logo Fucinaidee

Ammesso, NON accolto,

il ricorso dell’Italia contro la sentenza sul Crocifisso

di Luigi Pinelli

 

Con sentenza del 3 novembre dello scorso anno, già oggetto di un’ampia disamina ospitata a suo tempo nella “Fucina”,  la Corte europea dei diritti dell’uomo stabiliva, a seguito di  ricorso della madre di due ragazzi iscritti alla scuola pubblica di Abano Terme, che “....l’esposizione obbligatoria di un simbolo confessionale nell’esercizio del settore pubblico relativamente a situazioni specifiche che dipendono dal controllo governativo, in particolare nelle aule, viola il diritto dei genitori di istruire i loro bambini secondo le loro convinzioni e il diritto dei bambini scolarizzati di credere o non di credere. La Corte considera che questa misura violi questi diritti poiché le restrizioni sono incompatibili con il dovere che spetta allo Stato di rispettare la neutralità nell’esercizio del settore pubblico, in particolare nel settore dell’istruzione”.

         In altri termini, la Corte dichiarava inammissibile, ravvisandovi la violazione dell’art. 2 del protocollo n° 1 e dell’articolo 9 della Convenzione dei diritti dell’uomo, l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e in qualsiasi altro edificio pubblico, in base al principio di non discriminazione previsto dall’articolo 14 della medesima Convenzione liberamente sottoscritto dagli Stati membri con l’atto di adesione alla Corte europea.

         Avverso tale giudizio di primo grado la Convenzione ammette la possibilità di impugnazione secondo le disposizioni  che conviene richiamare di seguito.

        

Articolo 42 . Sentenze delle Camere

Le sentenze delle Camere divengono definitive conformemente alle disposizioni dell’articolo 44, paragrafo 2.

 

Articolo 43 . Rinvio dinnanzi alla Grande Camera

1 - Entro un termine di tre mesi a decorrere dalla data della sentenza di una Camera, ogni parte alla controversia può, in   situazioni eccezionali, chiedere che il caso sia rinviato dinnanzi alla Grande Camera.

2 - Un collegio di cinque giudici della Grande Camera accoglie la domanda quando la questione oggetto del ricorso solleva gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi protocolli, o comunque  un importante questione di carattere generale.

3 -  Se il collegio accoglie la domanda, la Grande Camera si pronuncia sul caso con sentenza.

 

Articolo 44 . Sentenze definitive

1 - La sentenza della Grande Camera è definitiva.

2 - La sentenza di una Camera diviene definitiva a quando le parti dichiarano che non richiederanno il rinvio del caso  dinnanzi alla Grande Camera; oppure tre mesi dopo la data della sentenza, se non è stato richiesto il rinvio del caso  dinnanzi alla Grande Camera; oppure se il collegio della Grande Camera respinge una richiesta di rinvio formulata ai sensi dell’articolo 43.

3 - La sentenza definitiva è pubblicata.

 

Articolo 45 . Motivazione delle sentenze e delle decisioni

1 - Le sentenze e le decisioni che dichiarano i ricorsi ricevibili o irricevibili devono essere motivate.

2 - Se la sentenza non esprime in tutto o in parte l’opinione unanime dei giudici, ogni giudice avrà diritto di allegarvi  l’esposizione della sua opinione individuale.

 

Articolo 46 . Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze

1 - Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali  sono parti.

2 - La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione.

        

         Avvalendosi delle disposizioni appena trascritte ed in particolare di quanto previsto dall’art. 43, comma 1, in data 29 gennaio 2010, vale a dire entro il prescritto termine di tre mesi, il Governo italiano, evidentemente insoddisfatto dell’esito del giudizio di primo grado, presentava dunque richiesta di rinvio della sentenza di cui trattasi  “dinnanzi alla Grande Camera”, ai fini dell’annullamento.

         Esaminata preliminarmente da un collegio di cinque giudici della Grande Camera, in data 2 marzo 2010 la richiesta di rinvio “dinnanzi  alla Grande Camera” (composta ora da un numero di giudici pari a quello degli Stati contraenti, attualmente quarantuno) è stata dunque accolta, in forza evidentemente del fumus che nella questione oggetto del ricorso possano ravvisarsi i “gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi protocolli, o comunque  un’importante questione di carattere generale” ipotizzati a carattere generale dall’art. 43, comma 2, della Convenzione e concretamente individuati ed invocati per il caso specifico dal soggetto ricorrente.

