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Destra e Sinistra

(Una rivisitazione)

 

Di Andrea Talia

 

 

Premessa

 

     Sciogliendo la riserva formulata nel nostro precedente articolo (1), trattiamo ora le categorie di destra e sinistra.

Cio’ al fine di verificare se la polarizzazione (la “strana coppia”), abbia ancora una sua validita’, si sia stemperata, o (infine) non rivesta piu’ alcuna valenza politica, sociologica, culturale. Una sorta di “cronaca”, nella fattispecie estrema, di una morte piu’ volte annunciata di una rescissione tra “politica” e “mondo” reale. Di una “narrazione” fatta esplodere dalla post-modernita’.

Necrologio che potrebbe estendersi alle altre due “tradizionali” contrapposizioni: Stato-mercato e pubblico-privato.

Quello che e’ certo – lo sottolineiamo sin d’ora – e’ il perdurare di una reciproca intolleranza tra le due culture.

Sullo sfondo: il centro come terzo incomodo. Pronto non solo a “rientrare” ma ad essere piuttosto affollato. L’avvenuto indebolimento parlamentare del governo apre, per quest’area, spazi fino a ieri insperati di manovra e di negoziazione.

 

Destra e Sinistra nella storia d’Italia (un veloce excursus)

 

A) La sinistra nel Novecento.

 

     La sinistra rinviene la sua matrice nel socialismo e coincide sostanzialmente con il Novecento (2).

Ne sono principali interpreti: il Partito socialista (1892) e il Partito comunista (1921).

Queste radici, per un verso, sono state recise dal duplice crollo del Partito socialista e del Partito comunista all’inizio degli anni ’90. Per altro verso, e prima ancora di tale crollo, erano stati essiccati dall’esaurimento dell’ideologia e della cultura politica legate al marxismo e dalle trasformazioni strutturali della societa’. Ulteriore corollario: termine della centralita’ della classe operaia.

Cio’ premesso, le sfide principali che la sinistra italiana ebbe a sostenere, coincidono sostanzialmente con i momenti di svolta profonda del Paese. Crisi di fine secolo; riformismo giolittiano; ingresso in guerra nel 1915; crisi del dopoguerra conclusasi con l’avvento del fascismo; la lotta di Resistenza; il 1947-48 nel contesto dello scoppio della “guerra fredda”; il 1956 e la destalinizzazione; la nascita del centro-sinistra; gli anni del terrorismo e della “strategia della tensione”; l’eurocomunismo; le fasi acute del “duello” tra il Partito socialista craxiano e il Partito comunista; e infine il momento finale che porto’ (come gia’ detto) al crollo, comune se pure diverso nelle cause, del Pci e del Psi (3).

     In Italia, la sinistra ha sempre oscillato tra il mito della rivoluzione proletaria all’insegna di una critica radicale del capitalismo e un gradualismo riformistico (penso, a Turati e ai socialisti liberali alla Rosselli).

Il primo filone annovera coloro che “non hanno avuto ragione ma hanno fatto la storia”; il secondo comprende invece “coloro che hanno avuto ragione ma non hanno fatto la storia”.

Peraltro, persa ogni capacita’ di iniziativa, massimalismo vecchio e nuovo presero a combattersi l’un l’altro. In cio’, condividendo con Giolitti la persuasione che il fascismo costituisse un fenomeno transitorio legato alla contingenza storica. (Croce ne ebbe a parlare come di una “parentesi”).

     Nell’ottobre del 1922 maturo’ la completa bancarotta della classe dirigente liberale e del movimento operario in tutte le sue componenti. Il movimento operaio, in particolare, non aveva saputo fare ne’ le riforme ne’ la rivoluzione.

Il rivoluzionarismo (4) si era rivelato essenzialmente come l’ideologia di un antistatalismo organico che aveva prodotto, come forza attiva, non gia’ una prassi rivoluzionaria ma una prassi antidemocratica e antiriformista.

Caduto il regime fascista (1943), inizio’ un nuovo ciclo della Sinistra italiana. In particolare, i due partiti della sinistra marxista strinsero alleanze con i partiti democratici antifascisti. Sfociate in compromessi, in apporto a governi di coalizione, volti alla ricostruzione dell’economia e delle istituzioni.

In una parola, impressero il loro sigillo sulla Costituzione repubblicana, respinsero il ribellismo e il sovversivismo, divenendo fautori della legalita’.

Bisogna, peraltro, attendere il 1961 (5) per la condanna del sistema politico sovietico. Nenni cosi’ scriveva (6): “La societa’ sovietica ha dato una risposta valida e positiva al diritto dell’uomo alla vita. Non ha dato ancora una risposta inerente alla garanzia dei diritti di liberta’”.

Tra il 1962 e il 1964 i rapporti tra Psi, Dc e Pci si chiarirono cosi’ da sciogliere nodi decisivi, ma in maniera tutt’altro che univoca.

Sul versante democristiano furono Moro (denuncio’, al congresso di Napoli del 1962, il peso negativo di una “destra retriva” intravide nel Psi la forza per un nuovo corso politico, auspico’ l’isolamento dei comunisti) e Fanfani (il cui governo costitui’ la prima espressione concreta di centrosinistra) a prendere l’iniziativa.

