa:  era l'Italia Meridionale. Carlo Cattaneo scrisse che quando il potere è accentrato '' la libertà non può nascere o non può vivere e la libertà non è più che un nome: tutto si fa come tra padroni e servi''. Questa visione era più che realistica, poiché già a partire dal 1861 nel Meridione migliaia di italiani per ribellarsi al governo piemontese, dettero vita a forme di brigantaggio.

'' Costruire l'Italia, fondere insieme gli elementi diversi di cui si compone, armonizzare il Nord con il Sud, offre tante difficoltà quante una guerra contro l'Austria e la lotta con Roma''.

Così scrisse Cavour ricordando i conflitti ( 1861-1864) che videro scontrarsi l'esercito italiano e bande di contadini ribelli.

La questione della terra, strettamente legata al fenomeno del brigantaggio sta alla base della cosiddetta ''questione meridionale''.

Le classi contadine del Sud in particolare non avevano partecipato più di tanto ai moti risorgimentali e si sentivano ulteriormente escluse dalle scelte politiche ed economiche che venivano prese: infatti gran parte degli uomini che governavano e che avevano diretto il Risorgimento erano proprietari terrieri e avrebbero cercato di non affrontare la questione della terra e cioè di garantire ai ceti contadini l'accesso alla proprietà.

Già alcuni anni prima lo storico Vincenzo Cuoco si era occupato, fra i molti argomenti di carattere politico e sociale da lui trattati, anche di un interessante piano economico e di risanamento delle campagne, in quanto anch'egli, come molti cittadini borghesi ed intellettuali, si era trovato a dover affrontare la questione feudale, poiché gli antichi feudatari si erano impadroniti di terre del demanio che prima erano usate dalla popolazione. Il problema che egli cercò di risolvere stava nel vedere cosa era veramente di proprietà del signore e cosa era appropriazione illegittima.

Ma di fronte alle proteste e occupazioni di terre da parte dei contadini, l'esercito garibaldino rispose con la fucilazione degli insorti, come accadde a Bronte.

Queste azioni crearono nelle coscienze dei contadini rassegnazione, sfiducia e ostilità.

La questione della terra, legata poi alla situazione delle campagne, al brigantaggio e all'analfabetismo,  saranno un unico grande problema meridionale che tutt'oggi è più che evidente.

Ed Emilio Sereni nella sua opera ''Il capitalismo nelle campagne'', scritto negli anni trenta, arriva a sostenere che l'unificazione nazionale, promossa essenzialmente dalle classi agrarie e manifatturiere  del Settentrione, determinò il collasso dell'economia meridionale, alimentando il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori agricoli. Questa interpretazione vedeva dunque un'unificazione italiana tesa a rafforzare e ad arricchire la borghesia e considerava il Risorgimento  italiano come una ''rivoluzione mancata'', basata sul compromesso tra vecchie e nuove élites che ebbe lo scopo di emarginare sempre di più le classi agricole dalla costruzione dell'unificazione italiana. Questa emarginazione, che portò a scontri e proteste, sfociò nel brigantaggio.                            Anche Piero Gobetti sostenne che questa era una ''rivoluzione fallita'' poiché non era riuscita a coinvolgere le masse popolari.  La teoria del Sereni, che per moltissimi aspetti condivido, è basata sulla considerazione che, quando si parla di Risorgimento italiano si parla  anche di ''rivoluzione borghese'',in quanto i membri della borghesia erano prevalentemente membri di logge della Carboneria o dell'Adelfia che ebbero un ruolo importantissimo nell'Unità d'Italia e poi la classe borghese, molto potente al nord, era fortemente liberale e proprio tra i vari movimenti liberali italiani cominciò a farsi strada l'idea di superare le divisioni esistenti fra gli stati italiani e dare vita a un sistema politico più vasto, capace di abbracciare l'intera penisola e  si fece urgente  il problema dell'unità nazionale.

In particolare industriali, commercianti e proprietari terrieri vedevano in un allargamento del mercato nazionale una nuova fase di progresso economico e sociale e la possibilità di accumulare nuove ricchezze.  Ritengo però che come giustamente afferma il Sereni, la borghesia e il capitalismo italiani erano molto differenti da quelli inglesi o francesi, la cui affermazione si configurò come una rivoluzione politica e sociale. Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo '' Il Gattopardo'' insegna che è vero : '' senza ventate l'aria sarebbe stata uno stagno putrido, ma anche le ventate risanatrici trascinavano con sé tante porcherie'' e Tancredi nel suo discorso del 1860 pronuncerà la celebre frase : '' se vogliamo che tutto rimanga come è , bisogna che tutto cambi''.

 

Ma i movimenti fondamentali che portarono all'unificazione d'Italia furono prevalentemente di natura politica ed ideale.

In ambito politico e filosofico, ricordando prima di tutto tutti quei patrioti coraggiosi e giovani ,  ''Eran trecento , eran giovani e forti, e sono morti ! / Me ne andavo un mattino a spigolare / quando ho visto una barca in mezzo al mare : / era una barca che andava a vapore , / e alzava una bandiera tricolore '', si affermarono posizioni molteplici e plurali, ma in ogni caso tutti avevano un denominatore comune, la liberazione dal dominio straniero e l'Unità d'Italia. Caso quasi isolato nella storia italiana vediamo lasciar da parte gli opposti ideali, le politiche delle esasperazioni ideologiche e pensare al bene del proprio paese e,  pur tra incomprensioni e antipatie, si unirono il repubblicano e democratico Mazzini,i socialisti risorgimentali Pisacane e Ferrari, l'impavido rivoluzionario e patriota Ciro Menotti, ''gli esperici'' fratelli Bandiera,il cospiratore toscano e babeufiano Filippo Bonarroti,  i liberal moderati quali Massimo D'Azeglio e Cesare Balbo,il neoguelfo Vincenzo Gioberti, il federalista Carlo Cattaneo, l'agostiniano e cattolico liberale Antonio Rosmini e il liberale e liberista Silvio Spaventa uniti alla diplomazia e al cinismo dell' ''antipapa e quasi nemico di Gesù Cristo'' Cavour , al massone e anticattolico nonché abile condottiero e generale come Giuseppe Garibaldi. Vedere uniti questi nostri illustri e stimabili avi, che ricercarono e sentirono nei loro cuori la necessità di una Patria unita e di un avvenire migliore, sono la dimostrazione e la testimonianza che non si trattò di realpolitik bensì di amor patrio: ''il seme che hai piantato, o Alfieri, fruttò ed ora l'Italia combatte e sarà grande'' (da una dedica sul libro delle firme in Palazzo Alfieri, 1849),  Alfieri aveva scritto il giusto, ma a fare l'Italia grande non sarebbero bastati purtroppo né Cavour né Garibaldi: toccava al nascente e futuro popolo italiano farlo, ma gli italiani erano molti divisi, per tradizioni, cultura, usi e costumi: lo comprese ben presto anche Massimo D'Azeglio che nei suoi Ricordi scrisse  '' Fatta l'Italia, ora bisogna fare gli italiani''.

