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Norberto Bobbio: un ricordo.

di Andrea Talia.

Ripercorrere, ancorche' brevemente, il pensiero, gli scritti, l'esistenza di N. Bobbio, e' intrapresa che farebbe tremare "le vene e i polsi" a uomini di cultura ben piu' attrezzati, del redattore di questa Nota.
Pur con questi limiti, l'approssimarsi del centenario (1909-2004) della nascita del Nostro (18 ottobre), mi induce a qualche riflessione sullo studioso torinese.

Figura indubbiamente poliedrica: professore, filosofo, giurista, politico, editorialista.
Una personalita' straordinaria che ha attraversato da protagonista un secolo, tra i dilemmi dell'uomo moderno, atteggiandosi come:
- un Maestro di liberta' e giustizia;
- un intellettuale libero, profondo, aperto al dialogo e al confronto;
- una coscienza critica della nazione;
- in sostanza, un punto di riferimento imprescindibile per la cultura liberal-democratica in Italia e in Europa.

Si oppose alla dittatura fascista; scosse le certezze del liberalismo di Croce; richiamo' duramente i marxisti al rispetto della teoria e pratica della liberta'; polemizzo' con i socialisti per il loro dogmatismo prima e pragmatismo dopo; non condivise il passaggio alla c.d. seconda repubblica e l'avvento del berlusconismo.

Testimone militante in una societa' percorsa da grandi movimenti politici e accesa dalle battaglie per la democrazia. Nel tempo della sua vita, sono nati e morti il Pci e la Dc.

Il Professore ("La mia attivita' piu' importante".)

Norberto Bobbio ha insegnato per tutta la vita: dal primo dicembre del 1935 (incarico di Filosofia del Diritto.) Tappe: Universita' di Camerino, Siena, Padova; approdo a Torino (Filosofia del Diritto e Filosofia della Politica) come successore del suo maestro Gioele Solari. Il 16 maggio 1979 (cattedra di Filosofia della Politica) tiene l'ultima lezione, citando Max Weber: "La cattedra universitaria non e' ne' per i demagoghi ne' per i profeti".
Si e' occupato, inoltre, di storia del pensiero politico e di storia della cultura.

L'insegnamento fu inteso dal Maestro come "funzione civile": cioe' non indottrinamento/convincimento degli allievi alle proprie "verita'", ma come capacita' di "innalzare i problemi di natura politica (e piu' ampiamente sociale) a questioni filosofiche (o culturali in senso ampio), in ultima analisi a questioni di coscienza".

Quel metodo era relativamente semplice nella sua struttura, anche se non facile da praticare.
Le linee portanti sono costituite:
- "dall'arte della chiarezza": precisione, trasparenza, intelligibilita' del linguaggio. Diffidava, per questo, delle fumisterie metafisiche in filosofia, e della retorica in politica;
- dalla "lezione dei classici". Ricorso sistematico alle fonti del pensiero - che per il suo campo disciplinare - si chiamavano Hobbes, Locke, Kant, Hegel, Weber. Autori cui ha dedicato numerosi corsi;
- dalla pratica sistematica del dubbio, e la tolleranza verso le idee altrui derivanti non da un relativismo senza principi, ma dal rifiuto di ogni assoluto. Dalla consapevolezza, tutta laica, della provvisorieta' delle nostre "certezze". Premessa fondamentale dell'onesta' verso gli altri e verso se stesso.

Laicita' - per Bobbio - vuol dire distinguere fra diritto e morale, sentimento e ragione, legge e passione. L'insegnamento di Bobbio - anche su questo versante - e' andato disperso. Viviamo oggi in una temperie culturale assai poco laica, funestata dai fondamentalismi religiosi, come da quelli aggressivamente atei. E cosi', su di un piano, si confondono politica e morale; sull'altro, il sistema politico regredisce a "una barbarie premoderna, cancellando progressivamente secoli di civilta' liberale che aveva elaborato controlli e garanzie per impedire abusi di potere" (cosi' C. Magris).

"Maestro ideale", Bobbio, anche per una capacita' di ascolto e di attenzione, peraltro assai rara, nel panorama culturale; un cuore generoso, ricco di affetto e amicizia, di ironia e autoironia.
Bobbio ha insegnato che la battaglia del pensiero e' talora pure una battaglia contro la propria passione, ma sempre nutrita di passione, anche quando deve dolorosamente dominare quest'ultima. Egli, pur difendendo i valori "freddi" della democrazia (voto, garanzie giuridiche, regole), sa che essi sono meno appassionanti dei valori "caldi" del sentimento, degli affetti, degli amori.

Non e' quindi un "moralista". Come e' stato acutamente rilevato (M. Revelli), nel "complesso gioco tra Valori e Potere, tra Morale e Politica, non scioglie unilateralmente il dilemma sul primo versante.
Al contrario: mantiene programmaticamente aperta la diade".
E, in effetti, se si attraversa analiticamente la produzione scientifica e intellettuale di Bobbio, infinite sono le dicotomie:
Etica e Politica; Democrazia e Dittatura; Pace e Guerra; Eguaglianza e Liberta'; Politica e Cultura; Destra e Sinistra, per limitarsi solo ai titoli di alcuni fra i suoi piu' celebri scritti.

Non e' quindi un intellettuale "Profeta"; ma un intellettuale "Mediatore", impegnato nella difficile arte del dialogo, della ricomposizione peraltro non unanimistica ne' compromissoria, e del civile confronto.

"Ho aperto molte questioni e non ne ho chiusa nessuna"! E' questa l'amara autoconfessione di Bobbio, consapevole che ogni scelta ha un residuo di negativita' che prima o poi ci si trovera' di fronte.

Il Filosofo (Il principio minimo della democrazia)

Bobbio filosofo fu influenzato soprattutto da due grandi autori, Thomas Hobbes e Hans Kelsen.
- Attraverso Hobbes, autore del Leviatano, Bobbio approccia realisticamente, nei diversi saggi che vi ha dedicato, il problema dello Stato e delle leggi: Egli polemizza - proprio in nome del realismo - contro le teorie del diritto naturale.
IL giusnaturalismo gli appare inficiato da due grandi limiti: da un lato in quanto parlare di un diritto di natura, significa riferirsi a teorie molteplici e eterogenee con esiti contraddittori; dall'altro, in quanto siffatto diritto passa dalla descrizione (per esempio della natura dell'uomo) alla prescrizione (se sei cosi', devi agire cosi'; ma perche' mai?)
Hobbes ha insegnato che lo stato di natura e' solo quello in cui non vi sono leggi; una tale condizione non fornisce quindi nessun modello normativo. La solo cosa che puo' fare l'uomo e' cercare di uscirne conferendo ad un sovrano il monopolio dell'uso della forza. Cosi' nasce lo Stato, il Leviatano (il mostro bibblico) inventato a scopo di sopravvivenza.

Bobbio e' affascinato da questa teoria. Il Leviatano e' sostanzialmente - anche per Bobbio - il detentore del monopolio della forza legittima, dacche' fondata sul consenso dei cittadini;
- di Kelsen, utilizza il positivismo giuridico. La teoria cioe', secondo cui, la validita' delle leggi non dipende da un qualche valore di base, ma solo dalla coerenza formale di un sistema di norme. Queste idee hanno sostanziato, tra l'altro, la critica di Bobbio dell'ortodossia comunista. In siffatto passaggio, accomunato (negli anni Cinquanta) a Nicola Abbagnano e a Ludovico Geymonat;
- come neo-illuminista, si batte, infine, per la difesa dei diritti dell'uomo in uno dei suoi ultimi libri

IL Giurista (Il positivista inquieto)

La visione di Bobbio, sotto il profilo giuridico, sottende una concezione rigorosamente dualistica. Ricordo che "dualisti" sono coloro che ascrivono i fatti e i valori umani a due sfere distinte; coloro che ritengono il mondo dell'essere diverso da quello del dover essere. Dire che un fatto e' compiuto non significa che dovesse esserlo; dire che deve essere compiuto, non significa che lo sara'. I fatti non sono valori; i valori non sono fatti.
Queste semplici proposizioni sono a fondamento del positivismo giuridico. Concezione portata al massimo grado di elaborazione formale da Hans Kelsen e diffusa in Italia, con decisivo contributo, proprio dal Prof. Bobbio che ha dedicato ad essa corsi universitari (La norma giuridica, 1950; L'ordinamento giuridico (1950) e saggi memorabili raccolti nel volume Diritto naturale e positivismo giuridico, 1965.

