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CROCIFISSO e CORTE EUROPEA

Sentenza, reazioni, ricorso

di Luigi Pinelli

 

 

Premessa

 

Il  fondo del Corriere della sera di qualche giorno fa offre lo spunto per alcune osservazioni in merito alla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo relativa alla esposizione del crocifisso nelle scuole.

Come opportunamente evidenziato dall’estensore dell’articolo, di fronte alla congerie di prese di posizione e di iniziative da parte anche di soggetti investiti di funzioni pubbliche colpevolmente ignari del quadro normativo all’origine del provvedimento in discussione, va innanzitutto chiarito che la decisione non ha niente a che fare con l’Unione Europea, trattandosi di atto di natura giudiziaria estraneo agli organi investiti del potere politico spettante alla Comunità.

Il soggetto dal cui interno proviene la sentenza di cui trattasi è infatti il Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale nata nel maggio del 1949 ad opera di dieci Stati con lo scopo di promuovere la democrazia, i diritti dell'uomo, l'identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Attualmente, gli Stati aderenti sono saliti a quarantanove, comprensivi di tutti gli stati europei (tranne Vaticano e Bielorussia) e - curiosamente - di alcuni extraeuropei tra cui l’Azerbaigian.

Il Consiglio d’Europa ha come organo decisionale il Comitato dei Ministri composto dai Ministri degli Esteri di tutti gli Stati membri o dai loro Rappresentanti diplomatici permanenti.

In attuazione delle iniziative istituzionali di detto Consiglio, il 4 novembre 1950 i Governi membri sottoscrissero a Roma la “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, contenente al suo interno (art. 19 e ss.) appunto la previsione della Corte europea dei diritti dell’uomo, quale organo giudiziario concretamente istituito, poi, nel 1954.

Allo stato dell’ordinamento, pertanto, l’attribuzione alla Unione europea di responsabilità  per la decisione sul crocifisso appare del tutto priva di fondamento, posto che il Consiglio d’Europa e la sua Corte Europea dei diritti dell’uomo hanno in comune con l’Unione Europea unicamente la sede nella medesima città di Strasburgo.

Tanto premesso, va ulteriormente ricordato che tutte le sentenze definitive della Corte sono ovviamente vincolanti per gli Stati coinvolti nelle controversie, in forza delle clausole sottoscritte al momento della volontaria adesione al Consiglio d’Europa.

 Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa è invece l’organo preposto al controllo della loro esecuzione e della adozione, da parte degli Stati condannati, delle misure necessarie per l’attuazione degli obblighi stabiliti dalle sentenze medesime.

A tal fine, il Comitato dei Ministri può avvalersi di decisioni per la fissazione delle modalità e dei tempi di esecuzione, di risoluzioni interinali per la verifica dei tempi in corso d’opera e di risoluzioni finali per la dichiarazione dell’avvenuto adempimento di tutti gli obblighi.

Al Comitato è anche riconosciuto il potere di applicare altri provvedimenti (di contenuto non determinato)  e sanzioni pecuniarie contro lo stato inadempiente.

In ambito nazionale, invece, la legge 9 gennaio 2006 n. 12, recante "Disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo", integrando la legge 23 agosto 1988. n. 400, relativa alla  “Disciplina dell'attività di Governo”, ha individuato nel Presidente del Consiglio dei Ministri l’organo che ora “promuove gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo emanate nei confronti dello Stato italiano; comunica tempestivamente alle Camere le medesime pronunce ai fini dell’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti e presenta annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di esecuzione delle suddette pronunce”.

Per completezza, va anche segnalato che da qualche tempo sono rintracciabili nella giurisprudenza nazionale tentativi di elaborazioni intese a verificare se sussista nell’ordinamento interno la possibilità di immediata applicazione di talune decisioni della Corte di Strasburgo, delle quali non è dato di prevedere gli sviluppi.

Allo stato delle cose, dunque,  posto che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa non ha una propria polizia o degli ufficiali giudiziari internazionali per l’esecuzione forzata delle proprie decisioni, di fronte al definitivo rifiuto di uno Stato aderente di adeguarsi al giudicato della Corte l’unico rimedio ancora applicabile parrebbe da individuarsi, secondo la logica di qualsiasi forma di associazione volontaria,  nell’espulsione dello stesso dal Consiglio d’Europa.

Riguardo al caso in esame, infine, resta da dire soltanto che i sette giudici autori della sentenza sono, per la cronaca, Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), e Isil Karakas (Turchia).

 

Il ricorso

La vicenda di cui trattasi prende il via dal ricorso presentato da una cittadina di Abano Terme, inteso ad ottenere la rimozione del crocifisso dalle aule dell’istituto statale frequentato dai due figli, con la motivazione che la presenza dello stesso integrerebbe la violazione del principio di laicità dello Stato.