         La procedura innanzi alla Grande Camera, cui ora è dunque passata la palla, è “contraddittoria e pubblica”. Le udienze sono pertanto pubbliche, a meno che la Grande Camera stessa non decida diversamente in virtù di circostanze eccezionali. Le memorie e gli altri documenti depositati presso la cancelleria della Corte dalle parti sono accessibili al pubblico.

         I giudici siedono nella Corte a titolo individuale, non rappresentano nessuno Stato ed il loro mandato scade allorquando raggiungono l’età di settanta anni.

Una volta che la questione è maturata per la decisione (non risulta entro quali termini di tempo), la grande Camera si pronuncia a maggioranza ma ogni giudice che abbia partecipato all’esame del caso ha diritto di allegare alla sentenza sia l’esposizione di una sua eventuale opinione distinta - concordante o dissenziente - sia una semplice dichiarazione di dissenso.

La sentenza della Grande Camera, come già richiamato, è definitiva ed è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione.

 

SSSSSSSSSS

 

Tanto premesso, il prosieguo della vicenda al momento non si presta ad altre osservazioni, essendo vincolato ad un percorso dettagliatamente regolato dalle norme della Convenzione già citate.

Quanto ai motivi alla base del ricorso (redatto in francese, lingua ufficiale per la Corte alla pari con l’inglese, e chiuso con la formula “Pour ces motifs, le Gouvernement italien demande le renvoi de l’affaire devant la Grande Chambre”) non è agevole - anche per problemi di lingua – individuarne direttamente ed estrapolarne gli aspetti autenticamente di maggior rilievo ai fini della decisione. Tutto sommato, pertanto, sembra prudente rinviarne l’esame al momento della pubblicazione e della lettura della sentenza definitiva, alla luce della inevitabile contrapposizione - qualunque ne sia l’esito - tra il giudicato di primo grado e le tesi contrarie illustrate al giudice di secondo grado da parte del ricorrente.

Per chi volesse azzardare fin da ora qualche valutazione o avanzare addirittura qualche previsione circa l’esito della controversia, si allega comunque una sintesi dei contenuti del ricorso predisposta dal Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

SSSSSSSSSS

 

I commenti alla notizia della ammissione del ricorso

 

         Qualche osservazione immediata va invece riservata agli incredibili toni trionfalistici con cui molti personaggi  pubblici hanno salutato come una vittoria la semplice ammissibilità del ricorso.

Confondere con la sentenza finale la decisione di cinque giudici incaricati di valutare unicamente l’ammissibilità del ricorso è infatti altrettanto azzardato, in qualche misura, che sostenere che il ricorso in appello nei riguardi di una condanna penale equivalga ad una sentenza di assoluzione.

Che per i fautori dell’annullamento della decisione impugnata si tratti di un passo avanti è naturalmente indiscutibile, perché in caso contrario la sentenza di primo grado sarebbe divenuta immediatamente definitiva.

 Ma chi ha ritenuto di poter inneggiare ad un accoglimento del ricorso che ancora non c’è stato e che resta del tutto di là da venire evidentemente ha preso lucciole per lanterne, denotando una inammissibile ignoranza degli esatti termini della questione sul tappeto o, altrimenti, la volontà di influire sulla decisione finale attraverso una mobilitazione rumorosa ancorché verosimilmente inidonea a forzare la mano di un consesso sovranazionale di quarantuno giudici provenienti da altrettanti paesi diversi tra i quali, va ricordato, anche l’unico giudice di nazionalità italiana (Vladimiro Zagrebelsky) ebbe tra l’altro a votare a favore della impugnata sentenza di primo grado. 

          L’eventuale proposito di condizionare in tal modo l’operato dei giudici, infatti, andrebbe comunque respinto con la stessa fermezza con cui è giusto prendere le distanze da talune sentenze in odore di essere mirate a condizionare il funzionamento di altri organi costituzionalmente indipendenti.

 La parte del leone, quanto ad approssimazione, va attribuita tuttavia alla stampa nazionale, che quasi all’unanimità (v. internet) ha diffuso la  notizia sotto il titolo di “Accolto il ricorso sul crocifisso”, con ciò stravolgendone totalmente i contenuti ed inducendo addirittura alcuni sindaci meno provveduti a preannunciare fantasiose iniziative per la celebrazione del vittorioso evento sulla base dell’errato convincimento di un già avvenuto annullamento della sentenza di primo grado.