Ed arriviamo al 1968, con la grande ondata di contestazione sociale e politica. La stessa, diffusasi in gran parte del mondo occidentale, in Italia mise radici piu’ lunghe e robuste che in qualsiasi altro paese.

Dal punto di vista politico e ideologico, la nuova opposizione giovanile di sinistra ebbe il carattere di una duplice rivolta: contro il capitalismo, da un lato; e contro il “revisionismo” comunista e il “capitolazionismo” socialista, dall’altro.

Nella prima meta’ degli anni ’70, la formula di centrosinistra ando’ soggetta ad un progressivo esaurimento.

Berlinguer rispose (1976) con la teoria dell’”eurocomunismo” come una sorta “di terza via” tra quella seguita nell’est europeo e quella propria delle socialdemocrazie. Anzi, si spinse piu’ in la’, affermando che il Pci considerava la Nato come una garanzia per l’avanzata del socialismo in Italia.

Il che implicava un giudizio negativo inequivocabile sui pericoli della politica di potenza dell’Unione Sovietica.

Il “revisionismo” non fu totale. Nelle tesi del XV congresso del Pci (1976), si ripeteva la critica ai partiti socialdemocratici per non aver “portato la societa’ fuori della logica del capitalismo”.

Nel frattempo Craxi (salito alla direzione politica del Psi nel 1976) diede una diversa e netta svolta al Psi, porto’ a compimento (primi anni ’80) tre operazioni:

-         messa in soffitta della linea dell’alternativa di sinistra alla Dc;

-          rottura ideologica con la residuale matrice marxista e la proclamazione del Psi quale partito “riformista”;

-          trasformazione del Psi, sotto il profilo organizzativo, in un modello leaderistico e assembleare.

Craxi, facendo risaltare le sue doti di capo in grado di approfittare delle debolezza altrui e di trarne i vantaggi in termini di potere, inseri’ il proprio cuneo nei varchi lasciati aperti da comunisti e democristiani.

Il Pci, da parte sua, da un punto di vista strategico, navigava ormai a vista. Nel giugno del 1988 Natta si dimise, lasciando il posto ad Occhetto, restato segretario fino al 1991.

Nello stesso anno, il Pci aveva cessato di esistere. Nel 1992, con il tornado “Tangentopoli” il Partito socialista, insieme a tutti i partiti italiani “tradizionali”, era stato seppellito.

L’identita’ del partito post-comunista venne raccolta da D’Alema (1994) e da Veltroni.

IL primo affermo’, a proposito della “vera identita’ del Pds”, che essa non poteva essere che quella “di un partito ormai saldamente radicato nel campo del socialismo e del laburismo europei” (7).

Il secondo, ancorandosi sia al Kennedismo, sia al “New labour” di Blair, affermo’ di guardare agli Stati Uniti: “laboratorio delle cose che poi succedono qui, specchio che consente di vedere il futuro italiano con un certo anticipo” (8).

Venendo all’oggi, rileviamo come la sinistra italiana non riesca ancora a trovare un modus operandi, una navigazione, un progetto, un sogno, all’altezza del momento politico. Capace di esprimere alternative autorevoli per il governo del Paese.

Una Sinistra, in definitiva, incerta sui suoi stessi assetti interni. Quindi, sul modo migliore di configurarsi, di rappresentarsi, di offrirsi al giudizio degli elettori.

 

B) La Destra nel Novecento.

 

     La tematizzazione dell’altro polo, implica una considerazione preliminare.

Sul piano della cultura politica sia la destra (9) che la sinistra hanno offerto contributi importanti.

Per la destra, si pensi all’Hegelismo napoletano, a Pasquale Villari, a Sonnino, a Croce e Gentile, a Mosca e Pareto, ad Enaudi.

Per la sinistra, allo storicismo del Croce antifascista, a Salvemini, a Labriola e Gramsci.

Sul piano della concreta azione politica, invece, la sinistra ha prevalso – pur raccogliendo meno suffragi dal corpo elettorale – nettamente sulla destra.

La destra (detta poi storica) si affermo’ dopo il 1861, anche se il suo primo atto di nascita risale al Connubio. All’adesione, cioe’, alla politica di Cavour di elementi della sinistra subalpina (Lanza, Urbano Rattazzi).

Nacque allora, col Connubio, quel governare stando al centro, di poi costante italiana (in specie, dei moderati, in grande maggioranza dei convinti liberali).

Dopo il 1876 (governo DePretis) la destra non si e’ piu’ ripresa dalla sconfitta subita. Essa e’ tornata al potere solo per brevi periodi: nel 1896-98 con Rudini’, nel 1906 e 1909 con Sonnino, nel 1914-1916 con Calandra.

Cio’ non significa certo che la destra non sia stata al potere. Ma c’e’ stata in forme atipiche e improprie.

In buona sostanza, la destra italiana e’ prevalentemente stata:

-         il trasformismo (10) di Depretis;

-          l’autoritarismo di Crispi;

-          Il neotrasformismo di Giolitti (1903-1909);

-          I governi di guerra (1916-1919);

-          Il fascismo;

-          E, dopo il 1945, la Democrazia cristiana.