Per meglio comprendere le motivazioni della decisione, è opportuno estrapolare dalla sentenza innanzitutto le argomentazioni della ricorrente, a sostegno del ricorso, e  le controdeduzioni Governo ai fini del rigetto, valutate dalla Corte ai fini della decisione.

 

Argomenti della ricorrente

«La ricorrente ha fornito la cronistoria delle disposizioni pertinenti. Ella osserva che l’esposizione del crocifisso si fonda, secondo la giurisdizione nazionale italiana, su disposizioni del 1924 e del 1928 che sono sempre in vigore, benché precedenti sia la Costituzione italiana sia gli accordi del 1984 con la Santa Sede e al protocollo addizionale a questi. Ma le disposizioni controverse sono sfuggite al controllo di costituzionalità, poiché la Corte costituzionale non avrebbe potuto pronunciarsi sulla loro compatibilità con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano a causa della loro natura di regolamenti e non di leggi dello Stato. Le disposizioni in causa sono l’eredità di una concezione confessionale dello Stato che si scontra oggi con il dovere di laicità di quest’ultimo e viola i diritti protetti dalla convenzione»

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«Secondo la ricorrente, il crocifisso ha in realtà soprattutto una connotazione religiosa. Il fatto che il crocifisso abbia altre “chiavi di lettura” non comporta la perdita della sua principale connotazione, che è religiosa.

Privilegiare una religione attraverso l’esposizione di un simbolo dà la sensazione agli allievi delle scuole pubbliche ....... che lo Stato aderisce a una specifica fede religiosa. Mentre in uno Stato di diritto nessuno dovrebbe percepire lo Stato come più vicino a una confessione religiosa che a un’altra, e soprattutto non le persone che sono più influenzabili a causa della loro giovane età.

La nozione di laicità significa che lo Stato deve essere neutrale e dare prova di equidistanza rispetto a tutte le religioni, poiché non dovrebbe essere percepito come più vicino ad alcuni cittadini che ad altri.

Quanto al punto di sapere se un insegnante sarebbe libero di esporre altri simboli religiosi in una sala di classe, la risposta sarebbe negativa, visto l’assenza di disposizioni che lo permettono».

 

Argomenti del Governo

«Il governo sostiene che il problema sollevato dalla presente richiesta esce dal quadro propriamente giuridico per tracimare nel terreno della filosofia. Infatti si tratta di determinare se la presenza di un simbolo che ha un’origine e un significato religiosi è in sé una circostanza tale da influire sulle libertà individuali in modo incompatibile con la Convenzione.

Se il crocifisso è certamente un simbolo religioso, riveste tuttavia anche altri significati. Avrebbe anche un significato etico, comprensibile ed apprezzabile indipendentemente dall’adesione alla tradizione religiosa o storica poiché evoca principi che possono essere condivisi anche da quanti non professano la fede cristiana (non violenza, uguale dignità di tutti gli esseri umani, giustizia, primato dell’individuo sul gruppo, amore per il prossimo e perdono dei nemici). Certo, i valori che fondano oggi le società democratiche hanno la loro origine anche nel pensiero di autori non credenti e addirittura opposti al cristianesimo. Tuttavia, il pensiero di questi autori sarebbe intriso di filosofia cristiana, a causa della loro istruzione e dell’ambiente nel quale sono stati formati. In conclusione, i valori democratici oggi affonderebbero le loro radici in un passato più lontano, quello del messaggio evangelico. Il messaggio del crocifisso sarebbe dunque un messaggio umanista, che può essere letto in modo indipendente della sua dimensione religiosa, costituito da un insieme di principi ed di valori che formano la base delle nostre democrazie.

Il crocifisso, rinviando a questo messaggio, sarebbe perfettamente compatibile con la laicità e accettabile anche dai non cristiani e dai non credenti, che possono accettarlo nella misura in cui evoca l’origine di questi principi e di questi valori. In conclusione, potendo il simbolo del crocifisso essere percepito come sprovvisto di significato religioso, la sua esposizione in un luogo pubblico non costituirebbe in sé un danno ai diritti e alla libertà garantiti dalla Convenzione.

Secondo il governo, questa conclusione sarebbe consolidata dall’analisi della giurisprudenza della Corte che esige un’ingerenza molto più attiva della semplice esposizione di un simbolo per constatare un limite ai diritti e alla libertà».

 

La sentenza

 

Nell’esame della  richiesta, la Corte europea dei diritti dell’uomo richiama preliminarmente il percorso normativo e giurisprudenziale a monte della attuale impostazione dei rapporti tra lo Stato italiano, la Chiesa cattolica e le altre confessioni presenti nel territorio.

