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A colloquio con Viktor Zaslavsky a vent'anni dalla caduta del muro di Berlino - L'insostenibile pesantezza dell'impero sovietico

di Andrea Possieri

La caduta del muro di Berlino, il 9 novembre del 1989, rappresenta uno spartiacque fondamentale nella storia politica del Novecento. Segna la fine di un'epoca, della contrapposizione tra il modello liberal-democratico supportato da un'economia di mercato e il modello marxista-leninista a economia pianificata, e identifica anche l'inizio di una nuova fase delle relazioni internazionali. Un cambiamento epocale che investì la geografia politica mondiale innescando una serie di processi a catena, tra i quali la riunificazione della Germania e il collasso dell'Unione sovietica (Urss). Due storici mutamenti politici raggiunti nel volgere di pochissimo tempo e, fatto non secondario, senza spargimento di sangue.
Ne parliamo con Viktor Zaslavsky, docente di Sociologia politica presso la Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli (Luiss) di Roma, autore di molti studi sulla storia dell'Urss e dei rapporti fra il Partito comunista italiano e l'Unione sovietica, e, soprattutto, ex cittadino sovietico che nel 1974 venne espulso dall'Urss.
"Non ho fatto niente di particolarmente eclatante per essere espulso - afferma pacatamente Zaslavsky - non ero un dissidente ma solo un intellettuale che pensava con la propria testa. E anche questo era potenzialmente pericoloso per un regime come quello sovietico. Soprattutto nella città in cui vivevo, Leningrado, dove esisteva un rigido controllo ideologico".

A distanza di venti anni da quel 9 novembre del 1989 possiamo tracciare un primo bilancio di quello storico evento. Che cosa ha significato la caduta del muro di Berlino?

La caduta del muro di Berlino rappresenta il simbolo del crollo del comunismo. O meglio, è una sintesi politico-simbolica di tutti i processi che si innescano nel biennio 1989-1991. Quello che accade in questi anni, infatti, è il risultato di almeno due processi tra loro strettamente collegati, ma allo stesso tempo molto differenti. Prima di tutto avviene il crollo del sistema sovietico e, poi, il crollo dell'impero sovietico. Il sistema sovietico è entrato in crisi a causa dei propri limiti strutturali ed è arrivato al collasso proprio a ragione di questi difetti congeniti alla natura stessa del regime. In altre parole, il sistema sovietico è crollato a causa della propria inefficienza, dello spreco di ingenti risorse economiche e dello sperpero di moltissime energie umane. In definitiva, il regime sovietico è imploso schiacciato dalle stesse contraddizioni che lo alimentavano: un sistema politico con un regime monopartitico; un sistema economico con una rigida pianificazione centrale e una colossale militarizzazione della vita sociale. Queste tre caratteristiche della società sovietica hanno portato al collasso dell'Urss.

Seppellendo il mito-modello dell'Urss che per decenni ha fatto proseliti in tutto il mondo.

Nel biennio 1989-1991 non è soltanto crollato il muro di Berlino, con tutte le sue conseguenze in ambito internazionale, ma è anche crollato, dimostrando la sua impossibilità di sopravvivere, il sistema sovietico inteso come modello politico alternativo a quello liberal-democratico. Se vogliamo usare le parole dell'epoca è crollato il modello politico del "socialismo realizzato" segnandone, una volta per tutte, il fallimento.

Il sistema sovietico, quindi, crolla per un collasso sistemico. Quali sono le cause, invece, che portano all'esaurimento dell'impero sovietico?

Il crollo dell'impero sovietico è collegato alla crisi del sistema sovietico ma necessita di un altro angolo di visuale per essere spiegato. Prima di tutto, bisogna specificare che quando parliamo di Unione sovietica ci riferiamo a due tipi di impero: uno interno ai propri confini e uno esterno, che si estendeva principalmente nei Paesi dell'Europa orientale, e rappresentava la grande conquista della seconda guerra mondiale. Dopo la conclusione del conflitto - che ha sancito il predominio sovietico su un vastissimo territorio che spaziava dall'area danubiano-balcanica e arrivava fino ai Paesi baltici - l'impero esterno è stato mantenuto da due fattori. Prima di tutto dalla forza militare. E per capire la capillarità e la pervasività della presenza militare sovietica è sufficiente ricordare, a titolo di esempio, che sul territorio della Germania orientale, che aveva una popolazione di soli 17 milioni di abitanti, erano presenti qualcosa come 355.000 militari sovietici, con un potenziale bellico formidabile costituito da carri armati, trasporto truppe corazzati, aerei e tutto l'arsenale militare sovietico. Si trattava quindi di un esercito enorme. Tuttavia, oltre alla presenza militare c'è anche un altro elemento che ha avuto un peso fondamentale nei rapporti tra i Paesi del blocco sovietico e l'Urss: i sussidi economici che l'Unione sovietica corrispondeva alle cosiddette democrazie popolari. Ed è proprio questo fattore che entra in crisi alla fine degli anni Ottanta.

E che quindi anticipa i fatti del 1989.