A distanza di 150 dall'unificazione d'Italia, l'italianità si è veramente realizzata?Chi siamo?

 

Alla  domanda-''chi siamo? ''- Montanelli avrebbe risposto ponendosi delle ulteriori domande:

 

Chi siamo? Furbi o fessi?

'' Giuseppe Prezzolini lo pensava e Giovanni Amendola lo scrisse :" questa Italia non mi piace".
Non gli piaceva l'Italia giolittiana, ed ebbe qualche palpito per il Fascismo delle origini. Non gli piacque il Fascismo, quando si rivelò arrivando al potere, e se ne andò a vivere di America.

Non gli piacque nemmeno la Repubblica retoricamente antifascista e passò gli ultimi anni della sua vita in Svizzera. La svizzera dei disprezzati orologi e cucù. Anche a me questa Italia non piace. Per niente. Se provo a valutare con obiettività trovo gli stessi difetti di sempre. Un paese teatrale,approssimativo,fatuatamente spensierato, verboso e iniquo. Oltre che sempre pronto a scagionarsi da ogni responsabilità per dare la colpa agli«altri».
E pensare che il mio amico Luigi Barzini sosteneva che il nostro innato garbo era una delle caratteristiche nazionali positive. Il garbo. In televisione, poi.
Ed è sempre lì la nostra furbizia animalesca, il culto per il «particulare» guicciardiano; la cura miope del proprio tornaconto personale a spese dell'interesse generale. E vero dunque questa Italia non finisce mai di sorprenderci con quella sua(nostra) «intelligenza stupida» "che no proprio non mi piace" .

Caro Indro, è sempre impossibile poter aggiungere qualcosa a ciò che dici, in primo luogo poiché sei Montanelli e poi perché  la pensiamo allo stesso modo. Riguardo a questa domanda, direi strettamente prezzoliniana, ti rispondo in maniera prezzoliniana.  L'Italia, prima di tutto, devo dirti che a me piace, mi piace per i suoi monti innevati, per i suoi mari cristallini, per la buonissima cucina, per i suoi monumenti artistici, per la sua gente ma anche per le sue simpatiche differenze.  Siamo un paese di ''queruli'', di ''bischeri'',di creduloni e ''babbani '' ma anche e soprattutto di volpi.                  L'Italia è divisa in due, da una parte i fessi e dall'altra i furbi: i primi lavorano, sono persone oneste, rispettano la legge,vivono felicemente o purtroppo si trovano in difficoltà, ed è questa la vera anima sana del paese, (intendendo naturalmente come fessi le persone che rispettano quei valori che la società ci impone per vivere civilmente, a posto con la nostra coscienza e pure con Dio); I secondi, le volpi, cioè i furbi, sono coloro che vivono furbescamente, cercando di svincolare la legge, non pagare le tasse e ingannare la povera gente. I fessi oggi in Italia sono dunque tutti quelli che vivono nel giusto e sono poco considerati e forse usati quando necessario, mentre i furbi, che dovrebbero essere isolati, o per lo meno evitati, sono ammirati spesso dai fessi che -volendo imitarli-finiscono per assomigliare loro. Il vero problema che ho riscontrato anche nella quotidianità della mia vita è che le persone furbe o astute, o come si dice qua in Lucchesia '' sanno rivoltartela come gli pare'' non sono furbe nel senso positivo della parola, ossia capaci di riuscire nei loro progetti in modo arguto , brillante ed intelligente, bensì in maniera disonesta.  La società non è divisa solo in furbi e fessi, ma anche in buoni e cattivi.                                                                                                                                                 

Ora che ci penso, mi è venuto in mente un episodio triste ma anche ironico, lo racconterò brevemente. La scorsa estate è stata scoperta una loggia massonica denominata P3. I suoi componenti, uomini politici, magistrati e faccendieri di primo piano cercavano di pilotare scelte della magistratura e di ricavare sempre più business dall'eolico.  I ''venerabili'' di questa loggia erano persone di una certa età e vennero definiti '' tre pirla'' e '' tre sfigati''.                                  Appena appresa la notizia mi parve di vedere i soliti furbetti che cercano di farla franca. Ma, alla luce degli sviluppi successivi della vicenda, sono da considerarsi veramente furbi o fessi ?

 

Siamo drammatici o melodrammatici?