Valendoci di una delle traduzioni (Morandi-Moretti Turri) della sentenza dalla lingua francese (una delle tre lingue ufficiali della Corte europea) utilizzata  nell’occasione dall’estensore, anche qui conviene dunque estrapolarne e virgolettarne di seguito i passi più significativi per la ricostruzione dei presupposti giuridici e dei criteri di valutazione alla base della pronuncia di merito.

«I Patti Lateranensi, firmati l’11 febbraio 1929, segnarono la "Conciliazione" tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Il cattolicesimo fu confermato come la religione ufficiale dello Stato italiano. L’articolo 1 del Trattato era così formulato: «L’Italia riconosce e ribadisce il principio stabilito dall’articolo 1 dello Statuto Albertino del 4 marzo 1848, secondo il quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione di Stato».

Nel 1948 lo Stato italiano adottava la Costituzione repubblicana.

L’articolo 7 di questa riconosceva esplicitamente che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel suo ordine, indipendenti e sovrani. Le relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolate dai Patti Lateranensi e le modifiche di questi accettate dalle due parti non esigono procedura di revisione costituzionale.

L’articolo 8 enunciava che le confessioni religiose diverse da quella cattolica “hanno il diritto di organizzarsi secondo i loro statuti, fintanto che non si oppongono all’ordinamento giuridico italiano”. Le relazioni tra lo Stato e queste altre confessioni “sono stabilite dalla legge sulla base di intese con il loro rispettivi rappresentanti”.

La religione cattolica ha cambiato statuto in seguito alla ratifica, con la legge n. 121 del 25 marzo 1985, della prima disposizione del protocollo addizionale al nuovo Concordato con il Vaticano del 18 febbraio 1984, modificanti i Patti Lateranensi del 1929. Il principio, proclamato nei Patti Lateranensi, secondo cui la religione cattolica era la sola religione dello Stato italiano era considerato come non più in vigore.

La Corte costituzionale italiana nella sua sentenza n. 508 del 20 novembre 2000 ha riassunto la sua giurisprudenza che, affermando principi fondamentali di uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione (articolo 3 della Costituzione) e di eguale libertà di tutte le religioni dinanzi alla legge (articolo 8) stabilisce che l’atteggiamento dello Stato deve essere segnato da equidistanza e imparzialità, indipendentemente dal numero di membri di una religione o di un’altra (vedere sentenze n. 925/88; 440/95; 329/97) né dall’ampiezza delle reazioni sociali alla violazione di diritti dell’una o dell’ altra (vedere sentenza n. 329/97).

La protezione uguale della coscienza di ogni persona che aderisce a una religione è indipendente dalla religione scelta (vedere sentenza n. 440/95), cosa che non è in contraddizione con la possibilità di una diversa regolamentazione delle relazioni tra lo Stato e le varie religioni ai sensi degli articoli 7 e 8 della Costituzione. Una tale posizione di equidistanza e di imparzialità è il riflesso del principio di laicità che per la Corte costituzionale ha natura di «principio supremo» (vedere sentenza n. 203/89; 259/90; 195/93; 329/97) e che caratterizza lo Stato in senso pluralista. Le credenze, culture e tradizioni diverse devono vivere insieme nell’uguaglianza e nella libertà (vedere sentenza n. 440/95).

Nella sua sentenza n. 203 del 1989, la Corte costituzionale ha esaminato la questione del carattere non obbligatorio dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. In questa occasione, ha affermato che la Costituzione conteneva il principio di laicità (articoli 2,3,7,8,9,19 e 20) e che il carattere confessionale dello Stato era stato esplicitamente abbandonato nel 1985, ai sensi del protocollo addizionale ai nuovi accordi con la Santa Sede.

La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sull’obbligo di esporre il crocifisso nelle scuole pubbliche, ha risposto con l’ordinanza del 15 dicembre 2004 n. 389 (vedi sopra). Senza deliberare sul merito, ha dichiarato palesemente inammissibile la questione sollevata poiché essa aveva per oggetto delle disposizioni regolamentari, sprovviste di forza di legge, che quindi sfuggivano alla sua giurisdizione».

Su tali ed altre analoghe premesse, la Corte di Strasburgo osserva che "non è in grado di comprendere come l'esposizione nelle classi delle scuole statali di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una «società democratica» così come concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana".

"La presenza del crocefisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche, potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età - afferma ancora la Corte - come simbolo religioso, che avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione" e che detto simbolo "potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose, o che sono atei".

“La Corte ritiene inoltre che l'esposizione obbligatoria di un simbolo di una confessione nell’esercizio della funzione pubblica per quanto riguarda situazioni specifiche, sotto il controllo del governo, in particolare nelle aule, limita il diritto dei genitori educare i loro figli secondo le loro convinzioni e il diritto di scolari di credere o di non credere. La Corte ritiene che ciò costituisca una violazione di questi diritti, perché le restrizioni sono incompatibili con il dovere dello Stato di rispettare la neutralità nell'esercizio del servizio pubblico, in particolare nel campo dell'istruzione”.