Qualche considerazione ulteriore. Per cio’ che concerne il fascismo, durante tutto il ventennio, Mussolini non qualifico’ mai il movimento come di destra o di sinistra. Ma sempre solamente come rivoluzione. Tale fu avvertita, gradualmente, da tutti gli italiani. In effetti nel fascismo, convissero sempre aspetti diversi. Tradizione e modernita’, mito di Roma e quello della macchina, romanticismo e dinamismo avventuristico.  

     Per la Democrazia cristiana, il suo elettorato la intravedeva come un partito conservatore (l’unica cosa importante era creare una diga contro il comunismo). “Come tale”, di destra.

Si trattava pero’ di un carattere conservatore e di destra atipico. La Dc, in effetti, era un partito di centro che, come disse De Gasperi, si muoveva verso sinistra alla ricerca dell’alleanza con i socialisti. In cio’, seguendo in parte il Partito popolare di Sturzo che era stato di centro per contrapporsi sia ai socialisti che ai liberali conservatori.

Non possiamo sottacere, in questo contesto, le qualita’ di De Gasperi, una delle maggiori personalita’ della storia politica italiana. Rispetto della liberta’, fiducia assoluta nella democrazia, energia dell’azione di governo, priorita’ delle ragioni dello Stato anche contro le pretese della Chiesa (della quale, pure, era devoto).

Sono qualita’ che ricordano quelle, sul versante laico e con un’accentuazione giacobina verso sinistra, di Ugo La Malfa. Anch’egli nutrito di un antifascismo che, se non bandiva del tutto la dimensione utopica, era proteso a realizzare la democrazia, realisticamente possibile. Tramite l’azione dall’alto del governo.

La spinta verso destra, durante gli anni ’80, del ventesimo secolo, si fece univoca nella societa’. Il vento, sotto l’influsso nel mondo anglosassone della Thatcher e di Reagan, cambiava rotta. La controffensiva neo-liberale ha portato gradualmente alla negazione dei valori collettivi, al ripiegamento in un “privato” sentito come antagonista del “pubblico”, all’autoaffermazione.

Coordinate che, ancora oggi, persistono. Anzi, risultano aggravate.

 

Destra e Sinistra nell’elaborazione culturale, politologia e sociologica.

 

A) L’antefatto.

 

     La genesi, il “luogo storico” entro cui prese origine la distinzione politica fondamentale tra destra e sinistra, viene evocata da uno studioso che ha incrociato, nei suoi studi, storeografia, filosofia politica e scienze sociali (11). Tre scansioni temporali:

-         5 maggio 1789: giorno di apertura degli Stati generali a Versailles. Tutto e’ ancora collocato nell’ordine esatto del Ancien regime. A cominciare dalla configurazione piramidale e gerarchica dello spazio definito dal cerimoniale. Trono in alto; Corte sulle tribune sottostanti; Terzo Stato, in fondo alla sala e su seggi piu’ bassi;

-          28 agosto 1789: la struttura spaziale dell’Assemblea e’ profondamente modificata. A destra, i sostenitori del veto regio; a sinistra, gli oppositori;

-          11 settembre 1789: voto espresso “per testa” e non “per ceto”.

Schematizzando al massimo nell’analisi retrospettiva, la contrapposizione tra destra e sinistra e’ stata una caratteristica dell’Italia repubblicana fino al 1992 (con la non secondaria eccezione, come gia’ detto, del consociativismo).

Una caratteristica ereditata dal conflitto tra fascismo e antifascismo. Per l’incontro, nell’Italia liberale, si e’ manifestata, in maniera radicale, solo in pochi casi critici: nel conflitto fra Cavour e Garibaldi e negli anni immediatamente successivi, nella crisi di fine secolo, nel primo dopoguerra.

A questi casi si devono aggiungere le quattro volte (1878, 1892, 1901, 1911) nelle quali vennero formati ministeri di sinistra contrapposti alla destra.

Quasi sempre destra e sinistra sono state entrambe deboli, confuse nel sistema politico, nel quale si governava stando al centro. La commistione si e’ poi registrata anche nella stessa persona. Tipico, ma non unico, e’ il caso di Giolitti che, soprattutto fra il 1903 e il 1909, fece una politica di sinistra (allargamento delle basi sociali dello Stato), usando strumenti di destra (conservatorismo).

Va dato atto a Berlusconi, con la sua “discesa in campo”, di avere costretto il sistema politico italiano a organizzarsi in due schieramenti contrapposti. E cosi’ e’ rimasto per 15 anni. In tal modo, neutralizzando il “centro”.

 

B) IL pensiero di Bobbio.

 

     Negli anni ’90 del ventesimo secolo, tramontate le ideologie, si riaccende, pur se “a fiammata”, la discussione intorno agli “estremi nemici”.

Su questi, oggi, pur con diverse variabili, il Paese torna a dividersi.

Bobbio, prende lo spunto da due studiosi.

Il primo vede il discrimine nel potere come principio di coesione (destra) o come fonte di discriminazione (sinistra) (13).

IL secondo, nell’opposizione gerarchia-uguaglianza (14).