''Una volta ci fu una partita di calcio Verona-Napoli nel corso della quale i tifosi veronesi ne hanno dette e fatte di tutti i colori ( come Forza Vesuvio eccetera...) ai danni di quelli partenopei.
Nella partita di ritorno a Napoli temettero il peggio. Ma i tifosi napoletani si ricordarono che Verona è la città di Giulietta e Romeo. Si vendicarono con un solo semplicissimo striscione sul quale stava scritto-a grandi lettere- « Giulietta si' na zoccola».   Questa è la teatralità sorgiva, spontanea  che piace. Non quella di cartapesta che oggi noi siamo abituati a vedere. Garibaldi diceva : '' Italiani, siate seri''. Poi, lui stesso andava in giro con quella camicia rossa, con quelle mille camicie rosse. Ottimo stratega di guerriglia, mediocre politico, amava anche lui un po' troppo le pose teatrali. Ma almeno era onesto, generoso e positivo. Poi vennero le camicie nere di Mussolini, funeree. E le concioni dal balcone, e le sfilate: puro teatro. L'altr'ieri le scenografie teatrali-quella piramide di Panseca- per i congressi di Craxi. Ieri le adunate pittoresche della Lega a Pontida. E oggi.. '' E oggi, Caro Indro permettimi di aggiungere che è uno spettacolo ancora più indecoroso di prima''.              

'' No, quest' Italia retorica e filodrammatica non mi piace. Rivela, nella sua teatralità esibizionistica, una mancanza di pudore che mi sconcerta.   Petronio, scrittore latino e nostro antenato,diceva a suo tempo:"Totus mundus exercet historiam". Dev' essere un difetto di famiglia.
Come è nostro difetto di famiglia ripetere sempre « tutto si aggiusta». Non è vero: tutto si arrangia. Che è cosa ben diversa''.

Caro Montanelli, gli italiani ha sempre sostenuto mio nonno,persona molto saggia, sono drammatici e melodrammatici a seconda di ciò che più conviene loro, è nel nostro sangue. Gli italiani non li cambieremo mai. Preferiamo le grandi parate, le adunanze, le grandi squadre, adoriamo le città europee e magari non abbiamo visto Roma, ci stupiamo della reggia di Versailles e non sappiamo che in Italia abbiamo la bellissima Reggia di Caserta. Siamo in piena crisi, senza soldi e squattrinati ma le vacanze sì, vanno fatte.  Amiamo i grandi oratori, alcuni Papi e Imperatori, saliamo sul carro del vincitore, quando ci torna comodo, e ci riscendiamo quando comincia a barcollare.                Siamo ''ciarlatani' , parlatori e ''attacca bottoni''.                                                                                                                                                Se incontriamo un inglese di mattina, questi ci saluta dicendoci con il suo stile britannico                 '' good morning'' e tira dritto.  Se un inglese incontra un italiano di mattina, l'italiano gli dice ''buongiorno'' ma non tira dritto, anzi si ferma a parlarci anche se conosce poco la lingua e magari alla fine fornisce pure  indicazioni sbagliate. Siamo così,socievoli, teatrali, un po' ignorantotti,(in senso buono) ma  anche romantici e con un grande cuore.

Ricordo un fatto molto simpatico. L' anno scorso sono andato alla ricorrenza delle stragi di mafia a Palermo. Sulla nave che partì da Napoli salirono ragazzi milanesi, veneziani, napoletani e così via.  Ritornando nella mia camera, eravamo in piena notte, vidi un gruppo di ragazzi discutere simpaticamente, si facevano reciproci ''complimenti''. Un ragazzo alto e robusto,mi pare in dialetto milanese disse ad un minuto ''guaglione napoletano'':  '' terun, và a scuà 'l mar ! '' e l'altro un po' risentito rispose : '' A' cunferenza è a' mamma d'' a mala criànza'', intervenne un ragazzo romano che con un certo garbo da far invidia, alla Regina Elisabetta, disse a tutti quanti stranamente in perfetto italiano : ''Roma capitale, Milano e Napoli succursale''.                                                                       Il pomeriggio li rividi a Palermo tutti assieme a sventolare la bandiera italiana e a cantare, ognuno con la sua sfumatura dialettale, il risorgimentale ''Inno di Mameli''.

Questa Indro è l'Italia teatrale, unita  e un po' goffa che ci piacerebbe sempre vedere .

 

Trasformisti?

 ''Altra cosa è correre in soccorso del vincitore, come diceva Flaiano. Altra cosa è cambiare opinione. Quando c'è il mutamento di opinione ( politica o d'altro tipo) incorre nel sospetto di ''girellismo''? Di riciclaggio autoprogrammato? Di ''trasformismo'', in questo senso inteso? Mi attengo in questo al parere di un vecchio uomo politico italiano: Francesco Saverio Nitti. Che diceva: se tu cambi e nel cambio ci rimetti, io ti rispetto. Se l'hai fatto, e nel riciclaggio ci guadagni, allora io comincio a sospettare.  Quanto all'altro ''trasformismo'' che è una variante pittoresca di vivere, di sopravvivere, mi viene alla mente un ricordo. Il primo prigioniero di guerra fatto dai tedeschi nella seconda guerra mondiale era un marinaio inglese che ad Amburgo andava in giro con una valigetta, per vendere stoffe inglesi. Questo marinaio inglese era un napoletano- di professione magliaro- che si era trasformato in un marinaio di Sua Maestà britannica con tanto di berretto '' Royal Navy'' per dare maggior credito alle buone stoffe inglesi della sua valigetta.  Non sapendo il tedesco, non si rese conto che era scoppiata la guerra. I tedeschi lo presero e lo ficcarono in uno dei primi campi di concentramento. Arrivarono in quel campo dei prigionieri veramente inglesi, dei piloti che, abbattuti i loro aerei dai tedeschi, si erano salvati buttandosi con il paracadute. Trovarono questo prigioniero piccolo, bruno, stortignaccolo che si voleva far credere inglese e inglese invece non era. Lo riempirono di botte . Poi però gli si affezionarono . Era l'unico che in quel campo sapesse rammendare i calzini, stirare qualche camicia. Diventò il beniamino del campo inglese. Alla fine lo trovarono simpatico, molto simpatico''.

