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Riforma della Legge elettorale si', ma come?

di Paolo Razzuoli

Il tema della riforma della legge elettorale ha attraversato una lunghissima stagione della politica italiana. Se pur in contesti molto variegati e con obiettivi diversi, tralasciando la legge maggioritaria di De Gasperi, di riforma gia' si parlava all'inizio degli anni '80.

E' appunto in quel periodo che si avvio' una riflessione sul sistema elettorale in vigore, e piu' in generale sull'architettura istituzionale del Paese, che mostrava elementi di criticita' e di cui - almeno una parte del mondo della cultura e della politica - avvertivano la necessita' di una riforma che coniugasse rappresentanza e stabilita'.

Il tema delle riforme istituzionali non e' poi - come ben si vede - una novita' della cosiddetta "seconda repubblica". Nella legislatura 1983-1987 venne istituita, su impulso di Craxi e di De Mita, una commissione la cui presidenza venne affidata al Parlamentare Liberale Aldo Bozzi, che fece un interessante lavoro che non approdo' a nulla. Poi vi fu una proposta elaborata da Roberto Ruffilli, Parlamentare democristiano barbaramente assassinato dalle brigate rosse. Anche in questo caso i veti incrociati impedirono qualsiasi riforma.

Si arrivo' quindi al referendum del 1993, e la riforma della legge elettorale risulto' ineludibile. Sotto la spinta del risultato referendario il Parlamento approvo' una legge sostanzialmente maggioritaria, se pur mantenendo una quota di proporzionalita'.

Si arriva, infine, all'ultima riforma, quella del 2005 con l'approvazione della legge attualmente in vigore: sistema proporzionale con premio di maggioranza e sbarramento.

Attualmente e' diffusa una serrata critica - che personalmente condivido - alla legge attualmente in vigore, con particolare accentuazione del disancoraggio dei candidati con il territorio e della mancanza di qualsiasi possibilita' di scelta in ragione delle liste bloccate. Qualcuno si e' spinto sino a definirla offensiva.

Infatti, con l'attuale normativa, le liste, su base regionale, vengono costruite dalle segreterie dei partiti. Agli elettori e' data esclusivamente la possibilita' di scegliere la lista, ma e' preclusa qualsiasi possibilita' di indicare da quale candidato vogliono essere rappresentati. Sulla base dei voti riportati dalla lista e del meccanismo previsto per la ripartizione dei seggi, sono eletti i candidati nell'ordine in cui compaiono sulla lista. Le conseguenze di questo meccanismo sono perverse e facilmente immaginabili. Mi limito ad una sola considerazione: si biasima tanto la partitocrazia della cosiddetta "prima repubblica" mentre, sfido chiunque a smentirmi, mai come ora l'oppressione della partitocrazia e' invasiva, soprattutto in un passaggio fondamentale per qualsiasi democrazia, quello cioe' della scelta di coloro che, in nome del popolo, sono chiamati ad esercitare funzioni politiche e di governo.

Dato atto che vi e' una larga condivisione della necessita' di superare la vigente legge elettorale per il Parlamento (deltutto diverso e' il discorso sulla legislazione elettorale per le varie articolazioni politico-amministrative del territorio), il dibattito e' apertissimo sul modello che dovrebbe sostituirla e non mi pare che al momento vi sia una linea sufficientemente condivisa.
Cio' posto, mi pare assai demagogica la posizione di coloro che, di fronte all'attuale crisi politica, propongono un governo tecnico, di breve durata, sostanzialmente per riscrivere una nuova legge elettorale e pochi altri fondamentali provvedimenti, soprattutto in materia economica.