Pubblica, sul punto, un fortunato saggio di analisi (15).

Bobbio respinge, in premessa, le ragioni dei contestatori. Di quelli cioe’ che considerano la contrapposizione ormai “datata”. Quindi, non piu’ attuale.

Affermata la validita’ e l’attualita’ della diade, sottoposte a critica le sopraesposte teorizzazioni (ivi comprese quelle di Foa, incentrate sulla liberta’), ridefinisce l’essenza piu’ intima della distinzione.

Essa consiste nel diverso atteggiamento che le due parti – il popolo di destra e il popolo di sinistra – mostrano nei confronti dell’idea di uguaglianza.

Esplicitata la relativita’ del concetto (ne’ la sinistra pensa che gli uomini siano in tutto eguali, ne’ la destra pensa che essi siano tutti diseguali), pone un punto fermo all’acceso dibattito sulla questione.

Coloro che si proclamano di sinistra – per l’autorevole maitre a penser – danno maggiore importanza, nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a cio’ che rende gli uomini uguali. O ai modi di attenuare e ridurre i fattori della disuguaglianza.

Coloro che si proclamano di destra sono invece convinti che le disuguaglianze siano un dato ineliminabile. Come tale, non se ne debba neanche auspicare la soppressione.

Conclude Bobbio: “non mi domando chi ha ragione e chi ha torto; sospendo ogni giudizio di valore. Perche’ non credo di qualche utilita’ confondere il giudizio storico con le mie idee personali. Anche se non faccio mistero, alla fine, di quale sia la mia parte”.    

 

C) Veneziani versus Bobbio.

 

     A distanza di tempo, a Bobbio risponde, con toni francamente eccessivi e con giudizi sprezzatamente liquidatori, Veneziani (16).

Lo schema di Bobbio (“maestro piangente di una teologia negativa della sinistra”), per Veneziani, appare piuttosto fragile. In particolare, in quanto:

-         “il comunismo e il socialismo non vengono menzionati;

-          il fascismo viene sbrigativamente collocato con il nazismo all’estrema destra;

-          i cattolici non sono da nessuna parte”.

Inoltre Veneziani bolla di Bobbio “il suo sostanziale e dichiarato conservatorismo riguardo la riforma della Costituzione, la difesa dell’antifascismo e del vecchio sistema politico, il rifiuto dell’ipotesi di una seconda repubblica”.

Cio’ premesso, Veneziani, ritiene piu’ corretto, teoricamente e storicamente, concepire la politica in una visione mobile e fluida. IN questa ottica, sono possibili anche “le intersezioni e le sintesi, gli attraversamenti e gli scambi in molte direzioni. Quindi anche tra destra e sinistra”.

Infine Veneziani, analizza i sogni e le debolezze della nuova sinistra e della nuova destra. Delinea il possibile antagonismo prossimo venturo che prendera’ il posto della “strana coppia” in forte crisi. E conclude:

“la nostra democrazia sara’ compiuta quando si potranno delineare i contorni di un polo nazionale, popolare, democratico, partecipativo da una parte, e un polo trasnazionale, liberal, democratico-rappresentativo dall’altra”.

 

D) Il pensiero di Sartori.

 

     Sartori (17) fonda il criterio distintivo sull’etica e segnatamente sulla passione per la giustizia.

Per il noto politologo, la sinistra, concettualmente, ha le credenziali vincenti: e’ virtuosa e persegue il bene. La destra, sempre concettualmente, si difende male: non si interessa di virtu’ e fa soltanto i fatti propri.

Peraltro, le credenziali etiche della sinistra, sul campo, ne costituiscono il suo tallone di Achille. La sinistra del nostro tempo, per Sartori, predica una virtu’ nella quale crede poco e pratica ancora meno. “E’ moralmente genuina nei suoi credenti e attivisti di base; ma lo e’ per lo piu’ moralmente ipocrita ai suoi vertici. Se il potere corrompe un poco tutti, corrompe piu’ di tutti la sinistra al potere”.

In sostanza, un gap tra gli ideali e le loro realizzazioni, tra il dire e il fare, tra progetti e comportamenti. Nell’ottica perversa dell’“eterogenesi dei fini”.

 

E) Tratti identitari della destra e della sinistra: un catalogo delle differenze.

 

     Esaminati i criteri proposti per legittimare la distinzione fra destra e sinistra, vediamone ora i rispettivi tratti essenziali.

Peraltro i due concetti sono concetti relativi. Non sono qualita’ intrinseche dell’universo politico. Sono luoghi del cangiante “spazio politico”.

In altri termini, destra e sinistra non sono parole dai contenuti fissati una volta per sempre. Possono designare perimetri diversi a seconda i tempi, le situazioni e le macro-variabili.

Tanto premesso, in via meramente sperimentale, i sentieri identitari – tendenzialmente – possono essere tematizzati, da alcune angolazioni.

a)      La dimensione temporale: progresso e conservazione. La sinistra opta per il movimento; la destra per la stabilita’. La sinistra e’ qualificata dall’ansia del mutamento. La destra dall’accettazione dello status quo; e dopo un mutamento radicale, dal primato del passato.