Indro, come tu ben sai , se vi sono due punti saldi nell'Italia unitaria, questi sono il clientelismo e il trasformismo. Il primo fenomeno fece cadere l'Impero Romano e è uno dei grandi mali d'Italia, il secondo fenomeno in senso strettamente politico, è oggi più che mai noto tra i ragazzi della mia età come '' mercato dei deputati''.  Premettendo che sono anti-trasformista , durante la famosa '' prima repubblica'' il cambio di  ''casacca'' avveniva come oggi, ma in casi molto particolari e rari e in alcuni casi era più teso all'interesse del territorio. Nelle zone in cui abito cioè  della Lucchesia, c'era una diecina di anni fa un uomo politico molto importante che aveva cambiato molti partiti, a seconda di chi gli garantiva più potere. Le persone che lo hanno conosciuto, prima di dire che era un brav'uomo dicevano che li aveva sistemati tutti. Oggi invece non c'è nemmeno più il rispetto del territorio dove un deputato è cresciuto ed è stato eletto, anche se il sistema elettorale nazionale è molto diverso da allora.  Si cambia partito ormai poichè si vuole non solo più potere, ma più soldi e più visibilità. Quello che conta ormai è solamente apparire e questo perché con il passare degli anni si è andati perdendo quei valori e quei principi per i quali De Gasperi si è battuto una vita. Ed oggi, caro Indro non c'è più pudore, onestà e credibilità; De Gasperi stesso, se vivesse oggi e professasse quei valori in cui io fermamente credo, sarebbe preso come un  ''bischero''.   Purtroppo,  come sostieni tu, tutti recitano veramente una commedia e se le commedie sono tante si fa tante parti, e cosa importa se alla fine noi di queste amare commedie siamo solo dei  tristi spettatori?                  In fondo è una '' commedia all'italiana'' !

 

Truffatori o bancarottieri?

Nel 1961-62  Totò e Nino Taranto girarono il film '' Totòtruffa 62''.                                                   Un capolavoro di ironia e genilialità !                                                                                         L'episodio più celebre di questo capolavoro è la vendita della Fontana di Trevi da parte di Antonio (Totò), che riuscì a far credere al turista napoletano Decio Cavallo,( il cui nome fu volutamente frainteso da Cav. Antonio in '' caciocavallo'' ), che la Fontana era della sua famiglia, fatta dal suo famoso bisnonno Bernini,  che Antonio diceva cresciuto e nato a Berna, e chiamato Bernini poiché piccoletto. Dopo aver fatto saltare l'accordo con il Ragionier Girolamo Scamorza che se ne andò fingendo di essere arrabbiato esclamando'' me vò ingrullito'',  poiché Decio Cavallo offrì cinquecento mila lire in più. Antonio dopo aver concluso l'affare, se ne andò. Ed il turista napoletano che voleva fare business, preso per matto dai vigili e dai turisti finì al manicomio.

L'Italia, oltre ad essere un paese di risparmiatori,  è anche il paese di molti truffatori e bancarottieri.        Non dimenticando il famoso scandalo Giuffrè, nel corso degli anni migliaia di persone, soprattutto anziane sono state vittime di raggiri o promesse milionarie.  Lo scandalo della Banca Romana, il crollo dell'impero Sindona, i crac Cirio e Parmalat, il fine del Banco Ambrosiano, false finanziarie, hanno contribuito a distruggere l'immagine e la credibilità dell'Italia e degli italiani onesti.                                                                                                    Non tutti gli italiani sono truffatori, anzi lo è la minima parte e non sono disonesti nemmeno tutti i dirigenti di banche, per quanto tra loro ci siano stati e ci sono speculatori e finanziatori di partiti o missioni militari.

Prima di mettere a rischio gli istituti di credito, dove gli italiani  depositato i loro  risparmi e le società dove investono dei soldi, frutto del lavoro e del sacrificio di una vita, sarebbe preferibile farsi una semplice domanda, '' è giusto ?''.

 

Geniali o pasticcioni?

 '' La genialità degli italiani è indubbia. Mi riferisco a quella rinascimentale.
Quanto a quella-presunta-di oggi, credo che confondiamo troppo spesso genialità con ingegnosità.
Di ingegnosità non manchiamo mai. Ricordo un ufficiale di guerra, mutilato e comandante di un campo di concentramento in India, mi diceva  con ammirazione:"è incredibile quello che gli italiani riescono a fare con delle scatole di latta: fanno tutto. Fanno le macchine e fanno anche i carri armati". E vero ciò che disse l'ufficiale. Tant'è vero che i nostri carri armati, sfortunatamente, erano fatti proprio con scatole di latta, nell'ultima guerra mondiale e le conseguenze le conosciamo.         A furia di comportarci in modo ingegnoso e di considerarci geniali sempre e comunque, rischiamo di comportarci da cretini.

Per quanto riguarda l'ingegnosità, ho presente un'impreditore di Treviso che ha fatto fortuna producendo veleno per i topi: per gli americani. Perchè, gli chiesi, c'è una differenza? Si che c'è una differenza, mi rispose. Nella diversa sensibilità ai formaggi. Il topo italiano predilige il nostro formaggio, vero. Il topo americano predilige quel loro formaggio di '' plastica'', che ha tutt'altro odore. Se si tratti di ingegnosità o genialità, in questo caso non saprei, in caso non saprei. Un po' dell'una, un po' dell'altra; quando però si tratta di lavorare non in queste dimensioni artigianali ma su grande scala, nelle dimensioni che l'economia moderna richiede, allora non sempre riusciamo a tenere il passo. La nostra ingegnosità non basta a reggere il peso delle grosse organizzazioni. Per questo dobbiamo puntare su una produzione piccola, ma di qualità. Basata sulla nostra capacità artigiana. Che c'è ancora. E che bisogna rinnovare. Che bisogna esaltare''.                                      

 

Credo Indro, che gli italiani siano geniali e pasticcioni, ma soprattutto ingegnosi.