E' di tutta evidenza che la legge elettorale incide pesantemente sull'assetto politico. E' su questo terreno che si scontrano due concezioni antitetiche: l'una e' quella dei sostenitori di una rappresentanza bipolare e/o, estremizzando, bipartitica; l'altra e' quella di coloro che hanno nostalgia del proporzionalismo, tesi in verita' rafforzata dal cattivo servizio che al Paese sta offrendo l'attuale classe politica, ben inteso tutta quanta la classe politica.
Personalmente penso che sia sbagliato, come purtroppo spesso si fa, confondere "il campo da gioco con la qualita' della partita". La crisi di credibilita' della politica e' sotto gli occhi di tutti ma occorre attenzione a non confondere i termini dei problemi. Le battaglie politiche si combattono e si vincono con il confronto sui contenuti e non con le scorciatoie. I partiti che si richiamano al sistema tedesco, (vedi piccoli partiti e/o parti del Pd), pensano in realta' a quel modello poiche' e' proporzionale, di fatto senza alcun correttivo salvo uno sbarramento assai limitato (5% che non si applica qualora il partito abbia vinto almeno in tre collegi uninominali).
Non mi pare di dire eresie se intravvedo in questa linea ed in questa eventuale maggioranza ove si creasse, una occasione ritenuta utile per battere Berlusconi che, temendo di non riuscire a batterlo sul terreno politico, si spera di riuscirci imboccando la scorciatoia del sistema elettorale.

Pur mantenendomi in questa sede distante da qualsiasi difesa dell'attuale maggioranza e del suo leader, credo che una tale prospettiva, stante la natura diciamo cosi' "antropologica" della nostra classe politica, e mi si perdoni non solo di questa, ci porterebbe indietro e riaprirebbe una stagione di logoranti trattative, di ricatti e di veti incrociati di cui non si avverte alcuna necessita'. O meglio. Certamente la avvertono le nomenclature dei partiti che in un tale quadro assumerebbero un immenso potere di interdizione. Certamente non la avverte la societa' civile.

Penso che la strada debba essere un'altra: quella di conservare un sistema elettorale che favorisca ampie aggregazioni, con premio di maggioranza al partito che ottiene il piu' alto consenso, con uno sbarramento per evitare una eccessiva frammentazione, e con riparto proporzionale per i partiti presenti in Parlamento con il ruolo di minoranza.
Ovviamente va poi corretta la mostruosa situazione del disancoraggio dei candidati dal territorio, per dare nuova dignita' alla rappresentanza popolare, e per stroncare il servilismo, dote oggi massimamente necessaria per ottenere un posto utile nelle liste.
Infine, ma non per ultima, la questione dell'indicazione preventiva del leader: propendo a favore dell'indicazione, analogamente a quanto avviene in quasi tutte le democrazie mature.

Posti questi obiettivi, vi sono vari strumenti tecnici per perseguirli: si tratta di aprire un confronto per valutare quale puo' ad essi risultare piu' coerente nella specificita' della situazione italiana.

A chi mi obiettera' che il Paese non puo' ulteriormente permettersi uno scenario politico desolante come l'attuale, io rispondo che non e' con strumentini tattici che si affronta il problema. La qualita' dei partiti e' il principe dei temi sul tappeto: tema che esige impegno, partecipazione, intelligenza, lungimiranza. Tema che interpella la societa' nel suo assieme, che deve mobilitarsi, che deve ritrovare uno scatto di orgoglio per dare degna rappresentanza ai valori della nostra cultura, della nostra storia, dei fondamentali valori che sono a base della nostra Repubblica. E deve poter e saper sciegliere una classe politica capace ed onesta, che sappia guidare il Paese sapientemente usando, mi si consenta l'immagine marinaresca, il sestante per fare il punto della situazione, e la bussola per non deviare dal percorso scelto.

Una annotazione sulla attuale crisi. Si tratta di una situazione per nulla riconducibile al sistema elettorale. Infatti nessun sistema, ove un pezzo di partito di maggioranza decida di imboccare un'altra strada, e' in grado di evitarlo. Qui si entra nel campo delle sensibilita' e delle responsabilita' politiche, quindi da interpretarsi e gestirsi con gli strumenti propri della politica.

Riposizionando nuovamente il focus sul nocciolo del problema, e' di tutta evidenza che non e' possibile operare un intervento sull'attuale legge elettorale con una mera aggiunta della possibilita' di attribuire il voto di preferenza. Immaginate cosa succederebbe con gli attuali collegi su base regionale?

Occorre quindi modificare in profondita' la normativa, e qui sicuramente "caschera' l'asino".

Proposte ce ne sono, e cito ad esempio l'appello per l'uninominale, assolutamente bipartisan, che vede quali primi sottoscrittori Pietro Ichino, Mario Baldassarri ed Alfredo Biondi.

Ovviamente i sistemi elettorali non sono in se' buoni o cattivi: dipende dalle singole situazioni e dalle caratteristiche antropologiche e culturali delle diverse situazioni. Non credo di dire nulla di strano se affermo che cio' che funziona in Germania certamente non funzionerebbe in Italia.

Altro dato che intendo sottolineare e la necessita' di imboccare una strada con coerenza. L'innata propensione all'inciucio e al compromesso, rende molta legislazione italiana incoerente, confusa, di difficilissima applicazione. Non e' casuale l'altissimo livello di contenzioso e la dicotomia fra la lettera delle leggi ed i risultati della loro applicazione. Occorre quindi imboccare una strada con coerenza, facendo tesoro della scienza giuridica, e non sulla base di retropensieri di schieramento.

Uninominale secco, sistema proporzionale con premio di maggioranza e sbarramento, modello spagnolo?

Varie possono essere le opzioni. L'obiettivo dovra' pero' essere chiaro e perseguito con coerenza: garantire la stabilita' e ripristinare un serio rapporto fra eletti e territorio.

Esigenza urrgente per la salute della nostra democrazia ma che, spero di sbagliarmi, non potra' essere soddisfatta in tempi brevi, e in particolar modo da un eventuale governo tecnico di breve respiro.
Attorno alla riforma della legge elettorale per il Parlamento dovra' misurarsi la capacita' complessiva di elaborazione politico-culturale della classe politica e, piu' in generale, della societa' italiana.
Pur ribadendo l'urgenza di una tale riforma, penso che i tempi siano maturi per una piu' vasta riforma istituzionale, nel cui ambito la nuova legge elettorale assumerebbe un ben diverso significato.

Una riforma istituzionale da affrontare con coraggio, nel pieno mantenimento dei principi fondamentali della nostra meravigliosa Costituzione, ma senza paure nel rivedere un assetto istituzionale pensato in una situazione storico-politica completamente diversa dall'attuale.

Ma so bene che questo si', e' un vero miraggio. Si richiederebbe infatti un grande sforzo di coesione e di condivisione rispetto a temi che dovrebbero trovare una comune capacita' di elaborazione ed un ampio consenso. Qualcosa di abissalmente diverso dal litigioso pollaio che quotidianamente ci viene servito.

Concludo con una breve panoramica sui sistemi elettorali in uso in alcuni importanti Paesi.

Modello tedesco o spagnolo; doppio turno alla francese o uninominale secco modello Westminster.

Da sempre nel dibattito italiano sul sistema elettorale si guarda ai modelli in vigore nei principali Paesi europei simili al nostro per estensione, popolazione, economia e complessità politica. Anche i testi di legge presentati alla Camera e al Senato in questa legislatura per superare il detestato "porcellum" si richiamano a questi modelli. Uno di quelli arrivati fa riferimento addirittura ad un sistema agli antipodi geografici, il voto alternativo in uso in Australia.

