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La ricetta della buona politica? Mettere al centro le persone

di Federica Colonna

"Noi non amiamo le qualità, ma le persone"
Jacques Maritain (1882 – 1973), filosofo francese.

Definizione:
sostantivo femminile

1. Individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale e simili, considerato sia come elemento a sé stante, sia come facente parte di un gruppo o di una collettività.

2. Con il significato etimologico, maschera teatrale, e quindi anche la parte che un attore rappresenta sulla scena.

3. Nel linguaggio filosofico, l’individuo umano in quanto è ed esiste, ossia intende e vuole, esperimenta e crea, desidera e ama, gioisce e soffreFantasmi. Involucri senz’anima che s’aggirano come ombre nelle città. Corpi smagriti che popolano palazzi vuoti, in cui il tonfo di un oggetto provoca un’eco insopportabile. La solitudine estrema.

Il cinema, da Blade Runner, fino a Io sono leggenda, passando per pellicole destinate a essere meteore nell’affollata programmazione natalizia, ha dedicato un’ampia produzione ad uno degli incubi viscerali delle persone: l’estinzione della specie umana. La fine drammatica della persona, che da essere capace di sorridere, piangere, pregare, sperare, diventa una sorta di automa, nel migliore dei casi, o viene cancellata dalla follia di virus, nel peggiore. La persona, un attore che scompare in modo teatrale, così come ha fatto il suo ingresso nell’antico proscenio etrusco. Perché il termine persona, derivante da phersu, significa proprio maschera dell’attore. Una sorta di contenitore vuoto, da riempire di emozioni, come se ogni persona fosse in maniera scissa corpo e spirito. Un’idea, questa, capace di canonizzarsi attraverso il concetto di Trinità e l’umiltà divina di diventare carne e ossa, Cristo che è persona come tutti gli altri, e come tutti costretto a sanguinare, a chiudere l’essenza grandiosa nella piccolezza del corpo. Quello stesso corpo che poi entrato nelle palestre degli anni Ottanta e nelle videocassette di una sudata Jane Fonda è diventato invece che umiliazione dell’individuo l’esaltazione stessa della persona: muscoli, bellezza e cervello forse qualche volta, mica sempre. Fino ad approdare, oggi, alle sacre sponde dell’io virtuale capace di prendere forme diverse e che non accontentandosi più di un volumetrico fitness entra nello spazio mistico del wellness, e in quello ultracorporeo dell’avatar tridimensionale.

Ecco, il concetto di persona ha subito nel corso dei secoli roboanti variazioni, al centro di disquisizioni filosofiche così come dei dialoghi tra vicine di phon nel salone di bellezza della borgata Finocchio. Forse perché l’unica idea possibile di persona risiede nella sua mutevolezza, come se fosse più che un concetto definito una volta per tutte una sorta di funzione, dinamica, così come la descrive Samuel Johnson: «La vera nobiltà è nell'esser superiore alla persona che eravamo fino a ieri». Cambiamento costante.

Per la capacità della parola di evocare libri di teologia così come valutazioni umane quotidiane, tradotte in quel “è una brava persona” che ciascuno di noi avrà ricevuto come appellativo da un vicino di casa, il termine è ormai entrato con prepotenza nel linguaggio da manifesto elettorale. “La persona al centro”. Chi l’ha detto? Uno di destra, uno di sinistra, uno di centro, appunto, che simpaticamente ha giocato con il termine così come solo un ex Dc sa fare, con ironia e sacralità insieme? Boh, vallo a capire, probabilmente l’hanno detto tutti, almeno una volta nella vita da talk show, almeno durante un comizio elettorale o con sguardo fiero in una seriosa dichiarazione al Tg della notte.
La persona come perno politico. Ed è proprio quando la persona viene evocata come principio chiave della politica che prende forma l’idea di laicità, costrutto sociologico, concetto astratto che può però incarnarsi nella quotidianità di ciascuno. È quando la politica ragiona concretamente delle persone che allora diventa buona politica, giocando su un paradosso: far riferimento alla persona come essere reale, fisico e quotidiano, senza scadere nel particolarismo di una precisa persona. Come dire: la politica deve far riferimento alle persone vere sfuggendo dal principio di individuazione, senza dare loro un nome e un cognome. Altrimenti diventa cattiva politica, familismo. La buona politica invece intende e persone un po’ come fa Rifkin: ognuna inscindibile dall’altra, ciascuna capace di capire l’altra e, proprio attraverso l’empatia, di sentirla e di sentire allo stesso tempo se stessa. Ecco, se si volesse immaginare la storia futura della buona politica, si potrebbe parafrasare proprio Rifkin. “La civiltà della politica laica ed empatica” potrebbe essere questo il titolo del libro, al posto de “La civiltà dell’empatia”. E la politica laica ed empatica è quella che mette in primo piano la signora che prende l’autobus la mattina come lo studente che vuole una connessione veloce o il lavoratore che tutte ‘ste tasse proprio lo strozzano, forse il prossimo anno evade un po’.
Dopotutto la politica è proprio quella cosa là, cui fa riferimento la poetessa polacca Wislawa Szymborska quando scrive:
«Preferisco me che vuole bene alla gente, a me che ama l’umanità». Ecco, in sostanza, cosa significa la parola persona in politica.

2 aprile 2010

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