Mio nonno, esempio dell'ingegnosità e dell'arte dell'arrangiarsi italiana, mi ha nel corso degli anni raccontato piccoli particolari che mostrano l'ingegnosità italiana.                                                      In Italia abbiamo costruito le macchine più piccole e veloci, siamo stati la patria delle mitiche topolino e delle cinquecento.                                                                                                         Siamo riusciti,  modificando la pompa della benzina degli Spitfire, a motorizzare l'Italia con l'invenzione dei ''mosquito'.'                                                                                                                 La vespa, altra un'invenzione geniale ed ingegnosa.  Fatta inizialmente con i pezzi degli aerei della Piaggio.  Oppure i mitici camion a legna, nel mio paese di Fabbriche di Casabasciana li chiamavano i '' camion a ciocchetti'', poiché dopo la fine della seconda guerra mondiale, scarseggiando il petrolio, furono costruiti dei camion che avevano a un lato del cassone una piccola caldaia dove si mettevano dei ciocchetti di legna i quali, bruciando, producevano gas che, attraverso appositi tubi giungeva nel carburatore e il camion poteva viaggiare. Il legno migliore, che veniva usato per bruciare, era il ciocchetto di ''scopa'' in quanto duro e resistente, che un coetaneo della mia bisnonna tutte le sere andava a tagliare nei boschi vicini a casa sua per poterlo rivendere ed usare per il suo camion. L'Italia che usciva dalla guerra era anche questa, povera ma ingegnosa.

Quanto ai geni, il nostro è il  paese dove ci sono e ci sono stati moltissimi '' Enrico Fermi e Carlo Rubbia'', ragazzi validissimi e brillantissimi che in Italia non trovano spazio per emergere, poiché siamo troppo bravi nelle raccomandazioni ,e decidono di andarsene facendo la fortuna degli altri stati: i fisici Enrico Fermi e Carlo Rubbia sono due dei tanti esempi illustri.                                                                                                                                           E in un momento di bisogno come adesso, i palazzi del potere, invece di cercare di affrontare queste gravi crisi facendo tesoro di tutte le sue menti migliori, preferiscono avere più burocrati e avvocati. Anche questa è l'Italia.

 

Razzisti o tolleranti ?

Indro Montanelli nel 1935 era uno dei tanti giovani italiani che speravano che il fascismo risolvesse i problemi nazionali, fra cui quello del sovrappopolamento,che la sottosviluppata e semideserta Abissinia offrisse lavoro alle nostre imprese che l'Italia potesse ritagliarsi un piccolo spazio tra le grandi potenze. '' A quei tempi- scrisse Montanelli- si pensava così non solo in Italia, e si pensava male. Noi soffrivamo di una sovrappopolazione non per mancanza di spazio, ma perchè la nostra agricoltura e industria, entrambe arretrate, non ci consentivano di assorbirla, e perchè la politica demografica del fascismo, con i suoi premi alle famiglie numerose, e la sia filosofia ottocentesca, il numero è potenza, aggravava il problema. Ma questo a venticinque anni e in pieno '' sentimento nazionalista'' era difficile capirlo''. Ecco perchè andammo con entusiasmo in Abissinia dove ero deciso a restarci ed a cercare di costruire un'altra Italia, un'Italia di pionieri, in cui il mio sogno era quello di diventare il piccolo Kipling. Questo sogno però duro fino a quando giungemmo ad Addis  Abeba, lì vedendo le cose come stavano, caddi in piena crisi.  La mia storia  è la storia di una illusione, di una delusione, che furono un po' quelle di quasi tutta la mia generazione. La vicenda coniugale della mia sposa abissina rientra nella mia illusione. Io volevo diventare un abissino e lo feci adeguandomi ai costumi matrimoniali locali. Oggi se ripenso a questo mio passato con nostalgia non delle cose che feci, ma dell'entusiasmo con cui le feci e comunque senza vergogna. Mi feci complice di un errore, ma lo commisi in buona fede e senza trarne alcun vantaggio. Anche tu, ragazzo mio, commetterai i tuoi bravi errori. Ti auguro di poterci un giorno ripensare come me, senza arrossirne''.

Indro, credo che l'Italia non è un paese razzista, o almeno non lo era fino ad alcuni anni fa. Era un paese tollerante e anzi molto sensibile, in quanto siamo un popolo di emigranti. Io sono nipote di antenati emigrati nelle diverse zone d'Europa, dalla Svezia alla Francia. Partirono anche loro con la valigia di cartone, con tanti sogni e speranze. Furono i primi a produrre il gelato ad Oslo,vendevano le statuine in gesso e lavoravano seriamente, rispettando gli abitanti del posto ed anzi ammirandone le tradizioni. Una zia di mio nonno portava sempre per Natale delle particolari candele svedesi che appendevano all'albero di Natale. E così tante, tantissime storie di italiani emigrati.

Naturalmente, per andare a lavorare all'estero, come in Svezia o Norvegia, serviva la '' lettera di richiamo'' che garantiva che appena uno arrivava aveva già un lavoro da svolgere e, qualora qualche connazionale avesse creato problemi, veniva chiamato dalla polizia locale il referente italiano della città in cui risiedeva e doveva decidere a seconda del caso se far ritornare in patria l'individuo o dargli una seconda possibilità: il nonno di mio nonno ad esempio era il referente italiano a Norrkoping. 

E' per questo che siamo stati sempre tolleranti, forse un po' per la nostra storia , forse per l'influenza della Chiesa. Però ora  qualcosa è cambiato. E' cambiata la mentalità sugli stranieri, ci stiamo richiudendo in noi stessi, per paura di perdere quella poca identità che ci è rimasta.                          E credo che ciò che dà più noia agli italiani che vivono quotidianamente le fatiche e le difficoltà della vita consista nel fatto che l'Italia è vista come il paese del ''bengodi'', mentre così non lo è più da tanto tempo e forse non lo è mai stato.

Coraggiosi o vigliacchi ?