Conseguentemente, la sinistra, persegue il potere (visto come conquista rinnovabile). La destra, lo intravede come circostanza stabile.

b)      La dimensione progettuale: utopia e realta’.

La sinistra non puo’ fare a meno di una utopia, vista come una sorta di secolarizzazione della speranza. Solidarieta’, fratellanza, protezione sociale, vulgata repubblicana-resistenziale: i corollari.

La destra e’ ancorata al dato fattuale, alla dura ma concreta realta’ dei fatti. Privatismo, mercatismo, disincanto, disprezzo per il politically correct, autoreferenzialita’: i corollari.

c)      La dimensione spaziale: principio egualitario e principio gerarchico. Uguaglianza tra chi (concetto di cittadinanza) e in che cosa (diritti) per la sinistra; disuguaglianza (a vari livelli), come portato ineliminabile della societa’.

d)       Dimensione decisionale: autonomia ed eteronomia.

La categoria dell’autorita’, per la sinistra, viene declinata in maniera funzionale e strumentale (“governo delle leggi”); per la destra, come ordine oggettivo e stabilizzatore (“governo degli uomini”).

e)      Dimensione sociologica: elite del potere e classi subalterne.

Sociologicamente la sinistra guarda – o dovrebbe guardare – verso il basso (dimensione massificata); la destra verso l’alto (dimensione elitaria).

Quindi la prima rappresenta la societa’ delle garanzie, dell’interesse collettivo, dei diritti; la seconda, la societa’ del rischio e tutela dei propri interessi.

Un pensiero malizioso: se il voto a destra si fonda sugli interessi, e i deboli votano a destra, vuol dire che – secondo loro – la sinistra ha smesso di tutelarli. E se avessero ragione?        

 

La coppia destra-sinistra e’ ancora attuale?

 

A) Considerazioni preliminari.

 

     Prima di rispondere all’interrogativo, quattro considerazioni preliminari.

 

La prima: registriamo, oggi, in Italia, sotto il profilo etico-politico, alcuni dati fattuali, di cui necessariamente tener conto per la nostra indagine.

Sintetizzabili nella:

- scomparsa dei ceti moderati, quale cerniera tra gli opposti schieramenti e portatori di una cultura del limite;

- riframmentazione, anche a sinistra, tra riformisti e conservatori;

- incapacita’ (perdurante) dei partiti di esercitare un ruolo di direzione. Per carenza di progettualita’ e di credibilita’;

- crescita di una tendenza alla “secessione democratica”, da parte della popolazione del nord nei confronti del sud (19).

 

     La seconda: oggi, come per il passato, i due schieramenti non si presentano, al loro interno, unitari e monolitici.

La destra (originariamente segmentata in tradizionalista, liberal-conservatrice, autoritaria), attualmente, si diparte in due tronconi, difficilmente conciliabili.

Uno, autoritario e populista, l’altro, nazionale e conservatore; tradizionale nei valori, ma aperto al dinamismo economico e attento ai cambiamenti della societa’ (penso, ad esempio, alla fondazione “Fare futuro”).

A questi tronconi, se ne aggiunge un terzo: la Lega, evidenziante alcuni tratti caratteristici (ostilita’ verso i partiti, forte rivendicazione di autonomia regionale, ostilita’ verso gli immigrati extracomunitari).

La sinistra, da parte sua, (originariamente segmentata in sinistra liberale e parlamentare ed estrema socialisteggiante), si biparte in due: una componente liberale (centralita’ attribuita all’individuo, al cittadino e ai suoi diritti, al posto della classe e della sua missione storica), una componente (largamente minoritaria) discendente, in linea diretta, dalla tradizione comunista: la Rifondazione comunista.

In essa permane un imprinting antagonista e protestatorio.

A questi due schieramenti, si aggiunge l’Italia dei valori di Di Pietro, movimento oscillante tra un giustizialismo radicale e un’opposizione all’insegna della radicalizzazione dello scontro.

 

La terza considerazione tocca il dibattito sulla (mitica) “terza via”, intesa originariamente come schema politico in grado di superare il capitalismo tradizionale (destra) e il sistema sovietico (sinistra).

Un’alternativa, storicamente, passata attraverso: il new deal rooseveltiano; il “socialismo liberale” di Rosselli come tentativo di superare il socialismo dal marxismo (20); il partito d’Azione specie attraverso gli scritti di guido Calogero (21),

per approdare poi al “Mondo” di Pannunzio. Insieme a Pannunzio, altri intellettuali laici (22), come Salvemini, propugnarono una terza via, contro tutti i totalitarismi “ecclesiastici e secolari”.

Nel dibattito del 1952 su “Socialisti e liberali”, Salvemini indico’ una strada per superare le titubanze dei partiti: “Esistono ovunque in Italia, isolati gli uni dagli altri, e incerti, molti uomini e donne di alto valore morale e intellettuale, ma “disgustati” dalle manovre dei politicanti anche liberali, repubblicani e socialdemocratici. Uscirebbero dall’inerzia, se intravedessero come praticabile “una terza forza”, per attuare la quale sarebbe necessario accantonare le pregiudiziali ideologiche e i particolarismi di ogni tipo che sono d’ostacolo a un’intesa laica sotto forma di confederazione”.

