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Riforme si'. Ma quali?

di Paolo Razzuoli

Il tema delle riforme - peraltro mai fatte - e' da troppo tempo nell'agenda dei vari governi che si sono succeduti in Italia. Da troppo tempo, poiche' all'enfasi con cui si sottolinea l'importanza del processo riformatore, nessuno ha saputo mettere in campo un vero e proprio disegno complessivo, capace di affrontare in una visione organica le questioni sul tappeto, quindi di saper posizionare al posto giusto le tessere di un mosaico di un'azione riformatrice capace di creare le condizioni di rilancio del Paese.

Molto si e' balbettato ma poche sono le parole chiare pronunciate.

Sono convinto che di riforme il Paese abbia bisogno.
Sicuramente c'e' urgenza della riforma della legge elettorale che ridia all'Italia un Parlamento di eletti e non di nominati e/o beneficiati.
C'e' sicuramente bisogno di una riforma costituzionale che renda l'architettura istituzionale del Paese piu' moderna e meglio adeguata alle nuove sfide imposte alla classe di governo da uno scenario sempre piu' complesso e globalizzato.

Riforme sicuramente importanti. Siamo pero' sicuri che costituiscano le priorita' del Paese?

A parte la legge elettorale che va cambiata con la massima urgenza e convinzione, mi permetto di dire che la crisi economica e l'assetto della societa' italiana richiedono che si cominci da un'altra parte.

Da quali riforme partire?

In primo luogo, sono convinto che occorra pensare alle nuove generazioni, mettendo in campo riforme capaci di fornire loro strumenti che diano prospettive nel mondo del lavoro. Non penso ovviamente ad alcun ripiegamento sul passato. Dobbiamo accettare la flessibilità nei contratti di lavoro, ma non possiamo non domandarci con quali riequilibri. Dobbiamo dare ai giovani la certezza nel futuro attraverso un percorso che esalti le loro qualità e li renda protagonisti nella propria professione rivoluzionando le garanzie sociali e contemplando il valore della meritocrazia.

Sicuramente occorre metter mano ad una modifica dei vecchi ammortizzatori sociali. Non più cassa integrazione ma sussidio di disoccupazione che consenta ai giovani di non provare panico di fronte ai mutui da pagare. La cassa integrazione, a parte questa congiuntura economica, che è servita a dare tranquillità al mondo dell’impresa e a non esacerbare i conflitti sociali, in passato è stata solo uno strumento per la grande industria per fare una flessibilità di fatto aggirando la normativa vigente.

Occorre rivedere profondamente la formazione professionale perché a chi perde il posto di lavoro deve essere garantito il reinserimento attraverso la formazione che deve seguire la domanda del mercato e non essere solo al servizio di quelle società di formazione professionale, espressioni di associazioni di categoria e sindacati che, talvolta purtroppo, perseguono i propri fini non quelli degli utenti finali e che oggi monopolizzano le risorse pubbliche di questo settore.

Un lavoratore ben formato è una garanzia per un'industria di qualità e soprattutto per il suo stesso futuro. Mai più in Italia vogliamo vedere cinquantenni incapaci di usare i nuovi strumenti di lavoro e che, una volta espulsi, diventano dei pesi sociali con conseguenze devastanti sul piano anche delle storie personali di ognuno. E, rispetto a un’Italia che ha i salari più bassi d’Europa, dobbiamo prenderci un impegno preciso.  Nessun problema, infatti, di fronte ai contratti di lavoro a tempo determinato, ma a chi li sottoscrive deve essere garantito un minor carico fiscale tutto a favore del lavoratore che è quello che rischia e diventa di fatto imprenditore di se stesso. In questo modo questa tipologia di lavoratori che riguarderà la maggior parte dei nostri giovani nel prossimo futuro, se non adirittura nel presente, verranno garantiti salari più alti e potranno cogliere anche un’opportunità economica di fronte ad una realtà italiana, quella dei salari che è certamente bloccata verso il basso. Una scelta che crea mobilità sociale e nuove opportunità e che toglie i giovani da una condizione oggettivamente di frustrazione perché sarebbe la prima generazione del dopoguerra che non solo non progredisce rispetto ai padri ma, addirittura, arretra.

Il patto generazionale per le pensioni deve essere al centro delle riforme che speriamo ci accingiamo a discutere. L’egoismo degli anziani dei padri verso i figli non può essere garantito da una normativa oggi totalmente squilibrata a favore delle vecchie generazioni. Nessuna guerra generazionale, ma neanche la salvaguardia di privilegi che oggi non tengono più sul piano della contabilità pubblica e che sono un’ulteriore oggetto di frustrazione per i giovani.

Nell'ambito del processo riformatore, un'attenzione particolare dovra' essere dedicata alla Pubblica Amministrazione, importante motore dello sviluppo. Un'attenzione che non puo' ridursi alla se pur benemerita lotta ai cosiddetti fannulloni. Occorre ripensare il rapporto fra Pubblica Amministrazione e cittadino, valorizzando il ruolo propulsivo della P.A e, nel contempo, ridimensionare drasticamente quel senso di inutile, anzi dannosa, pervasivita' che la burocrazia italiana ha verso i singoli cittadini e verso il mondo dell'impresa. E' certamente il tema della semplificazione, ma e' piu' in profondita' il tema di una trasformazione culturale degli apparati pubblici italiani che dovranno sempre piu' sapersi rapportare con "cittadini" e sempre meno con "sudditi".
Spesso la P. A. italiana risulta arrogante ed autoritaria. Panni che dovra' dismettere, per indossare quelli dell'autorevolezza, dell'oggettivita' e dell'efficienza.
In questi ultimi anni qualcosa si sta facendo, e molte indicazioni del ministro Brunetta vanno nella direzione giusta anche se non posso sottrarmi dal dire che a volte si ha la sensazione sgradevole di una generalizzata durezza verso i pubblici dipendenti che non fa giustizia dei moltissimi che con senso di responsabilita', piena consapevolezza del proprio dovere e abnegazione, quotidianamente si fanno carico di mandare avanti un apparato pubblico complesso e, sempre piu' di sovente, privo delle risorse necessarie.

Il processo riformatore dovra' in sintesi porsi quale obiettivo primario quello di garantire reali condizioni di sviluppo, guardando prioritariamente ai giovani che sono la risorsa piu' preziosa di una nazione.

Mi pare che debba sostanzialmente garantire quattro condizioni essenziali:

MI pare che siano queste le direttrici verso cui guardare. Non esistono infatti riforme utili al di fuori di un chiaro scenario a cui tendere: uno scenario che dovra' guardare in profondita' il Paese, ed individuare i rimedi ritenuti necessari, anche se dolorosi ed impopolari, dimostrando di essere lungimiranti e non dipendenti dai sondaggi.

Termino queste mie riflessioni con Seneca:
"Non c'e' vento favorevole per chi non sa a quale porto andare".
Lo sanno i nostri governanti a quale porto vogliono andare?
Avranno la capacita' di progettare riforme pensando alle prossime generazioni e non alle prossime elezioni?

Lucca, 14 maggio 2010

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