Laddove il governo giustifica l’obbligo (o il fatto) di esporre il crocifisso riferendosi al messaggio morale positivo della fede cristiana, che arriverebbe quindi a esprimere i valori costituzionali laici e sarebbe una componente della storia italiana e della tradizione del paese con un significato neutrale e laico in riferimento alla storia e alla tradizione italiane strettamente legate al cristianesimo, la Corte ritiene infatti che la presenza del crocifisso nelle aule vada al di là del semplice impiego di simboli in contesti storici specifici.

In altri termini la Corte di Strasburgo, che della Convenzione dei diritti umani è il garante, fa propria la tesi che il crocifisso non può essere inteso, a differenza di quanto aveva fatto il Consiglio di Stato con una discussa sentenza ed aveva poi ribadito il governo italiano nel giudizio, come un simbolo “laico”, espressione della tradizione culturale italiana, intrinsecamente legata al cristianesimo.

Concludendo conseguentemente, essa accoglie pertanto il ricorso affermando che “la presenza del crocefisso nelle classi costituisce violazione dell'articolo 2 del protocollo 1 esaminato insieme all'articolo 9 della Convenzione” e disponendo che il governo italiano liquidi alla ricorrente un risarcimento di cinquemila euro per danni morali.

 

Le reazioni della Chiesa cattolica

La notizia della sentenza ha dato immediatamente la stura ad una nutritissima serie di commenti e ad una molteplicità di iniziative e proclami, meritevoli di qualche richiamo in quanto idonei a percepirne l’impatto sull’opinione pubblica.

L’interesse nei riguardi della pronuncia della Corte è infatti da ritenersi sicuramente positivo, anche se non pare da escludersi che la quasi totalità dei giudizi sia stata espressa assai verosimilmente senza la preventiva conoscenza delle motivazioni della sentenza, praticamente - vale a dire - soprattutto per partito preso.

Sotto tale profilo va dunque dato atto alla CEI di essersi limitata, nella immediatezza e comunque previa acquisizione del testo sentenza, a parlare sobriamente di decisione che «suscita amarezza e non poche perplessità: fatto salvo il necessario approfondimento delle motivazioni, in base a una prima lettura, sembra possibile rilevare il sopravvento di una visione parziale e ideologica» laddove il Vaticano, stando ai resoconti ricavabili da Internet, risulta invece aver da subito definito  la sentenza  «miope e sbagliata», affermando attraverso il portavoce che ''stupisce che una Corte europea intervenga pesantemente in una materia profondamente legata all'identità del popolo italiano''.

 

Le reazioni dei politici

Benché solitamente su posizioni antitetiche a prescindere, la maggioranza e l’opposizione (la seconda pur con qualche cautela e con l'isolata eccezione della sinistra radicale) sembrano invece unite, nella unanime condanna della sentenza sia da parte dei cattolici che dei laici presenti nei due schieramenti, addirittura da un «comune sentire» nazionale del quale sembravano essersi perse le tracce da anni.

Tale “comune sentire”, in verità, è oggi sorprendentemente ravvisabile anche nelle dichiarazioni a margine delle concomitanti celebrazioni del ventennale della caduta del muro tra le due Germanie. Ricordando però, da ultrasessantenni, che quando il muro di Berlino veniva eretto per impedire le fughe alcuni di coloro che oggi inneggiano all’abbattimento non batterono ciglio, salvo scagliarsi poi contro la costruzione di un analogo muro edificato da parte americana unicamente per arginare le entrate, non parrebbe del tutto azzardato il sospetto che qualcuna delle  prese di posizione di oggi non sia del tutto disinteressata e derivi più da ricerca del consenso che da autentico convincimento.

 

Le reazioni di altri soggetti pubblici

Ministro MariaStella Gelmini:  “Nel nostro Paese nessuno vuole imporre la religione cattolica e tantomeno la si vuole imporre attraverso la presenza del crocifisso. E` altrettanto vero che nessuno, nemmeno qualche corte europea ideologizzata, riuscirà a cancellare la nostra identità”.

Il sindaco di Roma: “Esterrefatto di questa sentenza che considero folle. Auguro che il governo italiano reagisca con la massima durezza”.

Il sindaco di Finale Emilia: “Sono anche pronto a firmare un’ordinanza che imponga il crocifisso nelle scuole finalesi”.

Il Sindaco PD di Scarlino (GR): ordinanza  “di mantenere il crocifisso nelle aule delle scuole del comune di Scarlino come espressione dei fondamentali valori civili e culturali dello Stato Italiano, perlomeno fino all’esito del Ricorso alla Corte europea.  Ai trasgressori della presente Ordinanza sarà applicata sanzione amministrativa di euro500,00”.

Il sindaco di Ascoli Piceno: “No. Non intendo rimuovere il crocifisso”.

Il Comune di Sassuolo: acquista subito cinquanta crocifissi per la distribuzione alle scuole che ancora ne risultassero sprovviste.

Le Comunità cristiane di base: invocano il motto “Meno croce e più Vangelo”, che valeva nella scuola di Barbiana, da dove don Milani aveva tolto il crocifisso.

Il Santuario di Talamello (provincia di Pesaro): liturgia “di riparazione” per il “gesto di rifiuto nei confronti del crocifisso”. Appuntamento fissato per giovedì 12 novembre alle 18.30.

Il vescovo di San Marino e Montefeltro: “in queste istituzioni  si sta sostanzialmente catalizzando tutto il peggior laicismo che ha una connotazione obiettivamente anti cattolica” e che è “teso ad eliminare, anche con la violenza, la presenza cristiana dalla vita della società e, addirittura, i simboli di questa presenza”. 

Il sovrintendente  del teatro Vincenzo Bellini di Catania: espone un grande crocifisso sulla facciata dell’edificio.

La Giunta della Valle d'Aosta: invita “tutte le scuole di ogni ordine e grado a mantenere il crocefisso nelle aule”.

Il Sindaco di Fabbriche di Vallico (LU): emanata ordinanza per mantenere il simbolo nelle classi (televideo NoiTv).

Il Comune di Foligno: “il Consiglio comunale .... impegna sindaco e giunta a disporre un'attenta ed accurata verifica in tutti gli Uffici Pubblici e le Aule delle Scuole Comunali, per accertarsi della presenza del crocefisso e provvedere alla collocazione, nei luoghi ove questo dovesse risultare mancante - in attesa di un pronunciamento definitivo da parte della Grande Camera Europea".

Il Consiglio comunale di Lucca: “...impegna il sindaco e la giunta:.....a difendere e valorizzare la nostra identità culturale a partire dai simboli religiosi con valenza universale come il Crocifisso in tutte le forme possibili, a partire dalla sua affissione negli uffici dell’amministrazione comunale aperti al pubblico”.

Il senatore Stefano Ceccanti (Pd), (interpellanza a Governo): “il Governo italiano risulta aver presentato in modo errato e quindi non convincente le ragioni dell'Italia, in particolare ricorrendo a irricevibili motivazioni di opportunità politica e nello specifico alla «necessità di trovare un compromesso con i partiti di ispirazione cristiana».................Neutralità dello Stato non significa necessariamente neutralizzazione del fenomeno religioso”.

Il giudice Nicola Lettieri, rappresentante del governo italiano presso la Corte Europea: “sottolineeremo che noi non siamo uno Stato laico, ma concordatario, come sancito dall'articolo 7 della Costituzione, e che quindi ha rinunciato ad alcune delle sue prerogative. .....non può essere una camera con 7 giudici a prendere una simile decisione”. Di qui la necessità di andare in Grande Chambre come sempre “quando c'è un problema di applicazione della convenzione”.

 

Una opinione più articolata

Raniero La Valle, giornalista e scrittore: “La sentenza è ineccepibile: una volta investita del caso, la Corte non poteva che decidere così; infatti in discussione non c’era l’utilità, l’opportunità, il significato, religioso o civile, del crocefisso, la percezione positiva o negativa che dei minori, per lo più ignari del cristianesimo, possono avere di un uomo «appeso nudo alla croce», e così umiliato ed ucciso esposto alla vista di tutti. Il giudizio verteva sull’obbligo, imposto dallo Stato, di mettere il crocefisso nelle aule scolastiche; come dice la Corte di Strasburgo «sull’esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione religiosa» nel contesto di una funzione pubblica gestita dal governo. È evidente che a quest’obbligo...... si oppongono tutti i principi del moderno Stato di diritto, le norme della Costituzione, la Convenzione europea e forse anche la Dichiarazione conciliare «Dignitatis humane» sulla libertà religiosa”.

 

Le reazioni dei cristiani non cattolici

Se è del tutto comprensibile il grande spazio dedicato all’inquietudine dei cattolici, lascia invece perplessi la quasi totale disattenzione delle grandi testate giornalistiche nei riguardi dei giudizi dei protestanti italiani, non giustificata dal fatto che essi costituiscano una entità largamente minoritaria dal punto di vista numerico ma generalmente preparata e forzatamente attenta alle problematiche derivanti dalla convivenza con realtà innegabilmente maggioritarie.

Anche riguardo alla vicenda del crocifisso, i protestanti italiani, in quanto cristiani ancorché separati dalla chiesa cattolica, non hanno nfatti mancato di far sentire la propria voce con dichiarazioni e giudizi largamente se non univocamente orientati in senso favorevole alla sentenza.