MODELLO TEDESCO

In Germania è in vigore un sistema elettorale proporzionale a correzione maggioritaria. I cittadini esprimono due voti: il primo per il singolo candidato della circoscrizione elettorale; il secondo per una delle liste di candidati presentate dai partiti nella circoscrizione regionale. Dei 598 membri del Bundestag (ma in alcune occasioni, come nel 2002, possono anche essere di più), 299 sono eletti con sistema maggioritario a turno unico nell'ambito di altrettanti collegi uninominali; per i rimanenti 299 seggi si procede allo scrutinio proporzionale con liste bloccate e soglia di sbarramento al 5 per cento. I partiti le cui liste non raggiungono tale soglia sono esclusi dalla ripartizione dei seggi. Lo sbarramento non si applica ai partiti che hanno conquistato almeno tre eletti nei collegi uninominali e non riguarda i rappresentanti delle tre minoranze nazionali riconosciute (Danesi, Sorabi della Lusazia, Frisoni) nei "Lander" (gli stati federati tedeschi) in cui sono presenti.

DOPPIO TURNO FRANCESE

In Francia si vota con un sistema elettorale maggioritario a doppio turno. Il Parlamento è composto dall'Assemblea nazionale e dal Senato, due Camere che sono diverse sia per poteri e attribuzioni in materia legislativa sia per i meccanismi di elezione (bicameralismo imperfetto). I 577 membri dell'Assemblea nazionale sono eletti in altrettanti collegi (555 per il territorio metropolitano, 17 per i dipartimenti d'oltremare e le collettività territoriali e 5 per i territori d'oltremare). In ogni collegio, se un candidato ottiene subito la maggioranza assoluta dei voti validi viene direttamente eletto (a condizione che la cifra elettorale conseguita sia almeno pari al 25 per cento del numero degli elettori iscritti nelle liste della circoscrizione). In caso contrario si passa al secondo turno, dove sono ammessi tutti i candidati che si sono presentati in quel collegio e che hanno raggiunto al primo turno almeno il 12,5 per cento dei consensi. Chi consegue al secondo turno la maggioranza dei voti (anche se non assoluta) viene eletto. Il Senato, invece, consta attualmente di 321 membri, eletti tra i cittadini che abbiano compiuto 35 anni per un mandato di nove anni (ogni tre anni però il Senato è rinnovato per un terzo dei seggi). Le elezioni hanno luogo a suffragio universale indiretto a eccezione per i dodici senatori eletti dai francesi residenti all'estero eletti su base proporzionale, tra i componenti del Consiglio superiore dei francesi all'estero eletti a suffragio universale. I collegi per la scelta dei restanti 309 senatori comprendono i deputati eletti e i consiglieri regionali del dipartimento, nonché i consiglieri municipali o i loro delegati. Le modalità di scrutinio nell'ambito del collegio elettorale senatoriale variano a seconda del numero di senatori da eleggere nel dipartimento: se i senatori da eleggere non sono più di due, si fa ricorso allo scrutinio uninominale maggioritario a due turni, da effettuarsi nella stessa giornata; se sono da eleggere tre o più senatori, si ricorre al sistema proporzionale sulla base di liste bloccate.

UNINOMINALE BRITANNICO

Quello in vigore nel Regno Unito per l'elezione della Camera dei Comuni è un sistema maggioritario uninominale a turno unico. Il territorio nazionale è ripartito in tante circoscrizioni elettorali ("constituencies"), sottoposte a frequente revisione per garantire la più omogenea distribuzione in rapporto alla consistenza demografica, quanti sono i seggi da eleggere. In ciascun collegio viene eletto un solo membro della Camera dei Comuni, attraverso un maggioritario puro (detto anche "plurality" o "first past the post"), per cui è sufficiente la maggioranza semplice dei voti nell'ambito del collegio per venire eletti. Anche in Gran Bretagna è in corso un dibattito sulla riforma del sistema elettorale e dell'accordo di governo tra conservatori e liberaldemocratici fa parte lo svolgimento di un referendum in cui verrà chiesto ai cittadini se mantenere l'attuale sistema a passare ad uno di voto alternativo, simile a quello australiano.