Il crollo dell'impero esterno iniziò nel 1987 quando questo tipo di aiuti - soprattutto risorse energetiche vendute a prezzi assolutamente inferiori rispetto ai prezzi del mercato mondiale - rappresentarono un fardello che l'Unione sovietica non era più in grado di sopportare. Il tentativo di creare un mercato interno al blocco socialista, praticamente mantenuto dai sussidi sovietici, era del tutto insostenibile per l'Urss. Dopo due anni di perestrojka, dunque, ci si accorse che il sistema stava crollando. Da un lato, Mosca non poteva permettersi di vendere queste risorse energetiche a un prezzo che, molto spesso, rappresentava soltanto una piccola frazione del costo sul mercato mondiale, dall'altro lato, i Paesi dell'Europa orientale erano costretti a volgere il proprio sguardo verso Occidente. Di conseguenza, veniva a mancare uno dei fattori che legava i Paesi dell'Europa orientale all'Urss.

Si può affermare, quindi, che anche da parte dell'Urss esisteva una volontà di modificare le relazioni internazionali con i Paesi del blocco orientale?

Molti hanno detto, e ancora oggi lo sostengono, che Gorbaciov non era consapevole dei possibili risultati della sua politica in Europa orientale. In realtà, non è proprio così. Gorbaciov ripeteva regolarmente ai suoi collaboratori vicini - e lo ripeté poi nel luglio 1991 anche a Helmut Kohl - una frase memorabile a proposito dei rapporti tra Urss e i Paesi dell'Europa orientale: "Loro sono stufi di noi ma anche noi siamo stufi di loro".

Una ammissione dello stato di crisi?

Direi piuttosto uno stato di intolleranza reciproca. Nella vita di molti imperi arriva il momento in cui la periferia diventa un fardello, un peso inutile e non più una conquista. In quel momento, per l'Unione sovietica era praticamente impossibile mantenere la periferia dell'impero, ovvero l'Europa orientale.

In questo contesto, che ruolo ha avuto un Papa come Giovanni Paolo II?

Entro i confini della Polonia, che era uno dei Paesi chiave del Patto di Varsavia, Giovanni Paolo II ha avuto un ruolo straordinario. La sua elezione a Papa ha prodotto una esplosione di entusiasmo, di patriottismo e di orgoglio nazionale che per un certo periodo ha cancellato tutta la paura accumulata nei decenni precedenti di dominio assoluto del partito unico e del suo apparato repressivo. La Chiesa cattolica in Polonia ha rappresentato, senza dubbio, la base attorno a cui si è coagulata tutta l'opposizione al regime. Non c'è niente di simile, invece, in Unione sovietica dove la Chiesa ortodossa è stata sempre, non solo schiacciata, ma completamente soggiogata dallo Stato-partito. In Polonia non è stato così, per cui il ruolo del Papa è stato grandioso.

La Polonia richiama subito alla mente il massacro di Katyn.

Quella strage è uno di quegli eventi paradigmatici della storia del Novecento che, purtroppo, è ancora scarsamente conosciuto. Di recente, in una trasmissione televisiva, un conduttore ha chiesto a un gruppo di giovani se conoscevano la tragedia del campo di concentramento di Auschwitz e tutti hanno saputo rispondere. Dopodiché, quando il medesimo presentatore ha chiesto agli stessi ragazzi se conoscevano Katyn nessuno di loro sapeva di cosa si stesse parlando. Nessuno era a conoscenza dell'uccisione di migliaia di cittadini polacchi, tra militari e civili, nella primavera del 1940, per mano delle truppe sovietiche che nel settembre del 1939 avevano invaso la Polonia.

Un'invasione, è bene ricordarlo, preceduta il 23 agosto del 1939 dal patto Molotov-Ribbentropp, ovvero dall'alleanza tra Unione sovietica e Germania nazista.

Nell'ambito del dibattito sui totalitarismi e sui sistemi totalitari del XX secolo il massacro di Katyn rappresenta un caso emblematico di pulizia di classe, mentre Auschwitz si configura come un caso di pulizia etnica. Due politiche gemelle che accomunano il totalitarismo nazista e quello sovietico.

La caduta del muro, infine, oltre all'Europa dell'est influenza notevolmente anche lo scenario politico occidentale. Pensiamo, per esempio, all'unione della Germania. In Italia quali ripercussioni ebbe sul sistema politico?

In Italia il crollo del muro di Berlino ha una conseguenza diretta e immediata: la fine del Partito comunista italiano, il più grande partito comunista d'Occidente. Il 9 novembre del 1989 vengono aperti i varchi del muro di Berlino e pochissimi giorni dopo il segretario del Partito comunista italiano (Pci), compie la cosiddetta svolta della Bolognina che porterà, nel volgere di poco più di un anno, alla nascita di un nuovo partito, il Partito democratico della sinistra. Il Pci, nel corso della sua storia, aveva avuto diverse possibilità di staccarsi dall'Unione sovietica. Per esempio nel 1956 dopo la rivolta in Ungheria o nel 1968 dopo la Primavera di Praga. Rivolte popolari contro i regimi comunisti entrambe soffocate con forza dall'Armata rossa. Tuttavia, in nessuna di queste occasioni il Pci ebbe la forza e la volontà di compiere un atto politicamente importantissimo: rompere definitivamente il legame con l'Unione sovietica. Questo distacco, purtroppo, è avvenuto solo all'ultimo momento, dopo il crollo del muro di Berlino, quando, ormai, non c'era più niente da spezzare.

(da L'Osservatore Romano - 7 novembre 2009)

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