Succintamente, se ne riportano di seguito alcuni stralci.

- Prof.  Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), lamentando il silenzio dei mezzi di informazione, ha fatto osservare che “eppure è una notizia il fatto che dei cristiani plaudano a una sentenza che altri cristiani invece criticano vigorosamente”.

- Pastora Maria Bonafede, moderatrice della Tavola valdese: “è una sentenza che tutela i diritti di chi crede, di chi crede diversamente dalla maggioranza e di chi non crede”

- Pastora Anna Maffei, presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (UCEBI): “ridurre Cristo crocifisso in un segno di appartenenza che marca il territorio di uno Stato e difenderlo come simbolo nazionale significa aver completamente travisato la fede cristiana”.

- Pastore Holger Milkau, decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI): “lo spazio pubblico non è il luogo dove esprimere prepotenze. Ovviamente la croce e il crocifisso sono simboli fondamentali del cristianesimo, ma non devono diventare motivo per oppressioni o liti”.

- Teologo valdese Paolo Ricca: “ritengo la sentenza della Corte Europea un provvedimento giusto. In una situazione di pluralismo religioso mi sembra che tale decisione debba essere adottata anche negli uffici pubblici, come le aule dei tribunali, e non solo in quelle scolastiche”.

- Nicola Pantaleo, presidente dell’Associazione 31 ottobre per una scuola laica e pluralista degli evangelici italiani: “sostenere che il crocifisso costituisce un dato culturale e storico più che religioso, connaturato all’italianità, è dire il falso e forzare l’evidenza dei fatti. Si dimentica che esso è stato imposto dal fascismo assieme al ritratto del Duce. ..... Sappiamo che molto difficilmente vedremo i crocifissi rimossi dalle aule nel prossimo futuro ma resta intatto il riconoscimento di un principio sacrosanto in una società moderna e multiculturale, quello per cui nozioni, simboli e riti di una determinata fede religiosa non possono abitare nei luoghi aperti a tutti, che siano scuole, ospedali, uffici o tribunali”.

 

Le religioni in Italia

Secondo una stima della Caritas pubblicata su internet, nel 1970 in Italia erano presenti circa trenta confessioni religiose. Oggi, vale a dire a distanza di meno di quaranta anni, le confessioni sarebbero lievitate ad oltre seicento, anche o soprattutto in conseguenza della immigrazione incontrollata degli ultimi decenni.

Non potendosi escludere che tale situazione di fatto possa influire anche sulle determinazioni della Corte dei diritti dell’uomo in sede di esame del ricorso contro la sentenza, pare opportuno precisarne analiticamente la portata, ovviamente facendo salva ogni ragionevole prudenza riguardo alla effettiva attendibilità della fonte (internet).

A tal fine, va preventivamente ricordato che l’articolo 8 della Costituzione stabilisce che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.”

            Nonostante la asserita presenza di oltre seicento confessioni, le intese firmate e già approvate con legge ai sensi del predetto art. 8 della Costituzione  risultano solamente quelle relative alle seguenti confessioni:

- Tavola valdese         

- Assemblee di Dio in Italia

- Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno         

- Unione Comunità Ebraiche in Italia (UCEI)  

- Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (UCEBI)          

- Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI)  

           

Risultano invece  firmate ma non ancora approvate con legge le intese con:

- Chiesa Apostolica in Italia    

- Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni      

- Congregazione cristiana dei testimoni di Geova         

- Sacra Arcidiocesi d'Italia ed Esarcato per l'Europa meridionale        

- Unione Buddista italiana (UBI)         

- Unione Induista Italiana        

Alla ripartizione della quota dell'otto per mille del gettito IRPEF risulterebbero  infine ammesse attualmente solo le seguenti Confessioni:

- Chiesa Cattolica 

- Tavola Valdese

- Unione Italiana delle Chiese Avventiste del 7° giorno

- Assemblee di Dio in Italia

- Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

- Chiesa Evangelica Luterana in Italia.

Le intese che consentono invece di dedurre ai fini fiscali le offerte fino 1.032,91 euro liberamente versate a favore delle chiese riguardano solo le Confessioni Religiose:

- Chiesa Cattolica

- Tavola Valdese

- Unione Italiana delle Chiese Avventiste del 7° giorno

- Assemblee di Dio in Italia

- Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

- Chiesa Evangelica Luterana in Italia

- Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia

 

Numericamente i cristiani ammonterebbero complessivamente a 53 milioni, i cattolici a 51 milioni, gli ortodossi a 1.187.130, i  protestanti  a 547.825 ed altri cristiani a 500.000.