Bisogna quindi distinguere diritto e morale. Confondendo i due piani, da un lato si "moralizza" il diritto; dall'altro lato, si "giuridicizza" la morale, riducendola a una precettistica che ne spegne la forza critica.
Peraltro, distinguere non e' separare. Ma solo distinguendo, e' possibile tenere le norme sotto la tensione di un'istanza etica, sottoponendole al vaglio, alla critica e perfino alla resistenza della coscienza e della ragione. Per impedire che la dimensione solo giuridica della vita collettiva diventi totalizzante.
Un crinale (apparentemente) molto semplice che esclude sia il rifugio nel dogma di un diritto naturale proclamato da pulpiti autoritari, sia l'accettazione acquiscente della forza legittimante del fatto compiuto.

Questa concezione (si e' parlato di "scuola giuridica torinese" con Bobbio capofila e Alessandro Garrone, Renato Treves e Uberto Scarpelli seguaci e, a loro volta, illustri giuristi e storici) si e' rivelata necessariamente minoritaria, in una societa' come la nostra, che declina (solo) in massa le proprie responsabilita'.
Da qui, il dileggio e perfino l'astio, l'accusa di moralismo ed elitarismo. Si dice infatti: sono pochi! E con cio'? Anzi, proprio per cio'. Sostiene G. Zagrebelsky (La virtu' del dubbio, 2007), gia' Presidente della Corte Costituzionale "Proprio per cio' questo spirito rimarra' vivo; in piccole cerchie, forse, ma rimarra'. Meno numerosi, piu' necessari sono".

Il Politico (Azionista sino in fondo)

L'itinerario di Bobbio, quale testimone storico e intellettuale impegnato nel dibattito pubblico si sostanzia (grosso modo) su due versanti:
- da un lato, propugna i principi del socialismo liberale, il rigore delle regole democratiche, la critica di ogni variante populista e leadership carismatica, il rifiuto di ogni tipo di dittatura, compresa quella della maggioranza; introduce Popper nella cultura italiana con un saggio sul Ponte su Societa' aperta e societa' chiusa (1946);
- dall'altro, difende puntigliosamente la tradizione resistenziale secondo gli schemi identificati dall'azionismo storico. Periodo resistenziale visto non semplicemente come evento storico-politico concluso, ma come criterio di misura della democrazia italiana come tale. Democrazia che l'intellettuale azionista Bobbio ha sempre visto gravemente carente, confrontata con le promesse mancate dalla Resistenza. Da qui la genesi di una polemica con De Felice. In realta', queste due personalita', decisive nel determinare il dibattito storico-politico del nostro tempo, non si sono mai davvero capite. Entrambi temevano che, al di la' delle buone intenzioni soggettive, si innescasse una deriva che ciascuno di essi considerava inaccettabile.
Bobbio temeva che il defelicianesimo portasse alla liquidazione di fatto del valore fondante della Resistenza. De Felice temeva che il bobbismo sacrificasse a un'ideologia radical-socialista la concretezza storica di una complessa vita nazionale.

In particolare, nel dopoguerra, la sua militanza si concentra su europeismo e pacifismo. Partecipa a convegni a Praga, Belgrado, Budapest, Varsavia, con lo scopo di stabilire contatti con quegli intellettuali che, nei regimi comunisti, riescono a mantenere indipendenza di giudizio.
Questo e' l'humus di Politica e cultura libro del 1955. Famoso l'incipit: "Il compito dell'uomo di cultura e' piu' che mai oggi quello di seminare dubbi, non gia' di raccogliere certezze". Sul primato della cultura, il filosofo dialoga con gli intellettuali comunisti (Bianchi Bandinelli, Galvano della Volpe, lo stesso Togliatti). Nel 1966 nasce il Tribunale Russel, fondato dal pensatore e pacifista inglese Bertrand Russel per processare i crimini contro l'umanita'. Ne diviene responsabile della sezione italiana.

In questo percorso si inserisce il turbine della contestazione sessantottina, con un risvolto personale: il figlio Luigi e' un leader del movimento studentesco.

Nel 1976 comincia una nuova attivita': editorialista de La Stampa.
Si dimostra un giornalista di razza. "Il migliore di tutti noi" per Giorgio Bocca.

