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Il ruolo delle assemblee elettive: Dinelli risponde a Rossetti

di Maurizio Dinelli

Ho letto con interesse la nota di Antonio Rossetti sulla questione dell’elezione diretta e delle competenze dei consigli comunali, provinciali e regionali. Ma credo che la stessa discussione si possa fare anche per il Parlamento, visto che da molti anni lo stesso Onorevole Fini sostiene il presidenzialismo, ossia l’elezione diretta del presidente del Consiglio (o della Repubblica, a seconda dei modelli scelti).

Sono tutte degne di attenzione le questioni poste da Rossetti, pressioni “sull’uomo solo al comando”, chiusure a riccio per evitare il ritorno alle urne, liste chiuse senza collegi uninominali o preferenze, ma ve ne sono altri ancora che per motivi di spazio non è possibile elencare. Ne aggiungo solo uno che è quello più volte denunciato a livello nazionale anche in libri di successo, la totale mancanza di controlli su un mondo che è sorto in assenza di politica dal 1993 in poi ed ancor oggi è in espansione, quello delle partecipate da enti locali, aziende per lo smaltimento dei rifiuti, per la gestione del servizio idrico, per i trasporti pubblici, per il riscaldamento ed altro ancora. E’ un universo che ha un fatturato e un numero di occupati di assoluta rilevanza a livello nazionale, anche con società quotate in borsa. Su tutte queste non esiste il minimo controllo e la trasparenza è affidata al fai da te, perché quell’impero di nomine è affidato solo al Sindaco, o al presidente di Provincia o Regione di turno.
Questo è antidemocratico, perché quelle aziende rappresentano il patrimonio della comunità, sulla quale i consigli comunali, provinciali e regionali devono avere la possibilità di vigilare. Ad oggi così non è e non si vede all’orizzonte nessuna legge sui servizi pubblici in grado di restituire trasparenza a un settore che agli occhi dei cittadini è diventato un triangolo delle bermude, con assunzioni senza concorso, appalti senza gara, promozioni interne senza graduatorie.

Intendiamoci questo è il modus operandi delle società private, ma lì esistono proprietari che investono denari propri e si assumono il rischio d’impresa. Nelle aziende pubbliche il rischio ricade sul patrimonio dell’Ente Pubblico e il danno o il beneficio si vede quando chi (Sindaco o Presidente) ha fatto nomine sbagliate o giuste non è più alla guida dell’Ente stesso.

Condivido quindi la necessità che riprenda il cammino -interrotto nel 1993 con tangentopoli, che spazzò via un’intera classe dirigente politica nel Paese- su una questione che è fondamentale per la democrazia. Questo dibattito è interessante e può proseguire su Fucina con maggior credito, a mio giudizio, se vengono anche presentate delle proposte, poiché su queste credo che esistano differenziazioni tra diversi modi di concepire la politica e l’amministrazione.

Restituire dignità alle assemblee elettive non può significare l’abolizione dell’elezione diretta, che contribuirebbe al ritorno ai veti incrociati e agli scambi clientelari, che pure esistono anche dopo il 1994, ma molti aggiustamenti possono essere fatti, a partire dagli assessori che devono restare consiglieri per non diventare ostaggi del Sindaco e del Presidente. L’approvazione delle nomine negli enti e la possibilità di ingabbiare i principali atti di Giunta in indirizzi obbligatori dei consigli, possono essere elementi di bilanciamento, forse non sufficienti, ma certo significativi.

Non credo invece sia corretto e compatibile con l’elezione diretta l’istituto della sfiducia costruttiva, cioè la possibilità per il consiglio di sfiduciare Sindaco o Presidente indicando un sostituto e una nuova maggioranza consiliare.

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