La confessione maggioritaria è di gran lunga il cattolicesimo con il 97 per cento di battezzati ma solo con il 36 per cento che si dichiari praticante (dati indagine Eurispes del 2006).

L'islam sarebbe invece al secondo posto quanto ad appartenenti, con solo il 5 per cento dei quali praticanti.

 

Precedenti giurisprudenziali o normativi attinenti

 

Sentenza Cassazione pen.  n. 28482 del 10 luglio 2009

Su ricorso del giudice Tosti di Ancona, rifiutatosi di celebrare udienze in un’aula dove era affisso il crocifisso e perciò processato per interruzione di pubblico ufficio, la Cassazione annulla la condanna penale con la motivazione che non di un rifiuto si sarebbe trattato ma di  "una legittima reazione ad un atto di discriminazione religiosa".

 

Sentenza Corte Costituzionale n. 440 del 16 ottobre 1995

Sulla premessa che “i parametri costituzionali invocanti l'uguaglianza di fronte alla legge senza discriminazioni di religione (art. 3) e l'uguale libertà di tutti i culti (art. 8, primo comma) sono pertinenti. Da essi deve trarsi ora la conseguenza della declaratoria d'incostituzionalità della norma che punisce la bestemmia, in quanto differenzia la tutela penale del sentimento religioso individuale a seconda della fede professata” dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 724 del codice penale (Bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti), recante “Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la divinità o i simboli o le persone venerati nella religione dello Stato, è punito con l'ammenda da lire ventimila a seicentomila” limitatamente alle parole "o i simboli o le persone venerati nella religione dello Stato”, rimuovendole dal testo dell’articolo che, di conseguenza, diventa il seguente: “Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la divinità, è punito con l'ammenda da lire ventimila a seicentomila”, ponendo tutte le religioni sullo stesso piano.

 

Sentenza nº 1110 da T.A.R. - Veneto - 22 Marzo 2005

In una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile. In tal senso il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte "laico", diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni.”

ma dice anche:

Come ad ogni simbolo, anche al crocifisso possono essere imposti o attribuiti significati diversi e contrastanti, oppure ne può venire negato il valore simbolico per trasformarlo in suppellettile, che può al massimo presentare un valore artistico. Non si può però pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come ad una suppellettile, oggetto di arredo.....”

 

Legge della Baviera del 23 dicembre 1995

(sull'educazione e l'istruzione pubblica così come modificata dalla legge approvata il 23 dicembre 1995 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1996)

Art. 7, par. 3"In considerazione della connotazione storica e culturale della Baviera, in ogni aula scolastica è affisso un crocifisso. Con ciò si esprime la volontà di realizzare i supremi scopi educativi della costituzione sulla base di valori cristiani e occidentali in armonia con la tutela della libertà religiosa. Se l'affissione del crocifisso viene contestata da chi ha diritto all'istruzione per seri e comprensibili motivi religiosi o ideologici, il direttore didattico cerca un accordo amichevole. Se l'accordo non si raggiunge, egli deve adottare, dopo aver informato il provveditorato agli studi, una regola ad hoc (per il caso singolo) che rispetti la libertà di religione del dissenziente e operi un giusto contemperamento delle convinzioni religiose e ideologiche di tutti gli alunni della classe; nello stesso tempo va anche tenuta in considerazione, per quanto possibile, la volontà della maggioranza."

 

Il ricorso contro la sentenza

 

La Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali stabilisce condizioni particolarmente rigorose per il ricorso alla Grande Camera, affidando il ruolo di filtro a un collegio di cinque giudici membri della medesima che lo accoglie solo "quando la questione oggetto del ricorso solleva gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi protocolli e anche una grave questione di carattere generale".

Gli articoli riportati di seguito richiedono quindi non proclami ma la massima attenzione anche dal punto di vista formale, a pena di rigetto del ricorso fin da prima dell’esame di merito.

           

Articolo 42 . Sentenze delle Camere

Le sentenze delle Camere divengono definitive conformemente alle disposizioni dell’articolo 44, paragrafo 2.

Articolo 43 . Rinvio dinnanzi alla Grande Camera

1 Entro un termine di tre mesi a decorrere dalla data della sentenza di una Camera, ogni parte alla controversia può, in   situazioni eccezionali, chiedere che il caso sia rinviato dinnanzi alla Grande Camera.

2 Un collegio di cinque giudici della Grande Camera accoglie la domanda quando la questione oggetto del ricorso solleva gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi protocolli, o comunque  un importante questione di carattere generale.

3 Se il collegio accoglie la domanda, la Grande Camera si pronuncia sul caso con sentenza.

Articolo 44 . Sentenze definitive

1 La sentenza della Grande Camera è definitiva.

2 La sentenza di una Camera diviene definitiva a quando le parti dichiarano che non richiederanno il rinvio del caso  dinnanzi alla Grande Camera; oppure tre mesi dopo la data della sentenza, se non è stato richiesto il rinvio del caso  dinnanzi alla Grande Camera; oppure se il collegio della Grande Camera respinge una richiesta di rinvio formulata ai sensi dell’articolo 43.