MODELLO SPAGNOLO

In Spagna si vota con un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 3 per cento. Tuttavia, l'ampiezza contenuta delle circoscrizioni, disegnate a livello provinciale, rappresenta di per sé una implicita soglia di sbarramento e una correzione in senso fortemente maggioritario. Il Parlamento (Cortes Generales) è composto da una Camera bassa (Congreso) e una Camera alta (Senado). I 350 membri del Congreso sono eletti per un mandato di quattro anni a suffragio universale diretto, secondo la formula proporzionale con il metodo d'Hondt (che favorisce i grandi partiti, in particolare il più votato, a discapito dei piccoli, riducendo la frammentazione politica) e con le liste bloccate (gli elettori non possono quindi modificare l'ordine di presentazione dei candidati, né esprimere preferenze per candidati appartenenti a liste diverse da quella votata). Pur essendo un proporzionale puro, favorisce le liste principali e il bipartitismo grazie all'ampiezza limitata delle circoscrizioni (sono 52 e coincidono con le diverse province, 47 continentali e 3 insulari, più due enclaves in territorio marocchino, Ceuta e Melilla). A parte Ceuta e Melilla, vi sono nove circoscrizioni da 3 deputati; cinque da 4; quattordici da 5; tre da 6 deputati; cinque da 7; una da 8; quattro da 9 e tre da 10. Vi sono poi le quattro circoscrizioni di Siviglia (12 deputati), Valencia (16), Barcellona (32) e Madrid (33). In pratica, soltanto 93 deputati, pari a poco più di un quarto del totale, sono eletti in circoscrizioni con più di dieci deputati; dei rimanenti 257 mandati, ben 120 sono assegnati nell'ambito di circoscrizioni con una dotazione in seggi pari a 5 o meno. La clausola di sbarramento e, soprattutto, la ridotta ampiezza delle circoscrizioni fanno sì che, per circa un terzo di queste, hanno concreta possibilità di conseguire una rappresentanza parlamentare soltanto quelle liste che ottengano intorno al 20-30 per cento dei voti espressi nella circoscrizione; per altri due quinti delle circoscrizioni, la soglia elettorale per l'accesso al Congreso di fatto oscilla fra il 10 ed il 20 per cento dei voti espressi nello stesso ambito territoriale.

MODELLO AUSTRALIANO

In Australia è in vigore un sistema maggioritario uninominale che rappresenta però una via di mezzo tra un turno unico e un doppio turno. Si tratta, in realtà, di un doppio turno in un'unica giornata. L'elettore, infatti, è chiamato a votare in un'unica giornata, ma deve indicare accanto a ciascuno dei candidati (che non appartengono ad una lista ma competono singolarmente per partiti diversi) il numero d'ordine di preferenza, pena la nullità della scheda. Il territorio nazionale è diviso in 150 collegi, uno per ogni seggio della House of representatives da assegnare. Ogni collegio elegge quindi un solo candidato. Se dopo il primo scrutinio nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti, si esclude l'ultimo candidato (ossia il candidato con il minor numero di prime scelte) e si ripartiscono le sue seconde scelte sugli altri candidati. Se neanche dalla distribuzione delle seconde scelte emerge un vincitore con il 50 per cento più uno dei voti, si ripartiscono le sue terze scelte, poi le quarte, e così via. Se, terminate tutte le scelte successive alla prima del candidato eliminato nessun candidato avrà superato il 50 per cento, si passerà all'eliminazione del penultimo candidato e alla conseguente ripartizione delle sue seconde, terze scelte e così via, finché uno dei candidati non avrà ottenuto la maggioranza assoluta dei voti. Con questo sistema, può accadere che la coalizione che prende più voti in assoluto non ottenga una maggioranza di seggi in Parlamento. Si tratta di un sistema che favorisce la vittoria non tanto del partito preferito, quanto di quello meno osteggiato. Una variante, il "voto alternativo", adottata in Gran Bretagna dal Labour Party per eleggere il leader del partito, e proposta dal senatore Stefano Ceccanti (Pd), prevede che l'elettore abbia la facoltà, non l'obbligo, di indicare solo una seconda scelta.

Lucca, 18 novembre 2010

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