'' Churchill mi raccontò una storia, pregandomi però di non raccontarla. Chissà poi perchè. Durante gli anni della guerra Londra viveva sotto l'incubo degli ' stukas' tedeschi, che giorno e notte la crocifiggevano, gli toccava come primo ministro recarsi il giorno dopo ogni grave bombardamento sui luoghi del disastro. Una volta dovette andare in un quartiere inglese completamente coventrizzato. Vide un panorama di rovine che sgomentarono anche lui. Lui che il 13 maggio 1940 aveva dichiarato agli inglesi in guerra, parlando alla Camera dei Comuni : '' Altro non ho da offrirvi che sangue, fatica, sudore e lacrime''. Fra quella moltitudine di rovine e di macerie qualcosa era rimasto in piedi, come sempre accade, anche dopo i peggiori bombardamenti. Una botteguccia di barbiere. Ammaccata da tutte le parti. Il proprietario aveva raccolto da terra e riappeso alla porta un cartello, semiserio: Business as usual. Si continuava a lavorare come sempre. Nessuno- mi disse Churchill- ebbe il coraggio di rivelarmi che quel barbiere inglese- di cui già mi sentivo orgoglioso- non era inglese,era italiano. Qualche tempo dopo mi capitò di tornare in Inghilterra e andai in quel quartiere ormai ristrutturato e cercai quel barbiere. Non c'era più, c' era suo figlio Robert. Mi diede appuntamento in un pub e mi raccontò la storia del padre. Faceva il barbiere su una nave. Una nave da crociera che nel maggio 1915 si trovava alla fonda in un porto inglese. Quando seppe che l'Italia stava per entrare in guerra, si fece sbarcare perchè aveva paura di essere richiamato alle armi. Rimase in Inghilterra.   Come dobbiamo giudicarlo, quell' italico barbiere ? Un fifone che aveva evitato di fare il suo dovere; o un uomo intrepido, che non si faceva impressionare nemmeno dai bombardamenti tedeschi ?

Bè rispondendo a questa domanda, credo che l'unica persona adatta a giudicare sia Dio a cui tutti noi un giorno mostreremo i nostri peccati, i nostri sbagli e i nostri segreti.

Margharet Thatcher, quando scoppiò la guerra delle Falkland nel 1982, chiese ironicamente al generale inglese che seguiva le strategie della guerra : '' di che origine sono gli abitanti delle Fokland? Perchè se sono argentini combattono, ma se sono italiani scappano''. Credo che la Thatcher, donna che stimo molto, abbia guardato all'Italia ed ai suoi martiri uccisi in guerra con troppa generalità. Basti ricordare quei soldati che combatterono la campagna di Russia del 1941 o,


in memoria dei nostri caduti, ricordare la figura del giovane Enrico Toti che  lanciatosi con il suo reparto all'attacco di Quota 85 a est di Monfalcone, fu ferito più volte dai colpi avversari, e con un gesto eroico, scagliò la gruccia verso il nemico esclamando: "Nun moro io!" , poco prima di essere colpito a morte e di baciare il piumetto dell'elmetto.


Magari i nostri soldati e patrioti non avevano le armature degli americani o degli inglesi, ma con semplici fucili si batterono con coraggio e con il cuore.                                                                                                                                                               

Volevo aggiungere a ciò che affermò Montanelli che anche gli italiani si mostrano, a seconda dei casi, coraggiosi o vigliacchi e questo - è vero- è sintomo di vigliaccheria, ma la maggior parte degli italiani non è vigliacca, può essere furba, fessa, squattrinata  e credulona, ma vigliacca no.                                                                                                                       Credo però che in Italia vi siano poche persone coraggiose.                                                                Se analizziamo il termine coraggio, vediamo che  deriva dal latino ''coraticum'' o '' cor habeo'' cioè ''ho cuore'' ed è considerata una delle virtù umane o cardinali. Spesso il coraggio viene indicato anche con la parola fortezza e dovrebbe assicurare nelle difficoltà fermezza e costanza e aiutare ad affrontare con serenità i rischi, non facendoci abbattere per dolori fisici o morali e, più in generale, permettendoci di affrontare a viso aperto la sofferenza, il pericolo, l'incertezza e l'intimidazione.   Ed alla vita, che ci riserva tante difficoltà, bisogna rispondere con tanta forza, pazienza e soprattutto coraggio.

Il grande ''Albertone'' Sordi sosteneva che gli italiani, almeno quelli degli anni cinquanta, erano vigliacchi, furbi, un po' delinquenti, bugiardi, imbroglioni ma sempre cocchi di mamma;  io però aggiungo che ci sono -fortunatamente e fieramente lo dico-, anche in risposta all'episodio del barbiere italico, giovani ragazzi italiani, seppur numericamente pochi, che con coraggio ed altruismo servono la nostra patria all'estero, in missioni di pace ed umanitarie, mettendo a rischio la loro vita per cercare di garantire sicurezza e stabilità a quei popoli che sono stati vittime di dittature e che meritano un futuro migliore.

E coraggiosi sono anche quei lavoratori che ogni giorno, rischiano la loro vita, andando a pulire cisterne, salendo sui tetti...   Vorrei per questo ricordare quei lavoratori della ThyssenKrupp, la cui morte è stata una delle più brutte pagine scritte nella storia del nostro paese.                                   Gli incidenti sul lavoro, non sempre sono casi isolati di disgrazie, ma frutto di un sistema economico-politico arretrato o in molti casi non rispettato;  soprattutto sono la dimostrazione di un chiaro fallimento culturale. La tutela e la sicurezza dei lavoratori dovrebbe essere una della basi solide e fondanti di ogni paese civile e democratico, ma forse noi ci illudiamo di vivere in paese pienamente democratico, ed è per questo che le morti avvenute alla Thyssengrup ed in altri moltissimi casi sono '' uno scandalo per la democrazia''.

Il mio sogno, è che sia i rappresentanti di categoria degli operai sia dei loro datori di lavoro, possano insieme rimediare a questi tragici e brutali morti, cercando di mettere da parte l' odio,le  rivalità ed i contrasti ideologici per pensare al bene di tutti quei ragazzi e padri di famiglia che ogni giorno ci lasciano in silenzio e senza colpa;  forse l'unica colpa da attribuire loro è che hanno svolto con onestà e coraggio il loro compito.

 

Colti o ignoranti ?

Il problema educativo e scolastico è sempre stato molto sentito in Italia, ma mai degnamente affrontato,soprattutto nel Sud sfruttato e maltrattato, ma non sempre giustificato. L'analfabetismo a Italia unita era diffusissimo nella maggior parte della popolazione e per far fronte a questo fenomeno il governo Ricasoli estese a tutta l'Italia la legge Casati, in vigore fino al 1862 solo in Piemonte che garantiva quattro anni di scuola elementare gratuita, ma non era obbligatoria per cui molte famiglie evitarono di mandare a scuola i propri figli.  Antonio Genovesi e il suo discepolo Gaetano Filangeri furono tra i più combattivi nel dimostrare che l'unico modo per rinnovare il Meridione fosse l'educazione, ossia fosse necessario lo sviluppo di una rete educativa;  il Filangeri sosteneva nel suo programma educativo di scuola che il primo educatore è il padre, poi deve subentrare lo stato e per entrambi l'educazione deve essere il primo dovere. I sovrani come i governanti, preferiscono molto spesso avere masse ignoranti facilmente assoggettabili piuttosto che un popolo istruito.  Pietro Verri scrisse un tempo che'' i sovrani non hanno mai amato di cuore gli uomini pensatori...La regina Cristina di Svezia li teneva come scimmiotti e pappagalli per un certo lusso di corte... '', ed oggi,  molti intellettuali '' pappagalli'' e '' servi dei potenti'', per dirla alla Montanelli ''preferiscono accontentare il Principe e infischiarsene del popolo''.                                 L' Italia di oggi ha bisogno di studiare, di leggere e di informarsi, oltre che di tornare a sognare, perché non ci sarà fine più brutta per noi che quella dell'ignoranza. Magari non facciamolo più di tanto per noi,  ma per quei nostri antichi intellettuali che misero cuore, anima e passione nel trasmetterci la loro cultura e i loro insegnamenti:  dobbiamo andare fieri di essere la '' culla della cultura mondiale''.  Anche Madame de Staèl, non certo generosa con i nostri intellettuali, pubblicò nel 1816 un articolo sulla ''Biblioteca Italiana'' dal titolo '' Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni''  in cui scrisse :'' Alcune l'hanno nella guerra, altre nella politica; gli italiani dèono acquistar pregio dalle lettere e dalle arti; senza che giacerebbero in un sonno oscuro, d 'onde neppur il sole potrebbe sveglierli ''.                                                                                                                                    

Ricordò Montanelli,  sempre con la sua intelligenza, lungimiranza ed ironia che '' la descrizione della media casa italiana degli anni cinquanta, con i suoi libri- anzi senza libri- dimostra che in effetti non è che le cose andassero meglio, prima della televisione. Però dalla televisione ci saremmo aspettati, data la sua potenza, che per merito suo andassero un po' meglio. Che quella quota all' ''alfabetismo'', piccolo o grande, '' d' andata '' o di '' ritorno'', già cominciata negli anni cinquanta, continuasse nei decenni. Invece è accaduto il contrario. Sicchè l'italiano medio, che già era un guardone che lettore prima, è diventato ancora più guardone, ancora meno lettore oggi. Bel risultato, con tutto il dispiegamento di tecnologia che c 'è stato, che c'è, che ci sarà. '' In molte, in troppe case italiane, non c'è altra carta stampata che quella dei giornali appesi a un gancio delle stampata che quella dei giornali appesi a un gancio delle latrine...''. Così scriveva Giovanni Papini nel 1953.  Oggi, da quando c' è carta igienica in abbondanza, nemmeno quella''.

 

Credenti o indifferenti?

Gaetano Salvemini scrisse un saggio, l'Italia è un paese cattolico? In quel saggio ricordò Montanelli è narrata la storia di un uomo,un padre italiano, anarchico e tradizionalista, di nome Giordano Bruno che va in Chiesa per far battezzare il figlio appena nato.
Il parroco disse:" che nome vogliamo dargli?".
Il genitore rispose"voglio chiamarlo come me,Giordano Bruno".
Il parroco:"impossibile chiamarlo così".
Il genitore:"io sono il padre e mio figlio lo chiamo come mi pare e se voi non volete battezzarlo me lo riporto a casa".
Il prete non poteva non battezzare il bambino e non poteva nemmeno dargli il nome di un eretico.
Allora pensò ad un cambiamento e disse:" lo chiameremo Bruno Giordano".
E il padre:"Fate come volete. Voi potete chiamarlo Bruno Giordano qui, ma a casa io lo chiamerò Giordano Bruno".
Così terminò il dialogo tra i prete e il genitore del bambino da battezzare.

Spesso la nostra religione nazionale purtroppo è così. Più saggia che rigorosa. Più astuta che saggia. Ispirata persino talvolta, all'arte dell'«arrangiarsi». Più accomodante che tollerante.

L'Italia, Indro, era e continua ad essere un paese tradizionalmente cristiano-cattolico.                    Ma qualcosa è cambiato.  Da una parte c'è una Chiesa poco aperta e flessibile, dall'altra nuove generazioni di giovani e adulti senza fede e influenzati negativamente. La colpa di questa crepa tra la Chiesa e le nuove generazioni  sta nel mezzo. I giovani rimproverano la Chiesa di essere ancora su posizioni arcaiche a riguardo delle coppie di fatto, dei contraccettivi,dell'aborto e denunciano troppo potere economico e beni materiali. La Chiesa, effettivamente un po' arcaica, sta perdendo l'opportunità di attirare giovani poiché presenta ancora sui vari territori parroci molto severi, chiusi al mondo giovanile e in alcuni casi un po' troppo inflessibili. La Chiesa attraverso i suoi veri uomini di fede, deve tornare a professare il messaggio di Dio e del Vangelo e ricompatterà i cristiani, come sosteneva Dossetti, solo sulla parola di Signore e dovrà farsi più spirituale, altrimenti non riuscirà a riunire tutti quei giovani che in fondo ai loro cuori credono e stimano ciò che fece Gesù e che hanno  bisogno solo di una guida, vera, aperta e che sappia capirli.                                                                Il tempo delle '' querce della fede'', delle nostre nonne, delle nostre bisnonne, dei nostri nonni che  hanno vissuto gli anni più difficili del nostro paese, sta terminando, prima o poi ci lasceranno e saremo  noi giovani a doverli sostituire nel loro percorso di fede.                                                      Se la Chiesa quindi non riuscirà più a trasmettere il messaggio del Signore, non ci sarà  niente più niente da fare, le Chiese saranno sempre più vuote e fuori ci saranno milioni di giovani senza guida e senza punti di riferimento su cui contare.                                                                                                                   