3 La sentenza definitiva è pubblicata.

Articolo 45 . Motivazione delle sentenze e delle decisioni

1 Le sentenze e le decisioni che dichiarano i ricorsi ricevibili o irricevibili devono essere motivate.

2 Se la sentenza non esprime in tutto o in parte l’opinione unanime dei giudici, ogni giudice avrà diritto di allegarvi  l’esposizione della sua opinione individuale.

Articolo 46 . Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze

1 Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali  sono parti.

2 La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione.

           

Conclusioni

 

            La delicatezza della vicenda suggerisce di evitare prese di posizione e previsioni a conclusione di uno scritto finalizzato soprattutto ad una minima messa a fuoco degli esatti  termini e delle motivazioni della sentenza, delle reazioni delle parti in causa e dell’opinione pubblica, di alcuni pertinenti riferimenti normativi e giurisprudenziali, della situazione di fatto e della disciplina del ricorso.

            L’unica osservazione proponibile, infatti, è che la sola tesi, per taluni addirittura irrispettosa, che il crocifisso rappresenterebbe prevalentemente un simbolo culturale, così come formulata dal Governo avverso la richiesta di rimozione del crocifisso esaminata nel giudizio di primo grado, abbia mostrato abbastanza la corda rispetto alle motivazioni poi utilizzate dalla Corte ai fini di una condanna con una unanimità quasi senza precedenti.

Di conseguenza è ragionevole ipotizzare, anche se non se ne conosce il testo, che l’attuale ricorso governativo (n. 30814/06) alla Grande Camera sia stato convenientemente corroborato con altre argomentazioni più pregnanti di quelle utilizzate nel giudizio di primo grado.

Diversamente da quanto ritenuto da taluni, pare infatti assai improbabile che le pronunce del TAR del Veneto del 2005 e del Consiglio di Stato del 1988, del resto già prese in esame dalla Corte e pur tuttavia ancora invocate da più parti ai fini della riforma della sentenza, possano influire più di tanto a livello di Corte europea in una vicenda chiaramente al di sopra del livello della giustizia amministrativa.

E se si tiene presente che l’ordinanza della Corte costituzionale del 15 dicembre 2004 n. 389, anch’essa richiamata da molti avverso la sentenza europea,  non ha affatto deliberato sul merito ma ha semplicemente dichiarato inammissibile la questione sollevata a suo tempo in quanto essa aveva per oggetto disposizioni regolamentari, sprovviste di forza di legge e come tali estranee alle competenze del Giudice delle leggi, è ancora più evidente quanto sia indispensabile la conoscenza dei contenuti del ricorso già presentato dal Governo per azzardare un qualsiasi pronostico.

Non sembra del tutto peregrina, semmai, l’ipotesi che la eventuale conferma della attuale sentenza possa avere come conseguenza anche la necessità della trasformazione dell’ora di religione nelle scuole in ora di storia delle religioni, naturalmente nei tempi lunghi occorrenti anche per l’adeguamento dei Patti lateranensi attualmente in vigore.

In tutta la vicenda, qualunque ne sia l’esito, senza dubbio la parte meno influente sull’atteso  giudizio di secondo grado sembra invece quella dei numerosi proclami e delle tante iniziative di enti locali, associazioni o singoli credenti, in parte discutibili ma per lo più sintomatiche di convinzioni meritevoli di ogni rispetto.

Nella attuale fase del giudizio la questione del crocifisso, non va dimenticato, prescinde totalmente dalle pressioni e dalle passioni di parte, in quanto estranea sia alla politica  che agli organi legislativi nazionali.

Il nodo da sciogliere consiste infatti unicamente nella verifica tecnico-giuridica , ad opera di una Corte sovranazionale, della rispondenza della legislazione italiana a principi di diritto internazionale liberamente sottoscritti con l’adesione alla Corte europea dei diritti dell’uomo, al cui esito - in caso di conferma della sentenza impugnata - non è dato di intuire cos’altro possa conseguire se non l’obbligo di adeguarvisi, con le necessarie modifiche del diritto interno, ovvero l’alternativa  dell’uscita dal Consiglio d’Europa.

Vero è, infatti, che in una libera Repubblica é lecito a chiunque di pensare quello che vuole e di dire ciò che pensa” ma “se ciascuno avesse la libertà di interpretare a proprio arbitrio il diritto pubblico, nessuno Stato potrebbe sussistere”. (Baruch Spinoza, filosofo olandese)

 

 

Luigi Pinelli

 

18 novembre 2009

 

 

 

 

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