Pannunzio, da parte sua, attraverso le pagine del “Mondo” e i convegni degli “Amici del mondo”, sostenne la terza forza con accanita tenacia, ancorche’ senza successo.

La terza via – come visione tra popolari e conservatori – fu rilanciata da Sforza, La Malfa e Parri.

Il leader repubblicano, in particolare e pragmaticamente, auspicava l’individuazione di un terreno politico e sociale di azione.

Le linee di sviluppo del progetto lamalfiano erano date dalla saldatura dei ceti produttivi, merce’ un disegno riformatore organico e avanzato della societa’.

La sinistra, con l’ultimo Berlinguer, archiviata la politica di solidarieta’ nazionale, cerco’ di muovere il Pci alla ricerca dei movimenti e della Terza via. Pur a rischio di decretarne l’isolamento politico (23).

Infine La terza via e’ stata riaggiornata da Antony Giddens (24), l’ispiratore della politica di Tony Blair, come costruzione di una societa’ che premi l’innovazione e il dinamismo senza escludere gli strati sociali piu’ deboli.

Uguaglianza, sostegno agli svantaggiati, liberta’ come autonomia, nessun diritto senza responsabilita’, nessuna autorita’ senza democrazia, pluralismo cosmopolita: questi i valori – per Giddens – della Terza via.

 

Quarta ed ultima considerazione.

Se la Terza via, come schema triadico, non esiste, esiste la “terza forza” (25).

Da intendere: “quel partito o quei partiti che stanno in mezzo fra i due schieramenti maggiori della sinistra e della destra, dei progressisti e dei conservatori, dei socialisti (in largo senso) e dei moderati.

Da questa stessa definizione discende che la terza forza presuppone un sistema bipartitico, cioe’ un sistema dominato da due grandi partiti in competizione fra loro” (26).

Effettivamente e’ proprio nei sistemi in cui vi sono due grandi schieramenti che si danno esempi classici di partiti di terza forza: pensiamo ai liberali inglesi (27) e a quelli tedeschi.

In Italia, ci troviamo in presenza di un bipolarismo:

guerreggiato, immaturo, a tratti selvaggio, che mette insieme forze troppo disaffini e in sorda concorrenza tra loro (28). Tale bipolarismo male si adatta a un Paese tendenzialmente centrista, abituato a cercare e a trovare equilibri a meta’ strada.

Puo’ sussistere quindi lo spazio per una terza forza. “Un partito cerniera”, moderato e liberale, di centro, capace di “scongelare” i consensi di chi, a destra come a sinistra, soffre l’estremismo istituzionale e l’impotenza modernizzatrice degli attuali schieramenti.

Cittadini quindi che si sentono sempre piu’ “lontani” dall’offerta politica attuale da ricondurre ad  arte creativa piuttosto che a scienza distruttiva.

Sta all’Udc di Casini, eventualmente allargato in un’area che inglobi anche Rutelli, Fini e l’Mpa di Raffaele Lombardo, di raccogliere e tradurre in atti questa sfida (29).

Altra soluzione: una buona legge elettorale che favorisca la ricomposizione degli schieramenti maggiori, su basi piu’ solide ed omogenee. Si’ da dar vita, finalmente, ad una democrazia matura dell’alternanza.

Al momento, per citare Gramsci: “il vecchio sta morendo. Ma il nuovo non e’ ancora nato”.

 

B) Conclusioni (provvisorie).

 

     Sgombrato il campo dalle (possibili) intersezioni, interconnessioni e variabili legate alla diade, rispondiamo ora all’interrogativo di fondo che ci siamo posto. La coppia e’ ancora attuale?

Diciamo preliminarmente che, da tempo, si e’ formata l’opinione (prima colta, poi sciatta) di un superamento della distinzione destra e sinistra.

A cio’ motivati dalla:

- crisi dei vecchi partiti;

- fine del comunismo e della lotta di classe;

- la fine delle ideologie;

- la post-modernita’ (cioe’ la globalizzazione) con il suo carico di nuovi simboli, nuovi significati, nuovi approdi.

     Sullo sfondo: la profonda “crisi della politica”, che perdendo il proprio “spazio”, sembra perdere se stessa. Crisi aggravata da una sua visione “proprietaria”. Caratteristica, questa, negativa, dell’attuale fase storica.

Tutto questo sembra appannare le piu’ recenti conquiste che hanno caratterizzato la modernita’ compiuta: la democrazia rappresentativa, l’universalita’ dei diritti e la sua efficacia, il principio di legalita’ come condizione di legittimazione del potere.

Cio’ nondimeno, noi riteniamo che la distinzione, pur sulla base di parametri diversi di quelli originari (30) conservi una sua validita’.

Premesso che la politica e’ un universo conflittuale, un duello perenne, siamo convinti che il discrimine rimanga quello indicato da Bobbio. Tutto, quindi, continua a ruotare attorno all’uguaglianza.

La destra tende ad essere ineguale e a proporre o attivare politiche che effettivamente rendono i cittadini meno uguali.

La sinistra, invece, ha l’uguaglianza come sua stella polare. Cerca quindi di promuovere politiche che contrastino le disuguaglianze.

