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il 19 agosto del 1954 muoriva Alcide De Gasperi, il piu' grande statista e uomo politico della nostra storia repubblicana.
Per i lettori di Fucinaidee, propongo un testo concernente l'attualita' del pensiero di De Gasperi: un tema di grande stimolo alla riflessione, in una fase di crisi e smarrimento della politica italiana.

Lucca, 19 agosto 2010
Paolo Razzuoli

L'attualità di De Gasperi

di Roberto Napoletano

Il tema che mi è stato affidato è l'attualità di De Gasperi, continuamente richiamata in un contesto in cui si soffre della mancanza di leadership forti, in cui l'Europa sembra in panne, in cui tornano protagoniste le angosce di fronte al futuro.

È chiaro che la figura di De Gasperi ha un fascino a cui è difficile resistere. Si tratta di una figura aliena dal contesto mediatico oggi dominante, poco disponibile alla retorica roboante degli annunci demagogici e ad essa estranea, anche se sempre protagonista. Il suo ricordo suscita qualcosa che va oltre la nostalgia: è la domanda di una politica che sia missione e responsabilità, cioè capacità di governo e insieme senso della storia.

Ritengo sia importante sottolineare un aspetto: De Gasperi apparteneva ad una categoria oggi non esattamente di moda, quella dei politici di professione. In altre parole, la politica era il suo mestiere ed egli ne era perfettamente consapevole. Quando il fascismo gli impedì di esercitarlo, egli ne soffrì enormemente. Dalla prigione in cui scontava la pena impostagli dal regime, il 6 agosto 1927, scrisse alla moglie: «ci sono molti che nella politica fanno solo una piccola escursione come dilettanti e altri che la considerano, e tale è per loro, come un accessorio di secondarissima importanza. Ma per me, fin da ragazzo, era la mia carriera o meglio la mia missione. Non importava di emettere mandato, abbandonare il giornale, imporre il silenzio alle labbra. Questo in parte feci e se l'avessi fatto anche totalmente, forse che io non restavo io e che potevo uscire dalla mia pelle? Rimango sempre un popolare».

Il De Gasperi degli anni giovanili è quello degli anni maturi: come un chirurgo rimane sempre un chirurgo, anche se muta l'ospedale, e un ingegnere è sempre ingegnere. Mi viene in mente Max Weber e la politica come professione. Vivere di politica, vivere per la politica: guardate come il senso cambia, semplicemente cambiando una preposizione! Per De Gasperi la politica era una professione nel senso forte del termine, ossia era una chiamata ad una missione, come dicevo all'inizio, non certo un modo per sbarcare piuttosto bene il lunario.

In gioventù aveva fatto il giornalista - il "mestieraccio", come ebbe a definirlo in un'occasione - dirigendo a ventiquattro anni il quotidiano cattolico di Trento "Il Trentino". Ma era stato forse un modo per prepararsi alla battaglia nelle istituzioni, nel Parlamento di Vienna e poi in quello italiano e al governo.

Mi sembra importante sottolineare che, quando al tempo della Costituente circolavano nel Paese ipotesi più radicali di democrazia più o meno diretta (il dibattito sui consigli di fabbrica, i comitati di previdenza nazionale, Dossetti che si distingueva da Togliatti), De Gasperi ebbe un atteggiamento molto chiaro. Egli con perspicacia sottolineò che uscire dal sistema parlamentare sarebbe stato pericoloso perché era da lì che doveva formarsi la coscienza nazionale condivisa. Gli storici dicono che pesava su questo approccio la sua esperienza asburgica, quando aveva visto che la crisi di quel regime si era radicata trasformando il Parlamento di Vienna in un rissoso consesso di numerosissimi partiti nazionali e non, con il Governo che soffiava sul fuoco delle loro contrapposizioni, illudendosi di ergersi ad arbitro tramite la burocrazia e di sottrarsi così a qualsiasi controllo.

È una lezione sulla quale oggi è giusto riflettere, perché talvolta ci sembra che le nostre Assemblee elettive non siano poi tanto distanti da quel rissoso Parlamento viennese. Tutto quello che oggi ci viene raccontato dalla cronaca ci mette sotto gli occhi schiamazzi, sceneggiate e quant'altro in un caos che certo non giova alle fortune di questo sistema.