C'e' anche un'appendice politica: dopo il congresso del Midas, che elegge segretario Craxi, il filosofo si impegna nel grande dibattito sui rapporti fra socialisti e comunisti. Peraltro si schiera con i dissidenti che sostengono Giolitti, in opposizione a Craxi, prima del congresso di Torino del 1978.
Rimando, per una maggiore comprensione dell'alternativa, al saggio "Quale socialismo? (1976, in cui Bobbio, sostiene che "nonostante tutto, v'e' chi continua a credere che la democrazia senza socialismo e il socialismo senza democrazia siano rispettivamente una democrazia e un socialismo imperfetti". Per Bobbio, in conclusione, le "dure repliche della storia" hanno dimostrato che sinora nessun sistema politico democratico e' approdato al socialismo, e nessun sistema socialistico e' governato democraticamente.
E conclude: "La democrazia, si e' detto, e' una via. Ma verso dove?".

In un saggio collettaneo (La questione socialista, 1987), Bobbio ritorna sul tema: "Il Psi sta diventando un partito di terza forza anche nelle idee, nelle proposte, nella mentalita'"; e, ancora, profeticamente, "la questione morale occupa sempre uno spazio piccolissimo nella dichiarazione dei leaders piu' autorevoli". ("Mani pulite" arrivera' piu' tardi!)

Gia' poi, nel 1984, dopo che Craxi, si era fatto eleggere per acclamazione al congresso di Verona, aveva pubblicato su "La Stampa" un micidiale attacco con un articolo intitolato "La democrazia dell'applauso".

In buona sostanza, da quanto abbiamo esplicitato, Bobbio non condivise il craxismo che aveva ideologicamente aperto un fronte polemico con il Pci, convinto che l'umiliazione dei comunisti italiani avrebbe comportato la cancellazione di uno dei soggetti fondamentali del patto costituzionale nato dalla Resistenza.
Siffatta contrarieta' attira (Del Noce, De Felice, Colletti, Galli della Loggia) sul filosofo l'accusa di "strabismo" nei confronti dei comunisti. Gli umori anti bobbiani vennero poi rinforzati dalla "scoperta", da parte del settimanale Panorama, di una lettera che il giovane Bobbio aveva indirizzato a Benito Mussolini. Quel lontano atto di sottomissione diventera', tra l'altro, motivo polemico in libri come quello di Marcello Veneziani su Sinistra e destra, 1995 (Bobbio, nel 1994, aveva pubblicato un fortunato saggio Destra e Sinistra, fondando la diade sull'uguaglianza e la disuguaglianza) e in riviste come Nuova storia contemporanea di Francesco Perfetti.

Bobbio accettera' di sottoporsi a una dolorosa confessione:
Pietrangelo Buttafuoco del Foglio, ne raccogliera' il senso di "vergogna" che a distanza di tanti anni attanagliava l'autore di quella lontana e insostenibile lettera.

Il 18 luglio 1984 il Presidente Pertini lo nomina Senatore a vita (con lo scrittore Carlo Bo). Si iscrive come indipendente al gruppo socialista. "In Parlamento - ammettera' - mi sono sentito come un pesce fuor d'acqua".

L'editorialista (i suoi libri)

La produzione saggistica di N. Bobbio e' sterminata e straordinaria.
I suoi scritti, censiti ad oggi, risultano ben 4803, comprese 457 interviste e 128 volumi pubblicati.
E' uscito, mentre scriviamo questa Nota, un volume (Etica e politica) che comprende, in una sorta di summa, vari suoi scritti.
Chi poi voglia rendersi conto del prestigio internazionale del filosofo, non deve fare altro che consultare i cataloghi delle biblioteche americane, inglesi, spagnole, portoghesi, latinoamericane, francesi e tedesche.

Il magistero di N. Bobbio si irradio', oltre che dalla cattedra universitaria, dalla cattedra giornalistica. Diverse le raccolte dei suoi scritti per quotidiani: in primis, "La Stampa", la cui lunga collaborazione termino' il 25 aprile 1996. "Mi sembra una bella data, dopo vent'anni, per smettere. D'altra parte, io sono un uomo della Prima repubblica. Con la seconda, come la chiamate voi, non mi ci trovo, non la capisco, non mi piace".

In effetti, non poteva apprezzare la logica di ferrei schieramenti, che non prevedono dubbi, sfumature, chiaroscuri, tipica di questi tempi.

Norberto Bobbio non ha mancato, poi, di sciogliere il suo debito verso le bussole che gli hanno consentito "di navigare nel gran mare della storia senza correre il rischio di tornare ogni volta da capo", come disse riferendosi a Benedetto Croce.
Ecco allora la trilogia per l'editore Passigli: Maestri e compagni (1984, Italia Civile (1986) e Italia fedele (1986), omaggio quest'ultimo a Gobetti e al mondo del rivoluzionario liberale, scomparso esule a Parigi neppure venticinquenne.