A base della perdurante validita’ della asimmetria, il giudizio di valore sulle nostre societa’. Diventate piu’ polarizzate e tornate ad “allungarsi”.

- In termini di poverta’: le distanze tra i “primi” e gli “ultimi” hanno ricominciato a crescere a ritmi elevati;

- in termini di razzismo: il concetto di cittadinanza, oggi esclusivo e privilegiato, e’ reso piu’ angusto e meno praticabile. Una nuova politica della cittadinanza, imperniata su nuovi criteri (residenza e “filtri” che attestino la disponibilita’ e la misura dell’integrazione), puo’ fare molto per facilitare il processo di integrazione e contenere i rischi di pericolose radicalizzazioni;

- in termini di discriminazioni sessuali.

 

IL nostro augurio e’ che, in un futuro prossimo-venturo, la vecchia antitesi destra-sinistra possa essere sostituita o rigenerata dall’antitesi post-ideologica tra culture comunitarie e culture liberal. La nostra democrazia sara’ compiuta quando si potranno delineare i contorni di un polo democratico-partecipativo (sovranita’ popolare; valori tradizionali; libera iniziativa), da una parte, e di un polo liberal (primato degli individui, difesa dei diritti, limitazione dei poteri, emancipazione sociale), dall’altro.

Polarizzazioni non rigide e non definitive, con scambi di frontiere. Dovrebbero fare da collante tra i due poli: la comune strategia di una ricomposizione morale e civile del Paese: Indipendentemente dalle collocazioni, abbiamo bisogno di unita’, di una democrazia piu’ partecipata, di un’etica repubblicana (32). Di riforme condivise, a valenza economico-sociale, che, nell’immediato, possono creare scontento ma, nel lungo periodo, sono l’unica strada per interrompere il declino.

In sostanza, una politica utile per il Paese, non per le tasche di un solo uomo.

Se sappiamo capirne il significato, la crisi puo’ diventare un’occasione di salvezza. Del resto, e’ gia’ accaduto nella storia: bisogna arrivare sull’orlo del precipizio, per far emergere le risorse migliori e le varie alternative.     

 

 

 

Note.

 

1)      A. Talia, L’uguaglianza e il “mito degli eguali”, 22 giugno 2010.

 

2)      Per un bilancio del ruolo della Sinistra nel Novecento, rimandiamo, tra gli altri, a M. L. Salvadori, la Sinistra nella storia italiana, Laterza 1999; G. Arfe’, Storia del socialismo italiano (1892-1926), Einaudi, 1965; E. Garin, La cultura italiana tra ‘800 e ‘900. Studi e ricerche, Bari 1968.

 

3)      Ricordo che, nel 1991, dal Pci si e’ passati al Pds. Il nuovo partito perde la componente piu’ radicale e piu’ nostalgica che, a sua volta, fonda il Partito della Rifondazione comunista. Poi al Pds-Ds, al tempo della nomina di D’Alema alla guida del governo; nel 2003 Prodi patrocina una nuova alleanza riformista, un nuovo Ulivo. Nell’aprile 2007 fine della lunga, travagliata storia del Pci-Pds-Ds; si approda al Pd. Vi confluisce la Margherita. Una nascita, letta a posteriori, dettata da necessita’ meramente tattico-aggregative.

 

4)      Gramsci affermo’ ripetutamente, che era prossima la bancarotta del fascismo, visto come preludio della rivoluzione proletaria; si veda M. L. Salvadori, op. cit. pag.61.

 

5)      Peraltro gia’, nel 1956, si assiste alla rottura tra i due partiti, per la destalinizzazione e l’invasione sovietica dell’Ungheria. Seguono (1968) le drammatiche vicende della Cecoslovacchia.

 

6)      P. Nenni, I problemi lasciati aperti dal XXII Congresso di Mosca, Mondo operaio, 1961.

 

7) M. D’Alema, Un Paese Normale. La sinistra e il futuro dell’Italia, Milano, 1995, pag.54.

Per una storia della Sinistra italiana, nel subperiodo 1944-1991, vedi l’autobiografia politica di G. Napolitano, dal Pci al socialismo europeo, Laterza, 2005.

 

8) W. Veltroni, La bella politica, Rizzoli, 1995, pagg.76-77.

 

9) Rimando a G. Carocci, Destra e sinistra nella storia d’Italia, Laterza, 2002; S. Colarizi, Storia dei partiti nell’Italia repubblicana, Laterza, 1997.

 

10) Sul trasformismo, vedi G. Sabbatucci, Il trasformismo come sistema, Laterza, 2003. “Il trasformismo non e’ un vizio nazionale. E’ un sistema di governo che serve a emarginare le ali estreme, ma blocca ogni possibilita’ di alternanza. E’ il sistema su cui e’ fondata la politica italiana per oltre un secolo. Lo abbiamo superato davvero?”

 

11) M. Revelli, Sinistra e destra, L’identita’ smarrita, Laterza, 2007.

 

12) Notizie storiche desunte da G. Carocci, Destra e sinistra, op. cit.

 

13) D. Cofrancesco, Parole della politica, Universita’ di Pisa, 1993.