La lezione più importante è senza dubbio quella che De Gasperi offrì nella gestione della crisi di trapasso del secondo dopoguerra, ed è attuale perché anche oggi viviamo una crisi di trapasso. Certo molto meno drammatica, perché non usciamo dalla guerra, non ci sono le macerie della guerra. Talvolta mi è successo di riflettere sul fatto che c'è stato un solo vero miracolo economico in Italia: quello del dopoguerra; e che per creare quelle condizioni bisognerebbe ricreare quel clima. Ma se si ripensa alla guerra e al dopoguerra, occorre comprendere che la spinta avviene già durante la guerra. In altre parole, durante la guerra - quando cadevano le bombe e morivano mogli, figli, fratelli - negli italiani scattò una voglia di rivincita che oggi chiaramente è più difficile trovare. Tuttavia, ci troviamo anche oggi in una situazione che ha bisogno di uno scatto, e quindi sono di grande attualità i fatti di allora. La situazione attuale è più complessa perché mancano i parametri di riferimento ed è quindi giusto, secondo me, riandare con la memoria all'insegnamento di De Gasperi, perché è stato testimone del disfacimento di due sistemi politici: il plurisecolare Impero asburgico e il sistema nazionale italiano, distrutto dal montare della reazione fascista. La sua percezione è stata quella che le crisi di transizione hanno bisogno di essere governate, altrimenti degenerano. Così come poi puntualmente è accaduto.

Gli storici sostengono che da questa osservazione De Gasperi trasse alcune lezioni importanti. La prima era che lo Stato doveva mantenere l'autorità, altrimenti veniva meno un punto di equilibrio. Ma questa autorità doveva fondarsi sul sistema parlamentare rappresentativo - ed è importante questo passaggio - capace di essere il luogo del confronto, ma soprattutto il luogo della maturazione delle decisioni. Riflettete su quanto sia straordinariamente attuale questo riferimento.

Basta sfogliare qualsiasi pagina di giornale, come faccio io ogni giorno, per capire qual è il nostro problema: l'incapacità di decidere su tutto. In un articolo di fondo, Paolo Pombeni ha scritto che da 'paese bloccato' stiamo passando a un 'paese sbagliato', perché non solo non si riesce a decidere per la TAV, o per costruire un qualunque gassificatore, ma alla fine non si riesce nemmeno a decidere di far camminare un treno perché qualcuno ha pensato di non pagare il biglietto. I motivi possono essere i più diversi (può trattarsi di una forma di protesta o di mancanza di soldi), ma comunque, c'è una regola che dovrebbe essere rispettata e non viene rispettata.

La seconda lezione, ugualmente molto attuale, è che l'equilibrio economico ha un ruolo fondamentale nel mantenimento dell'equilibrio politico. Per la generazione di De Gasperi il grande shock fu la terribile inflazione nella Repubblica di Weimar, all'inizio degli anni '20. Essa non distrusse solo le fortune del ceto medio ma, accompagnata alla crisi del 1929, ebbe riflessi anche sulla classe operaia, da una parte della quale arrivarono non pochi consensi al nazismo.

Questo riferimento all'inflazione è molto importante. Oggi, per fortuna, corriamo meno simili rischi, però dobbiamo pensare a quello che è stato il debito pubblico italiano. Credo che in Italia si sia riflettuto sempre troppo poco su quale eredità abbia lasciato il patto Lama-Agnelli, perché siamo arrivati ai punti di differenziale dell'inflazione della Germania. Abbiamo vissuto in una fase in cui il caro-vita è stato un elemento fortemente distorsivo e ha avuto una notevole influenza sui nostri comportamenti, sui quali a mio parere non abbiamo riflettuto in modo adeguato. Quindi non si tratta solo di inflazione, ma di quello che c'era dietro l'inflazione. Ne siamo usciti con la politica, ma ne siamo usciti a metà perché abbiamo dei debiti da pagare.

La terza lezione, secondo me ancora di grande attualità, si riferisce all'importanza essenziale di inserirsi nelle dinamiche internazionali, abbandonando vecchie retoriche imperiali e da grande potenza, ma avendo la chiara percezione che un paese come il nostro non può reggersi se non riesce ad essere parte di dinamiche più vaste.

