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Scelta e rappresentanza: l'uninominale è un passo in avanti

di Sofia Ventura

L’appello di autorevoli studiosi e politici a favore di una nuova legge elettorale basata sui collegi uninominali, pubblicato dal Corriere della Sera e al quale il quotidiano di via Solferino ha dato un autorevole avvallo con il fondo pubblicato lunedì 30 agosto a firma di Angelo Panebianco (tra i primi firmatari del documento),  costituisce un fatto di estrema importanza per il dibattito sulle riforme e in particolare sulla possibilità di dar vita ad un nuovo sistema per la formazione delle camere.
Fino ad oggi a parlare di cambiamento della legge elettorale sono stati principalmente i nostalgici della Prima Repubblica e di un sistema politico nel quale erano le oligarchie di partito a decidere composizione, vita e morte dei governi, con spregio della volontà degli elettori, impossibilitati a scegliere e a sanzionare direttamente i loro governanti.
Naturalmente, l’opzione preferita da chi ha sempre considerato e continua a considerare il bipolarismo e l’alternanza fastidiosi impedimenti per il ritorno agli accordi di vertice tra pezzi di nomenclatura dei quali disfarsi al più presto è un sistema elettorale proporzionale (chiamato “alla tedesca” per nobilitarlo, ma sempre proporzionale rimane), privo di qualunque correttivo maggioritario; un sistema, come ha giustamente osservato Panebianco, che travolgerebbe il bipolarismo e aprirebbe – per l’appunto – la strada al ritorno alla Prima Repubblica.

È nei piccoli partiti centristi,  emarginati dal sistema bipolare e dei quali in ogni sistema politico ben funzionante non si sente proprio la necessità, e all’interno di importanti settori del Partito democratico che ritengono possibile sconfiggere Berlusconi solo con alchimie politiche e non con un confronto diretto tra chiare alternative, che si trovano i campioni del “proporzionale è bello”.
Ha certamente ragione il costituzionalista e leader del movimento referendario Giovanni Guzzetta (anch’egli firmatario dell’appello) a sostenere che piuttosto che tornare a un sistema simile, sia preferibile tenersi l’attuale “Porcellum”, che con il premio di maggioranza perlomeno fornisce importanti garanzie per il mantenimento del bipolarismo (anche se, a differenza di quello che crede il ministro Mariastella Gelmini, non può impedire i cosiddetti “ribaltoni”). Ma è lo stesso Guzzetta a riconoscere che se si vuole seriamente affrontare il tema della riforma elettorale, allora l’unica strada seria da percorrere è quella dell’uninominale.L’adozione di un sistema basato su collegi dove i candidati devono mostrare la loro “faccia” facendo campagna elettorale e sottoponendosi al giudizio degli elettori, oltre a favorire i grandi partiti e una competizione tra due principali opzioni, avrebbe il merito di ricreare le basi per un riavvicinamento dei cittadini ad una politica oggi fortemente screditata.

Uno dei peggiori difetti del sistema elettorale vigente è infatti quello di porre nelle mani dei ristretti vertici dei partiti un assoluto potere di discrezionalità nella scelta dei candidati; i cittadini possono scegliere il partito per il quale votare, ma per quanto riguarda coloro che andranno a rappresentarli in Parlamento non hanno la benché minima voce in capitolo e non possono fare altro che accettare o rifiutare un pacchetto preconfezionato (e solitamente poco pubblicizzato). Il fatto che anche nei sistemi elettorali con collegio uninominale intervenga la scelta del partito – come ricorda Gelmini che, come la gran parte dello stato maggiore del Pdl, ritiene il “Porcellum” il migliore dei sistemi  possibili -  non equipara tali sistemi alla situazione di pressoché totale arbitrio sulle candidature oggi esistente, poiché costringe i partiti ad attribuire una significativa importanza alla  “presentabilità” dei candidati, alla loro capacità di sostenere una campagna elettorale, all’eventuale credito del quale godono a livello locale. E gli stessi candidati, una volta eletti, per garantirsi la rielezione saranno incentivati non solo a garantirsi il favore del partito ma anche – se ne sono privi – a creare un rapporto con il proprio collegio. Tutto ciò non può che avere ricadute positive sulla “qualità” dei nostri rappresentanti e si tratta di un risultato di non poco conto.

Se, infatti, siamo convinti che in un sistema ben funzionante la direzione politica debba essere saldamente nelle mani del governo, parimenti crediamo che il Parlamento debba poter svolgere con efficacia la propria funzione di controllo e fungere seriamente da camera di riflessione e di miglioramento della legislazione, nonché essere luogo di dibattito “alto” sui grandi temi che coinvolgono il paese. E per questo è necessario che vi sia un personale politico capace, preparato e non totalmente dipendente dalla volontà (o dai capricci) di chi comanda nel partito.
Tutte queste considerazioni, però, non sembrano scalfire minimamente i principali esponenti del Pdl che, come si diceva, difendono strenuamente il “Porcellum”. Se per i sostenitori del proporzionale l’obiettivo è ritrovare le condizioni per poter di nuovo esercitare un ruolo reagendo contro la modernizzazione che ha investito negli ultimi vent’anni il nostro sistema politico, per i “nuovi” avversari del sistema uninominale della maggioranza di governo l’obiettivo è invece quello di conservare il potere con un sistema che alle attuali condizioni li garantisce e al tempo stesso non li costringe a mettere in discussione la propria natura e le proprie strategie (o forse sarebbe meglio dire tattiche di sopravvivenza). E per raggiungere il loro scopo i secondi non arretrano di fronte a nulla, neanche all’assurdo di pseudo-argomentazioni come quelle che si sono sentite in questi giorni contro l’opzione uninominale. Come quella dell’onorevole Cicchitto, che ha sostenuto che sarebbe l’attuale legge a tenere in piedi il bipolarismo, come se questo sistema non fosse sorto e non si fosse consolidato nelle tre elezioni tenute con il precedente Mattarellum, e ad avere portato a una semplificazione del quadro politico,  mentre è evidente che quella semplificazione è stata l’esito di precise strategie adottate nel 2008 dai due maggiori leader e l’esperienza del 2006 mostra che con diverse condizioni il Porcellum rende possibile anche un’alta frammentazione. O come quella del senatore Quagliariello, che senza spiegarne le ragioni “tecniche” imputa all’appello a favore dell’uninominale il ruolo di grimaldello per favorire la “restaurazione” (il riferimento implicito è alla Prima Repubblica) e finge di ignorare che è piuttosto difficile trovare nell’elenco dei firmatari qualche sostenitore del bel tempo che fu.

La strada per riformare seriamente il nostro sistema elettorale e attraverso di esso proseguire nel processo di modernizzazione del nostro sistema politico (processo che appare essersi arrestato e rischia anche di arretrare) non sarà semplice. L’appello per l’uninominale (che sta raccogliendo un numero crescente di adesioni) costituisce un importante passo avanti e, come ha scritto Ilvo Diamanti su Repubblica, si tratta ora di convincere i cittadini che cambiare la legge significa cambiare davvero il rapporto tra società e politica e, anche se non sarà facile, vale la pena di provarci. Perché è in gioco il futuro dell’Italia.

(da Farefuturowebmagazine, 1 settembre 2010)

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