 

14) E. Galeotti, L’opposizione destra e sinistra in Aa Vv, La destra radicale, Feltrinelli, 1984.

 

15) N. Bobbio, Destra e sinistra, Donzelli, 1994. Se si attraversa analiticamente la produzione scientifica e intellettuale di Bobbio si puo’ verificare che sono infinite le dicotomie. Non solo Destra e sinistra, ma anche Etica e Politica, Democrazia e Dittatura, Pace e Guerra, Eguaglianza e Liberta’, Politica e cultura, per limitarsi solo ai titoli di alcuni tra i suoi celebri scritti.

 

16) M. Veneziani, Sinistra e destra, Vallecchi, 1995.

 

17) G. Sartori, Democrazia, Rizzoli, 1993.

 

18) M. Revelli, Sinistra…  op. cit.

 

19) Vedi P. Ostellino, Corriere della Sera, 12 luglio 2010.

 

20) Vedi C. Rosselli, Socialismo liberale, pubblicato in edizione francese nel 1930 e noto in Italia solo dal 1945. Togliatti liquido’ nel 1931 il saggio come “quattro idee superficiali”, definendo Rosselli come “un piccolo borghese presuntuoso… legato oggettivamente e personalmente a sfere dirigenti capitalistiche”. (Rimando a U. Ranieri, La sinistra e i suoi dilemmi, Marsilio, 2005).

 

21) Sulle vicende del “Mondo” e sulla figura di Pannunzio, vedi M. Serri, I profeti disarmati, Corbaccio, 2008 E. Scalfari, La sera andavamo in via Veneto, saggio riproposto da Enaudi nel 2009.

 

22) I laici, nell’Italia degli anni Cinquanta, assunsero la parte di guardiani della tradizione e svolsero un ruolo centrale nel processo di fondazione della Repubblica. Proprio perche’ rigoroso nello sguardo sul passato e riflessivo nell’approccio al futuro, la tribu’ laica fu intellettualmente molto variegata e divisa, non riuscendo peraltro mai a comporsi in una “terza forza”; si veda M. Teodori, Storia dei laici, Marsilio, 2008.

 

23) L. Magri, Il sarto di Ulm, il Saggiatore, 2010.

 

24) A. Giddens, La terza via, il Saggiatore, 1998. Ricordo che, in Europa, la Svezia con Olof Palme (morto tragicamente), era stata la prima nazione a praticare la “terza via”.

 

25) Per un dibattito, peraltro “datato”, vedi G. Spadolini, Fra terza via e terza forza, Edizioni della Voce, 1981.

 

26) La definizione – sorprendentemente attuale – e’ di N. Bobbio, Nuova Antologia, Fasc.2129, 1979.

 

27) Attualmente, come noto, in Gran Bretagna esiste una sorta di terzo polo: Clegg (liberaldemocratico)-Cameron (conservatore).

 

28) A destra: e’ fallita la fusione fredda Forza Italia-Alleanza Nazionale. A sinistra: ex Dc ed ex Pci hanno formato delle galassie intorno all’esile centro di gravita’ del Pd.

 

29) I potenziali elettori di questa nuova aggregazione rappresenterebbero – secondo il sondaggista Mannheimer – il 22% dei votanti. Una proposta per molti versi futuribile. Ma che, se trovasse una sua realizzazione, sconvolgerebbe il quadro politico attuale. Infine, per cio’ che riguarda la valenza politica del centro, Galli della Loggia (Corriere della Sera, 5 agosto 2010), ritiene che “il Centro possa avere una sua autonoma identita’ solo se si contrappone alla sinistra. O altrimenti e’ destinato a divenire il semplice luogo “tecnico” dell’amalgama trasformistico”.

 

30) Penso, ad esempio, alla categoria del riformismo, un tempo appannaggio (quasi) della sinistra ed oggi collocatesi tra gli innovatori e i conservatori. Aggiungo che il riformismo, quale concetto “trasversale”, non e’ quindi un’ideologia, un’esercitazione accademica. E’ coerenza tra impegni e risorse, tra pragmatismo e fantasia. E’ politica del cambiamento, nell’ambito di una ricomposizione fra valori e interessi.

 

31) E’ di questo avviso, tra gli altri, C. Galli, Perche’ ancora destra e sinistra, Laterza, 2010. “Destra e sinistra non significheranno piu’ nulla, solo nel momento in cui la politica si organizzera’ intorno ad altri assi categoriali. Cio’, al momento, non e’ dato prevedere”.

 

32) Dobbiamo recuperare le nostre radici storiche. All’homo novus berlusconiano non sembrano piu’ interessare ne’ Risorgimento ne’ Resistenza, ossia le pagine fondative della storia italiana. Esse non fanno piu’ parte del suo patrimonio genetico-identitario. Apprezzabile eccezione, a fronte di questa deriva, ci sembra la posizione di Fini. In questi anni, Fini ha innovato piu’ di tanti altri, sulla laicita’ e sull’immigrazione, sul concetto di Patria come valore unificante. E’ passato dal presidenzialismo alla difesa del Parlamento, in sintonia con il Capo dello Stato.

        

Lucca, 11 agosto 2010

 

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