Furono da un lato l'Europa e dall'altro l'Alleanza Atlantica, due scelte ampiamente discusse, che ci consentirono di uscire da quel ruolo di paese sconfitto e un po' fascista che a vari alleati non sarebbe dispiaciuto attribuirci. Ci siamo affermati, invece, come una nuova democrazia con un suo ruolo da giocare sul tavolo del nuovo ordine internazionale. Sono state scelte veramente importanti e fortunatamente compiute. Non ci vuole molta fantasia per intuire che, sia pure con molti mutamenti di orizzonti e approcci diversi, questa lezione è utile nella gestione della delicata fase di passaggio che stiamo attraversando. Si tratta di una lezione storica di grande spessore su cui occorre riflettere.

Ho accennato prima al problema dell'inflazione che oggi, grazie all'euro, è confinato in un cassetto. Ciò però non significa che non esistono altre forme di erosione e di compromissione del potere di acquisto e del reddito delle famiglie. Questo è un tema che meriterebbe più di qualche considerazione. Evitare l'assalto dei privilegiati alla difesa dei loro piccoli privilegi è pur sempre un tema con cui la politica dovrebbe misurarsi, consapevole, come lo era De Gasperi, che tenuta del sistema economico e tenuta del sistema politico sono interconnesse.

Ogni tanto provo un po' di fastidio per la politica e per il peso della politica, perché spesso essa viene ridotta a un problema di schieramento, mentre la politica è un'idea molto alta se la vivi come qualcosa che serve a risolvere i problemi della gente. La politica della polis: questa è una riflessione importante. Ecco perché i temi dell'economia ritornano sempre dietro la politica, perché sono una cartina di tornasole decisiva.

Vorrei concludere queste mie riflessioni sull'attualità del pensiero di De Gasperi sottolineando quello che ritengo sia il merito più rilevante di un trentino come lui era: la coerenza meridionalista. C'è stata una stagione veramente importante - quella del miracolo economico italiano - legata ad un organismo che poi, come succede spesso in Italia, è diventato addirittura sinonimo di ruberia: la Cassa per il Mezzogiorno, voluta da Alcide De Gasperi. Ebbene, la Cassa per il Mezzogiorno ha fatto per questo paese quello che hanno fatto in pochi. Cavour disse che avrebbe unito l'Italia con le ferrovie, ma io vi prego di cercare un treno che colleghi oggi Napoli a Bari, perché non lo trovate. La Cassa per il Mezzogiorno, frutto della coerenza meridionalista di De Gasperi, sotto la direzione di Pescatore, costruì chilometri di strade e, così facendo, almeno con le strade unì l'Italia. Ricordiamoci che in Sardegna, nel dopoguerra, le donne si lavavano ancora nei ruscelli: la Cassa per il Mezzogiorno portò l'acqua. E siccome ho sentito parlare molto propriamente di piano Marshall, vorrei ricordare che la Cassa per il Mezzogiorno consentì di raddoppiare il prestito del piano Marshall, perché quello che pochi sanno e tutti dimenticano è che i primi soldi esteri in Italia sono arrivati proprio attraverso la Cassa per il Mezzogiorno.

Ancora oggi esiste il problema dell'acqua, che spesso è un problema di manutenzione delle condotte idriche. Se si tornasse alle mappe della Cassa del 1968 e si prendesse qualche decisione, probabilmente non si sbaglierebbe. E siccome ho ascoltato il Presidente Andreotti nel suo intervento fare riferimento ad un discorso di De Gasperi sulla spesa pubblica, vorrei ricordare che la Cassa per il Mezzogiorno non ha mai superato i 300 dipendenti, di cui 290 erano ingegneri e realizzavano delle opere. Poi sono diventati migliaia con Agensud e i cosiddetti enti collegati (Insud, Fime, Finam, Formez, Iasm). Ad un certo punto si decise di sostituire Pescatore, di sciogliere la Cassa e di creare tante agenzie. Ritengo che questa non sia stata una scelta lucida, perché ha fatto la fortuna di molti ingegneri, che per conto delle proprie casse sono andati a bonificare i deserti in Egitto e a rimettere in sesto paesi dell'America Latina. L'avrebbero potuto fare per lo Stato italiano e forse ne avremmo tratto qualche vantaggio in più.

(da Fondazione.camera.it)

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