Una sorta di galleria dell'Italia di minoranza, come la chiamava Giovanni Spadolini. Una sequela di figure esemplari: Croce, Leone Ginzburg, Calamandrei, Gioele Solari, Rodolfo Mondolfo, Aldo Capitini, Mario Pannunzio (tra gli altri).

Infine, Bobbio, dopo aver dedicato una sorta di "breviario" a Torino, la citta' natale, (Trent'anni di storia della cultura a Torino, 1977), ripercorre la sua parabola, privata e intellettuale, con l'Autobiografia (1997), non mancando, altresi', di fare i conti con se stesso con il saggio De senectute, 1996.

Un bilancio

Bobbio ci ha lasciato una lezione che abbraccia diversi scenari:
- la rivendicazione di un laicismo senza integralismi, rispettoso di chi ha il dono della fede, anzi, in virtuosa concorrenza con il cristianesimo sul piano del rigore morale e sull'impegno per una severa etica pubblica, sia dei governanti, sia dei cittadini;
- un concetto di democrazia ancorato a due sostanziali capisaldi: un sistema di regole, di procedure che permettano decisioni frutto di un libero dibattito e del calcolo della maggioranza; un costante controllo dell'opinione pubblica sul potere per assicurare la "visibilita'" contro le tentazioni delle scelte oscure (rimando al saggio "Il futuro della democrazia, 1984);
- una costante e tenace avversione al "craxismo", prima, al "Berlusconismo" poi, cioe' all'incarnazione in un'unica figura del potere economico, politico e culturale. Profeticamente, in un articolo su La Stampa del 22 ottobre 2000 (L'italica follia del partito personale") scriveva: "Proprio perche' non e' nato ieri, il partito personale, a differenza dei partitini, e' destinato a durare a lungo. Non tarderemo ad accorgercene". Ricordo poi un epigramma di Bobbio: Con Berlusconi siamo a questo punto a forza di farsi ungere e' l'Unto"; "critica liberale" (marzo 2004) ne ha poi raccolti gli scritti - dal 1994 al 2001 - su Berlusconi. Il titolo del fascicolo: "Democrazia precaria". ("Mi trovo spesso a domandarmi se il berlusconismo non sia una sorta di autobiografia della nazione, dell'Italia d'oggi");
- una emblematica rappresentazione (pur con tutti i suoi limiti) del decoro storico della Prima repubblica. La sua idea della politica suonava ostile alle sgangheratezze del presente. La sua riservatezza strideva con le necessita' esibizionistiche del nuovo ceto dei potenti; lo stile di vita austero con il lusso. Restava un uomo di cultura, amante della parola scritta, in un universo ormai quasi deltutto televisivo;
- una difesa strenua del primato delle istituzioni quando, quest'ultime, stavano ormai per essere travolte dalla televisione; oppure cercavano disperatamente una nuova legittimazione, aggrappandosi ai mondi vitali del consumo, della pubblicita', del calcio, dello spettacolo;
- la centralita' della ragione. "La nostra ragione non e' un lume: e' un lumicino. Ma non abbiamo altro per procedere in mezzo alle tenebre";
- il pessimismo dell'intelligenza. Si definiva infatti: "un deluso cronico". Chiude l'Autobiografia con queste parole: "La storia umana, tra salvezza e perdizione, e' ambigua. Non sappiamo neppure se siamo padroni del nostro destino";
- la pratica sistematica del dubbio e la tolleranza verso le idee altrui derivanti dalla necessita' di lasciare il pensiero aperto alle sfide della realta' e alla verifica empirica;
- la democraticita' dell'uomo, dotato di una capacita' di ascolto e di attenzione peraltro assai rara nel panorama culturale. Non v'era testo o manoscritto inviatogli che non ricevesse lettura e risposta; non v'era avversario in una polemica che non uscisse nobilitato nel trattamento riservatogli. In buona sostanza, un'antropologia della democrazia, in cui quell'antropologia, oggi, appare messa a dura prova (se non dissolta) dal culto del successo e dall'autocompiacimento populistico.

Scompare, in definitiva, con Bobbio l'ultimo grande maestro di democrazia di un'Italia civile che si allontana sempre di piu'.

Lucca, 26 settembre 2009

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