La mia bisnonna, che ha novantasette anni ottimamente portati, è una di quelle '' querce della fede'', che prega tutti i giorni senza mai perdere le speranza,'' spero qualcuno lassù mi ascolti''.                   Il giorno poiché ha più tempo prega per tutti i famigliari mentre la sera recita la bellissima ''preghiera della sera'' che le serve per raccomandare l'anima alla Trinità:''Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia / Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell'ultima agonia, / Dolce cuore di Maria sia salvezza l'anima mia''.                                                                                                 La scorsa estate, mi ha raccontato, in una simpatica intervista che le ho fatto, che una volta la Chiesa era il rifugio, il riparo, il luogo di raccolta e di unità dei nostri paesini di montagna.                                                                                

Quando le ho chiesto se al suo tempo era molto intenso il legame tra popolazione e religione, lei mi ha risposto che le persone erano molto devote, andavano spesso in Chiesa e le donne mettevano il velo sulla testa come copricapo. Nella sua famiglia tutte le sere si diceva il rosario e suo padre ai suoi fratelli prima di uscire di casa, faceva ripetere il rosario. Le bestemmie erano immaginabili.

Alla domanda invece se aveva ricordi positivi di parroci che ha incontrato nel corso dei suoi molti e lunghi anni, mi ha risposto : '' I preti che ho conosciuto erano bravissime persone. Il canonico Marcucci, vissuto a Barga nei primi del '900, dava da mangiare e i vestiti agli altri privandosene per se stesso e inoltre ha fondato il Sacro Cuore, andando a prendere i sassi in Corsonna ( località vicino Barga) con gli altri patrioti per fare la Chiesa. Poi fu molto bravo Don Francesco che fece l'oratorio. E' stato un santo questo! Sono morti poveri''.

Quando sono andato a trovarla la vigilia di Natale, chiedendole in quale Chiesa sarebbe andata a prendere la Messa la mattina seguente, mi ha detto : ''una volta andare in Chiesa e fare l'eucarestia era sentito, si faceva con gioia, oggi invece non si sente più il bisogno di andarci e ci si va tanto per fare qualcosa''.

La mia bisnonna Ida è una persona semplice,saggia, leale e onesta, che ha sofferto, sperato e che in silenzio ha cercato di costruire questo paese nel miglior modo possibile;  è vissuta in mille difficoltà    '' la vita è stata un grande sacrificio, ma sono contenta perchè ho visto crescere figliole, nipoti e pronipoti e sono contenta di essere tra loro'', ma non si è mai arresa, ha sempre avuto quel coraggio e quella forza che la vita in alcuni casi chiede di usare.

L' Italia buona, credente e non indifferente, silenziosa e laboriosa che nel corso dei secoli ha cercato di creare un'identità nazionale c'è, il problema è che le persone come lei sono state poche: ma un giorno chissà che non ritornino.

 

Francesco Cossiga cercando di delineare chi sono gli italiani, in un suo saggio scrisse che '' Gli italiani sono sempre gli altri'', ed è vero!

Sono stati gli altri per Leopardi, perchè scettici e cinici.
Gli altri per Manzoni, perchè si beccano come i capponi di Renzo pur nella comune disgrazia.
Gli italiani sono gli altri per Cavour, che parlava francese e pensava come un liberale inglese;
per Re Vittorio Emanuele che preferiva essere il II del Piemonte piuttosto che il primo d'Italia;
per Benito Mussolini che li voleva rifare da capo a fondo;
per Alcide de Gasperi, che si considerava un trentino prestato all'Italia;
per il sardo comunista Berlinguer, che li vedeva perennemente afflitti dalla «questione morale».
E ancora sono stati altri per Alberto Sordi, che voleva farsi americano, come il guappo napoletano di Renato Carosone.

E oggi gli italiani sono sempre gli altri.
L'antitalianismo come vizio abbiamo tutti noi.
Mi piace pensare che la ricerca della patria avvenga per fede con la "f ' minuscola e dunque credere che quel «vizio tutto italiano” di parlare male del proprio paese scaturisca da una «escandescenza di amor patrio”; cosi diceva nel 1839 a soli ventidue anni dall'unificazione del nostro paese un politico federalista molto importante della storia d'Italia come Carlo Cattaneo.

L' Italia dunque è stata fatta geograficamente e burocraticamente, ma moralmente, civilmente e culturalmente no, l'Italia non è un paese normale ma tutti noi speriamo un giorno di tornare ad innamorarsi di questa bellissima terra, e gli italiani invece '' sono sempre gli altri '' e lo resteremo fino a quando non faremo uno scatto d'orgoglio, nel frattempo rimaniamo divisi, tristi e '' senza nocchiero'' in un mare in gran tempesta.                                                                                             Da patria di Machiavelli, oggi siamo  più la patria di Francesco Guicciardini.                                    A Machiavelli  simbolo della politica come scienza, dell'esemplarità della storia di Roma, di cui ammirava le regole di comportamento politico valide in ogni tempo, oppose una tesi contraria il Guicciardiini, la teoria del ''particulare'': la realtà è troppo complessa per poterne ricavare leggi universali, ogni evento è caratterizzato dalla situazione storica in cui si verifica e richiede soluzioni specifiche.                                                                                                                                           Oggi, è vero, l'Italia è più guicciardiana che machiavelliana, ma in fondo cosa importa?!                Visto che siamo anche il Belpaese del cinismo perché non  concludere con quel famoso detto :             '' Franza o Spagna, purchè se magna''!

 

 

 

Lucca, 29 dicembre 2010

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