Anche se può darsi, come diceva Villaggio, che l’italiano sia una lingua maledetta, la differenza tra ACCOLTO e AMMESSO dovrebbe essere facilmente percepita da chiunque e in ogni caso esattamente conosciuta almeno da chi professionalmente ha il compito di informare e di conseguenza il dovere – se il termine ha ancora un contenuto - di ricordare che “i cittadini hanno il diritto di ricevere un'informazione corretta”. (Carta dei doveri del giornalista del 1993)

 

Luigi Pinelli

 

05 marzo 2010

 

ALLEGATO

 

Ricorso presentato dal Governo italiano alla grande Camera contro la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo del 3.11.2009 - Lautsi contro Italia - (ricorso n° 30814/06) per la presunta violazione degli articoli  2, prot. 1 (diritto all’istruzione) e dell’ articolo 9 ( libertà di pensiero, di coscienza e di religione)

 

 

Il Governo italiano ha depositato ricorso alla Grande Camera per il riesame della decisione del 3 novembre 2009 con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che l’esposizione del crocifisso nelle aule della scuola pubblica concretizzi  violazione dell’articolo 2, del Protocollo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, valutato congiuntamente con l’articolo 9, che tutela la libertà di pensiero, coscienza e religione.

Come è stato ampiamente pubblicizzato dai media, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto un dovere dello Stato quello alla neutralità confessionale, con ricaduta espressa nel campo dell’educazione pubblica obbligatoria, ove la presenza ai corsi è richiesta indipendentemente dal credo religioso ed è mirata alla formazione  di un pensiero critico nel discente. La decisione risulta aver creato perplessità e sconcerto, non solo in Italia.

Secondo la Corte, l’obbligo all’esposizione del simbolo della confessione cristiana limita non solo il diritto dei genitori ad educare secondo le loro convinzioni i figli, ma anche il diritto degli alunni di credere in altre confessioni o di  non credere affatto.

Con il ricorso, il Governo italiano ha dubitato della decisione,  come corretta interpretazione ed applicazione della Convenzione, per la libertà riconosciuta dalla giurisprudenza europea alla regolamentazione nazionale sulle questioni religiose. E’ stata rilevata l’inesistenza di una interpretazione condivisa del principio di laicità dello Stato. 

La pronuncia è stata considerata contrastante con la giurisprudenza della stessa Corte in materia (decisione Leyla Sahin contro Turchia del 10 novembre 2005).

Inoltre, ricordate le persistenti difficoltà interpretative a livello europeo circa le implicazioni concrete derivanti dall’applicazione del principio di laicità dello Stato, si è fatto riferimento al margine di apprezzamento riconosciuto ai singoli Stati, in considerazione delle differenze di approccio al tema religioso.

Un ulteriore motivo di censura ha, poi, riguardato l’interpretazione del concetto di neutralità confessionale dello Stato che, secondo il Governo italiano, non si risolve nell’adozione di un atteggiamento agnostico o ateo, ma implica lo sforzo volto a conciliare al meglio le differenze religiose.

Il Governo ha sottolineato, inoltre, che  la tesi accolta dalla Corte - secondo cui l’esposizione del crocifisso in aula può rivelarsi incoraggiante per alcuni allievi che a quella religione aderiscono, ma emotivamente “inquietante” per allievi che professano altre religioni o che non ne professano alcuna - finisce per riconoscere un diritto alla protezione di sensibilità più o meno soggettive con relativa, grave incertezza giuridica.

A completamento dei motivi si è evidenziato un travisamento dei fatti in cui sarebbe incorsa Corte, attribuendo la scelta di esporre il crocifisso alla direzione della scuola, mentre, nel caso di specie, si era trattato di un obbligo giuridico previsto dalla normativa nazionale e solo confermato o rafforzato  da una conforme votazione all’interno delle istituzioni scolastiche all’esito di uno specifico  dibattito.

Ove un apposito collegio di cinque giudici della Corte ritenesse di rinviare il caso alla Grande Camera, quest’ultima costituita da diciassette giudici e composta di diritto dal presidente, dai vice-presidenti della Corte ed i presidenti di sezione, oltre, fra gli altri, al giudice italiano, potrebbe decidere nei prossimi mesi, riesaminando il caso alla luce dei rilievi del Governo.

 

(a cura del dott. Corrado Bile, magistrato addetto in qualità di esperto al Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri)

           

 

           

 

           

           

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina