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L’Uguaglianza e il “Mito degli uguali”

 

(Tra principio etico, norma giuridica e considerazioni liberali)

 

Andrea Talia

 

 

 

Il valore dell’uguaglianza (il principio etico)

 

L’uguaglianza è uno dei motori della storia. Fa parte del grande progetto illuministico. Eppure è uno dei concetti più controversi e contestati. Meno afferrabili.

Combina, infatti, la massima indeterminatezza con la massima potenza politica. Nessuno ha mai saputo definire con precisione a chi e a che cosa si riferisca (1).

È in nome dell’uguaglianza che si è combattuta, dagli albori dell’umanità, l’eterna guerra sociale. In pratica, le lotte sociali sono state combattute, sì, in nome dell’uguaglianza, ma contro concrete disuguaglianze: lo schiavismo, il razzismo, il capitalismo, il maschilismo.

Dall’uguaglianza dei Greci a quella della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti e della Rivoluzione Francese è un accidentato itinerario ad una dimensione. L’uguaglianza è riservata ai civites e non ai barbari, ai vincitori e non ai vinti, ai predatori, e non ai depredati (2).

Le cause di disuguaglianza sociale, in una seconda fase, sono rappresentate dal monopolio feudale, dalla ricchezza e dal sesso.

Sul primo versante, i privilegi caddero rapidamente. Lo status fu sostituito dalla regolamentazione e dal contratto. Un esempio fra i tanti? Una volta stabilito un buon sistema di distribuzione delle derrate, caddero le plurisecolari vessazioni padronali sulla farina e sul pane.

Per la seconda, e per il terzo, le barriere resistettero più a lungo. Il censo restò discriminante, fra l’altro, per i diritti politici; le donne continuarono ad essere escluse dalle grandi Dichiarazioni del tempo.

Anche l’etnia e la religione restarono fattori distintivi.

 

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Nelle società avanzate dell’occidente non esistono più, in pratica, limiti o soglie ad una distribuzione della ricchezza.

Cristianesimo sociale, liberalismo e socialismo hanno gradatamente eliminato le barriere legali e giuridiche di razza, di casta, di censo.

L’uguaglianza dei diritti civili e sociali fra cittadini, diventa un risvolto ineliminabile di ogni democrazia, quale valore istituzionalizzati. (3)

L’esercizio del potere democratico si fonda sull’elementare garanzia dell’applicabilità delle leggi, decise dalla maggioranza, ai componenti di questa.

L’uguaglianza fra gli uomini rinviene il suo presupposto nel comune universo etico, nella comune capacità razionale e anche (in certo qual modo) nel comune mondo di passioni e di affetti, propria degli esseri umani.

Al fondo dell’idea di giustizia, c’è quell’uguaglianza di rispetto umano, espressa nel concetto kantiano di pari dignità (4)

La giustizia, come categoria normativa, comporta, infatti, non tanto un giudizio quantitativo, ma un giudizio qualitativo. Di proporzione, di equità, di valore. Ha quindi valenza soggettiva.

Una situazione giusta non è tanto “una condizione che soddisfa un parametro quantitativo, ma che realizza un equilibrio psicologico e sociale” (5).

Inoltre, l’uguaglianza, si collega strettamente alla libertà (6). I vinti e i depredati hanno diritto alla stessa uguaglianza che, per secoli, avevano avuto (come già detto) i vincitori e i predatori: l’uguaglianza di essere umani liberi. Perciò eguali nel godimento delle loro libertà.

L’uguaglianza si alimenta, quindi, di un sogno: “mai più inchini e prostrazioni, mai più adulazioni e servilismi, mai più tremare per la paura, mai più altezza ed eccellenza, mai più servi, né padroni” (7).

 

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L’uguaglianza nel diritto positivo: chiavi interpretative

 

L’uguaglianza è proclamata solennemente tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 3).

Tutti i cittadini “hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Sotto il profilo soggettivo, essa si risolve nella tendenziale universalità del precetto legislativo (8). Segna il discrimine tra il sistema feudale-assolutistico e il sistema liberale-borghese.

Per il fattore oggettivo, lo stesso può concernere beni della vita assolutamente generali. Oppure, può correlarsi, a quelli di volta in volta considerati dalla legge in termini di fruizione.

L’uguaglianza giuridica, pur così solennemente enunciata a livello programmatico, può rivelarsi, nella pratica, una mistificazione. Ciò accade quando sussistono disuguaglianze di fatto (di ordine economico e sociale) che impediscano il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, sociale ed economica del paese.

È quindi necessario rimuovere gli “ostacoli” che la persona incontra sin dalla nascita e nel corso della vita. A ciò ha provveduto il secondo comma del citato art. 3.

In questa guisa, si passa dall’uguaglianza formale, di stampo liberale e democratico, a quella di carattere sostanziale.

Le due forme di uguaglianza possono integrarsi o contrapporsi a seconda delle diverse interpretazioni.

Secondo l’interpretazione marxista, che conduce all’organizzazione collettivistica – totalitaria della società, l’uguaglianza formale sancisce il primato della classe borghese. Non consente quindi il passaggio all’uguaglianza reale, che postula invece una società senza classi.

Nell’interpretazione liberaldemocratica l’uguaglianza dei diritti – legato al principio di libertà – resta un cardine dello Stato di diritto.

Anche quando – sotto la spinta delle istanze solidaristiche – esso si trasforma in Stato sociale.

I diritti sociali (lo abbiamo messo in luce in un altro articolo) si aggiungono ai diritti politici e civili dei cittadini. In conclusione, anche i diritti sociali, sono diritti di libertà.

Ciò perché “costituiscono la premessa indispensabile per assicurare a tutti i cittadini il godimento effettivo delle libertà politiche” (Calamandrei, 1946).

 

 

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L’egualitarismo e la Costituzione (accenni).

 

Esiste un criterio in grado di classificare qualsiasi regola di distribuzione come egualitaria o non egualitaria, prescindendo da ogni considerazione valutativa o normativa?

Rispondiamo all’interrogativo fornendo qualche nozione sulle regole di distribuzione avanzate nel tempo (9):

 

A.    Parti uguali a tutti

Secondo la concezione estrema, un sistema morale o giudico è egualitario se tutti i benefici o oneri devono essere distribuiti in parte uguale a tutti.

Questa filosofia evoca sia il principio aristotelico dell’uguaglianza numerica sia quello utilitaristico enunciato da Mill. “Tutti contano per uno, nessuno conta più di uno”.

 

B.     Parti uguali agli uguali.

Vale a dire parti uguali di qualche tipo specificato, a tutti coloro che sono uguali rispetto a qualche caratteristica specifica.

 

C.    Parti uguali ad un gruppo relativamente grande.

Una distribuzione di benefici è tanto più ugualitaria, tanto maggiore è la classe di persone che la ricevono, rapportata al numero di quelli esclusi.

 

D.    Uguaglianza proporzionale.

Parametrata ai bisogni (ideale di Marx) o ai meriti (Platone, Politica).

L’uguaglianza, in ragione dei bisogni, mira a combattere la disuguaglianza dei beni e a creare un’umanità omogenea.

L’uguaglianza meritocratica rifiuta il privilegio, ma tollera e ingenera nuove disuguaglianze e distinzioni.

In particolare quelle fondate sulla congrua “retribuzione” dei meriti e sulla necessità che le attitudini particolari degli individui possano svilupparsi pienamente.

Ciò premesso, va detto che, nella Costituzione italiana, sono riconoscibili e coesistono le varie interpretazioni dell’uguaglianza. Filoni che storicamente hanno ispirato le forze politiche e le correnti culturali presenti nell’Assemblea Costituente.

Valgano per tutti il terzo comma dell’art. 34, per cui “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i più alti gradi degli studi”; il primo comma dell’art. 36, per cui il lavoratore “ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro”; l’art. 38, primo comma “ogni cittadini inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”; e secondo comma che assicura “mezzi adeguati alle esigenze di vita per i lavoratori in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

Nei due commi, vengono enunciate dal legislatore due linee divisorie.

La prima come cardine dell’assistenza. Intesa come sistema di solidarietà generale, inglobante i bisogni minimali vitali dei cittadini che si trovano in condizioni particolari.

La seconda, come forma di previdenza. Intesa come uno status di mutualità obbligatoria di gruppo contro i rischi generici e specifici del lavoratore.

Spetta poi al legislatore realizzare eventualmente un sistema di sicurezza sociale abbracciante i due diritti in un’unica posizione soggettiva. Al momento, peraltro, gli status sono differenziati, in termini di mutualità, di servizi, e di contribuzione.

 

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Disuguaglianze e privilegi.

 

 

Fin qui si è delineato il fondamento politico-costituzionale del principio di uguaglianza. Ne abbiamo altresì esaminato il valore fondante, sotto l’aspetto etico e normativo, e richiamati i valori unificanti.

Peraltro, pur apparendo oggi certe gravi asimmetrie di potere molto meno tollerate, la società aperta (dove tutti gli individui sono liberi e uguali) appare come un mito. La società aperta o libera – così come pensata dal filosofo Karl Popper - è un ideale regolativo, non realizzabile in maniera assoluta.

Nella realtà le società sono più o meno vicine a questo ideale; ma lo stesso è attuato in modo parziale, incompleto, frammentato. Il “legno storto dell’umanità” può raddrizzarsi fino ad una certa curvatura.

Oltre quei limiti, si colloca il vasto campo dell’azione della struttura economica, politica e sociale. Questa rete tende a costruire il suo dominio sulla disuguaglianza e il privilegio. Sull’invidia, la demagogia, la ricchezza.

In particolare, quest’ultima, da utile strumento è diventato un fine che scandisce lo stile, i ritmi, le modalità e gli scopi della nostra vita. La ricchezza aumenta, la popolazione impoverisce. Crescono le disuguaglianze. I ricchi diventano sempre più ricchi; i poveri sempre più poveri.

“Si passa dalla ricchezza basata sul potere al potere fondato sulla ricchezza” (Sombart).

In termini generali, si proclama il principio di uguaglianza. Non si escludono, peraltro, le disuguaglianze, con un divorzio, sempre più netto, fra ricchezza e povertà. Tra partecipazione e marginalità, tra nicchie e stratificazioni sociali tendenti al basso, tra pluralismo e bassa qualità dell’informazione, tra soggetti deboli e istituzioni di welfare inadeguate.

La “promessa di uguaglianza” si scontra con le disuguaglianze delle opportunità economiche e sociali, essenza del capitalismo. All”ordine dell’equità”, implicito nella democrazia, si contrappone “l’ordine dell’egoismo” indotto dal mercato.

Oltre la stretta legalità, lo spazio si amplia senza limiti. Ciò per le incontrollabili situazioni di potere e di status che svuotano le promesse del “diritto eguale”. Si va dall’abuso delle tecniche garantistiche alla pura e semplice disapplicazione della legge e alla diffusa impunità.

Ciò premesso

-               considerato che le disuguaglianze più rozze e più stridenti sono state eliminate;

-               atteso che la società si dispone, in punto di distribuzione del reddito, non come una scala formata da pochi gradoni ripidi, ma come un pendio lungo e continuo

è diventato più importante disporre di concetti più raffinati per misurare l’ineguaglianza. Al contempo di criteri più precisi per definire l’uguaglianza.

Qui si apre l’antico discorso sull’uguaglianza: quanta uguaglianza è giusto assicurare? Quanta ineguaglianza è opportuno tollerare?

Propendiamo per un’”equa disuguaglianza” o per una “giusta disuguaglianza”. Una formula riassuntiva, necessaria ed eticamente possibile, in risposta agli interrogativi e ai dilemmi di una società complessa, pluralista, globalizzata.

L’ossimoro salva ed esalta le diverse identità; impedisce le omologazioni livellatrici, riconosce le competenze, premia i talenti secondo il principio “a ciascuno secondo le sue capacità”.

Al contrario, “l’uguaglianza degli ugualitari”, è il tratto caratteristico della città ideale, della “civitas dei”, non realizzabile, in concreto.

Il futuro di una “democrazia compiuta” sembra quindi collocarsi nell’orizzonte sociale e ideologico, dove le possibili soluzioni politiche mirano a dare una risposta duttile a talune istanze fondamentali. Identificabili nell’interesse e successo individuale e nella solidarietà sociale. Riconducibili ai diritti di libertà e a quelli di giustizia.

Prima di esaminare, in senso molto generale, le coordinate per un progetto di equa disuguaglianza, vediamo come la categoria dell’uguaglianza è stata declinata, politicamente, sul versante della sinistra e della destra.

 

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La sinistra e l’uguaglianza.

 

Nel 1994, Norberto Bobbio pubblica un piccolo libro che ha un enorme successo (10).

Pur non essendo l’opera migliore del grande studioso, il pamphlet, contiene un forte messaggio di rassicurazione per una sinistra europea orfana delle ideologie, tratto caratteristico del suo passato.

Un messaggio particolarmente apprezzato in Italia, dove il partito che incarnava gli ideali del socialismo liberale e democratico stava per essere spazzato via. Al contempo, quello più grande e meglio organizzato, era costretto ad una radicale e confusa revisione.

Nel saggio, Bobbio ritiene che il discrimine tra le due sponde resti il diverso atteggiamento che i due schieramenti mostrano in ordine all’idea di uguaglianza.

Naturalmente, l’uguaglianza e disuguaglianza sono concetti relativi: né la sinistra pensa che gli uomini siano tutti uguali, né la destra pensa che essi siano in tutto diseguali.

Ma, per Bobbio, coloro che si proclamano di sinistra danno maggiore importanza, nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a ciò che rende gli uomini uguali. O ai modi di attenuare / ridurre i fattori della disuguaglianza.

Al contrario, coloro che si professano di destra, sono convinti che le disuguaglianze siano un dato ineliminabile. Come tali, non sopprimibili.

Molta acqua è passata sotto i ponti dell’evoluzione della democrazia. La dicotomia destra / sinistra, con l’andare del tempo, si è scolorita a mera finzione. A fronte della complessità e novità dei problemi che i movimenti politici si trovano ad affrontare.

Altri, quindi, la polarizzano su diversi e più aggiornati parametri prepolitici.

Esamineremo meglio, nel prossimo articolo, questo diseguale universo di valori, racchiudenti pur sempre, orientamenti e sensibilità di tipo esistenziale e sociale. Di notevole spessore e di diversa angolazione.

Per ora, ci limitiamo a dire che la sinistra è intrinsecamente universalistica, inclusiva, emancipatoria, solidaristica. Persegue, almeno tendenzialmente, una società dove alligni l’eguale dignità di chi vi abita, con una particolare attenzione ai ceti meno fortunati.

Essa, in definitiva e riassuntivamente, guarda “verso il basso”.

 

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La destra e il merito.

 

La destra, invece, presta maggiore attenzione alla produzione della ricchezza, al mercato, al merito. Tende a convivere con la realtà, ad accettare le leggi dell’economia. Teme il diverso e l’immigrazione. Propugna il garantismo, la leadership forte, la democrazia efficace.

Essa guarda, riassuntivamente, “verso l’alto”.

Per la destra, l’uguaglianza delle opportunità di stampo liberale va declinata come uguaglianza delle condizioni di accesso. In specie come uguaglianza delle effettive capacità, di avere, di essere, di sapere.

Trattare egualmente, coincide sempre meno con il trattare come uguali.

L’idea, per la destra, è che, una volta definiti i minima moralia della cittadinanza, il riconoscimento e la definizione dei nuovi diritti rispondenti alle differenze, siano l’esito delle iniziative di ciascuno.

In questa logica, la disuguaglianza fondamentale, che – nella visione realistica della democrazia – divide le elite dirigenti dalla maggioranza dei cittadini, appare tollerabile. Purché la democrazia funzioni come “meritocrazia elettiva”.

Approfondiamo questo concetto. Esso, prima ancora di essere sancito nel citato articolo 34 Cost., si rifà all’uguaglianza delle possibilità. Adombrato originariamente, nell’art. 6 della “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 1784.

 

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Il merito, il capitale umano, la “missione” della scuola.

 

Per merito si intende, in termini generali, il potere dell’intelligenza, sostitutivo di quello dovuto alla nascita o alla ricchezza.

Si postula, in tal modo, il progressivo esaurirsi del principio della ascription (secondo il quale le posizioni sociali sono attribuite per privilegio di nascita), a vantaggio del principio dell’achievement (per cui tali posizioni sociali sono acquisite grazie alle capacità personali). Questo teorema, ineccepibile sul piano formale, risulta peraltro di difficile applicazione.

L’uguaglianza delle opportunità viene considerata da alcuni sociologi null’altro che un’ideologia, atta a giustificare il permanere delle disuguaglianze. Rendendole accettabili a tutti.

Infatti, secondo tali autori, il sistema educativo, cui spetta di sancire le capacità di ciascuno, funzionerebbe in realtà come meccanismo di riproduzione della stratificazione esistente. Ciò a causa degli ineliminabili condizionamenti sociali per la riuscita scolastica.

In altre parole, la selezione scolastica meritocratica sarebbe impossibile da realizzare. La funzione del sistema di insegnamento starebbe proprio nel far apparire naturali capacità diversificate che, invece, deriverebbero dalla differenziazione sociale preesistente.(11)

Questa tesi ci appare estremistica e riduttiva.

L’ideale dell’uguaglianza rimane valido. Va ottenuto tramite un’istituzione capace di dare a tutti una buona formazione di base, spostando molto in avanti ogni differenziazione funzionale agli studi.

Puntando, al contempo, a recuperare gli handicap di coloro che partono svantaggiati. La scuola deve quindi attivarsi per rendere il più possibile uguale il punto di partenza, dando a tutti le stesse chances. Il cammino concreto della vita, con le sue trappole e suoi condizionamenti, farà il resto.

In questa logica, valorizzare adeguatamente il merito, è una delle chiavi per accelerare la transizione dell’Italia verso la frontiera dei paesi a più elevato capitale umano (12).

Il gap è accentuato dall’incapacità della scuola italiana di discriminare e selezionare i migliori. Le valutazioni e i voti sembrano aver perso il valore di indicatori di qualità. Essi non sono basati su test standardizzati e uniformi su tutto il territorio nazionale. Sono piuttosto affidati agli stessi insegnanti che hanno impartito l’istruzione. Gli insegnanti stessi tendono a definire gli standard in termini relativi alla qualità della classe esaminata, piuttosto che in maniera assoluta.

L’università, oggi, è un luogo dove, in nome della “pace sociale”, per decenni è stato permesso a tutti di guadagnare qualcosa: lauree facili contro pieni e incontrollati poteri del corpo docente.

La realtà non è più eludibile. Abbiamo ora una riforma Gelmini, buona, anche se migliorabile; ricordiamo, per il tema che ci interessa, che la riforma prevede un sistema di finanziamenti, per gli studenti meritevoli, da restituire dopo la laurea.

Abbandoniamo quindi le contrapposizioni ideologiche. Convinciamoci, come diceva Deng Xiaoping, che si tratta di prendere il topo. Il colore del gatto è indifferente.

Resta, in conclusione, evidente che il merito, ancora prima di essere adeguatamente ricompensato, va sostenuto, apprezzato e appropriatamente valutato. Anzitutto nella scuola. Seguiranno poi i percorsi professionali nel mercato del lavoro, luogo deputato al suo utilizzo.

 

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L’equa disuguaglianza. Come declinarla?

 

L’equa disuguaglianza – concetto in precedenza adombrato – ad avviso di chi scrive, deve attuarsi seguendo alcuni criteri:

- Parità dei diritti civili. Libertà fondamentali e diritti civili devono essere assicurati indistintamente a tutti i cittadini.

Nelle nostre società privilegiate, sussistono ancora discriminazioni giuridiche incompatibili con i principi democratici sui quali essere si fondano.

Le più gravi si manifestano a danno delle donne, delle minoranze emarginate, degli immigrati. Dice bene il sociologo Touraine: “invece di contrapporre uguaglianza e diversità, va dunque assolutamente riconosciuta la necessità di coniugarle affinché si sviluppi la democrazia” (13).

 

- Garanzia sociale fondamentale, imparzialmente assicurata a tutti i cittadini, come corrispettivo di un tenore di vita rispondente alla tutela della loro dignità.

Passando da un welfare a piè di lista (14), ad un welfare su misura dei cittadini obiettivamente svantaggiati. A nuovi “profili di rischio”, non corrispondono nel nostro Paese, politiche sociali adeguate. Penso alla precarietà del lavoro, alla difficoltà di accudimento dei bambini e di cura degli anziani, ai problemi abitativi, alla solitudine e al degrado.

Naturalmente tutto dipende dalla capacità politica di determinare un vincolo di bilancio, che consenta di contenere le prestazioni fondamentali di base e gli assegni sociali entro certi limiti;

 

- Fascia massima di tollerabilità delle disuguaglianze economiche.

È lecito affermare, intuitivamente, che il senso della giustizia e dell’equità non è soddisfatto soltanto da un’adeguata protezione dei più deboli, ma richiede anche che non sia violata una ragionevole proporzione tra la ricchezza e la povertà. Oltre certi limiti, il consumo “opulento” costituisce un’offesa per la comunità.

C’è un effetto dimostrativo e perverso dello sperpero, che genera comportamenti asociali, di emulazione aggressiva e di frustrazione.

Un’equa disuguaglianza sta, in definitiva, nel compensare i meriti e soddisfare i bisogni in termini economici. Occorre, allo scopo, recuperare una dimensione etica della vita, come corretto rapporto tra individuo e società.

Solo con lo sviluppo dell’individuo, la costruzione di una persona umana più colta, più autonoma, più socievole, più responsabile, è possibile ammettere, tollerare e perfino incentivare la disuguaglianza dei meriti. Accanto all’uguaglianza di base.

 

 


Note

 

(1)         N.Bobbio, Eguaglianza, in Enciclopedia del Novecento, Utet, Torino.

 

(2)         G.Amato, Il valore dell’uguaglianza, Il Mulino, 2/2006.

 

(3)         Per ulteriori considerazioni sul tema, ci permettiamo rinviare al nostro articolo: “Democrazia, regole, consenso”, già visualizzato sul sito

 

(4)         Il nesso tra uguaglianza e giustizia viene espresso efficacemente con la formula aristotelica: “ingiustizia è ineguaglianza, giustizia è uguaglianza” (Etica nicomachea).

 

(5)         G.Ruffolo, La qualità sociale, Laterza, 1985. Tocqueville concepisce l’uguaglianza come una norma; Marx, al contrario, come uno stato sociale reale.

 

(6)         “I due valori della libertà e dell’uguaglianza, si richiamano l’uno con l’altro nel pensiero politico e nella storia. Sono radicati entrambi nella considerazione dell’uomo come persona. La libertà è uno stato; l’uguaglianza un rapporto”. Così N.Bobbio, Eguaglianza e libertà, Einaudi, 1992.

 

(7)         Così M.Walzer, Sfere di giustizia, Milano, 1987.

 

(8)         La Corte Costituzionale, con una serie di sentenze, ha riferito l’uguaglianza, in certo modo, anche agli stranieri; rimando a A.Cerri, Il diritto, Enciclopedia Giuridica, Ad vocem.

 

(9)         Abbiamo utilizzato F.Oppenheim, Dizionario di politica, Ad vocem.

 

(10)     N.Bobbio, Destra e sinistra. Ragione e significati di una distinzione politica, Donzelli Editore, 1994.

 

(11)     Antesignano di questo filone, M.Young, L’avvento della meritocrazia, Comunità, Milano, 1962.

 

(12)     Nei confronti con gli altri paesi dell’Ocse, l’Italia si caratterizza per bassi livelli di capitale umano, sia nello stock, sia negli investimenti. Vuoi a livello di scuola secondaria superiore (20 punti percentuali in meno), che a livelli di università (13 punti in meno) cfr. P.Cipollone, I.Visco, Il merito nella società della conoscenza, Il Mulino, 1/2007.

 

(13)     A.Touraine, Libertà, uguaglianza, diversità, Il Saggiatore, 1997.

 

(14)     “Lo Stato non può più guidare il cittadino dalla culla alla bara, forse sarebbe lo stesso cittadino a rifiutare questa guida ingombrante. Deve invece insegnare al cittadino ad attraversare la strada, ponendolo nelle condizioni migliori per farlo. Poi lo lascerà andare, affidandolo alla sua preparazione e al suo senso di responsabilità. Chi cade nell’attraversare quella strada e non ha i mezzi per rialzarsi da solo, deve essere aiutato. Anche se cade per sua colpa, ha diritto ad un aiuto, perché è un uomo e ha in sé quell’umanità che lo rende uguale a noi e quindi legittimato a ricevere aiuto da noi, se ne ha bisogno”. Cfr. L.Violante, Le due libertà, Laterza, 1999.

 

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