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Enciclica "Caritas in veritate" - Riflessioni iniziali di un percorso di studio.

di Mario Battaglia

“ La carità nella verità è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera”: sono le parole introduttive della nuova enciclica sulle questioni sociali della Chiesa cattolica, “Caritas in veritate”. E’ la “magna carta” della dottrina sociale della Chiesa alla prova del Terzo Millennio. E per la prima volta, si può affermare, che questa nuova enciclica sociale va all’attacco degli enormi problemi economici, sociali e politici presenti nel mondo.

Vorrei iniziare così, con questo primo contributo di impressione generale e limitatamente al capitolo introduttivo, un percorso di studio e di analisi dell’enciclica cercando di dare una lettura d’insieme sia teologica che etica.

Bisogna innanzitutto sottolineare le tesi di continuità che questo Papa ha voluto dare. Vi è un continuo riferimento alla Popolorum Progressio di Paolo VI (1967), dalla quale riprende l’intuizione di fondo: la chiave di volta per guidare lo sviluppo del pianeta diventa la globalità; le iniziative individuali non bastano più, ci vuole una visione d’insieme di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali, politici e spirituali. In misura minore, ma non meno importante, troviamo anche costanti riferimenti ai principali documenti del magistero sociale:
a) la Rerum novarum di Leone XIII (1891) che ha avuto il merito d’impostare la dottrina sociale della Chiesa nei suoi principi, confermati da quest’ultima enciclica;
b) la Quadregesimo Anno di Pio XI (1931) la quale sottolinea come la rivoluzione industriale abbia raggiunto una dimensione “plenaria” in quanto sta investendo l’umanità intera e formula e sviluppa il fondamentale principio di sussidiarietà;
c) la Pacem in Terris di Giovanni XXIII (1963) dove si parla di “bene comune universale” e si chiede la nascita di “una autorità politica mondiale”;
d) la Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II (1965) che rappresenta l’orizzonte dei nuovi rapporti tra Chiesa e mondo, elaborando un concetto di sviluppo in termini pienamente umanistici;
e) la Humanae Vitae di Paolo VI (1968) perché affronta la grande questione della crescita demografica e del controllo delle nascite;
f) la Octogesima adveniens di Giovanni Paolo II (1981) che tratta le questioni nuove come le comunicazioni sociali, il ruolo della donna, il degrado ecologico, l’urbanesimo e le discriminazioni;
g) la Laborem exercens di Giovanni Paolo II (1981) che parla del lavoro umano inteso come la chiave di volta fondamentale della questione sociale, affronta il rapporto tra famiglia e lavoro e introduce distinzioni concettuali tra lavoro soggettivo e oggettivo;
h) la Sollecitudo rei socialis di Giovanni Paolo II (1987), una sorta di primo bilancio dello “sviluppo dei popoli” avvenuto dalla “Populorum Progressio”, e pervasa da un senso di sconfitta davanti al fallimento delle speranze di vent’anni prima: il divario tra i ricchi e poveri è in costante aumento e il quadro si è reso più complesso. C’è ormai un sottosviluppo anche nei paesi del supersviluppo, come esistono nei paesi poveri centri di ricchezza oligarchici che suscitano scandalo. L’enciclica elabora pertanto la categoria teologica delle “strutture di peccato” e stabilisce con grande chiarezza cosa sia la dottrina sociale della Chiesa;
i) la Centesimus Annus di Giovanni Paolo II (1991) che pone al centro delle questioni sociali il problema di Dio e chiede un impegno di tutti per un nuovo modello di sviluppo fondato sulla trascendente dignità della persona umana. L’enciclica affronta poi i temi della democrazia relativista nell’Occidente, della crisi dello Stato assistenziale, della cultura della nazione, dello sviluppo della società civile, del consumismo e della necessità di stili di vita nuovi, delle nuove forme di alienazione e allontanamento da Dio. Considera il profitto un valido sintomo del benessere dell’azienda ma non l’unico, chiede che si lotti per una vera ecologia umana, a cominciare dalla famiglia, desidera che l’uomo non sia schiacciato tra il mercato e lo Stato, sostiene che la maggiore risorsa per l’uomo è l’uomo stesso;
l) infine, potremmo ricordare tanti altri importanti documenti citati nell’enciclica di Benedetto XVI, quali i vari Messaggi per la giornata mondiale della pace, il Catechismo della Chiesa cattolica ed altro ancora, segno di una totale continuità con i suoi predecessori, di cui Benedetto XVI condivide i principi, metodi e azioni ancora oggi fondamentali per orientarsi nelle profonde trasformazioni economiche e sociali di questo inizio di secolo.

L’enciclica “Caritas in veritate” è, pertanto, una enciclica di “avanzamento sicuro della dottrina” (nel corposo magistero sociale della Chiesa), ma al tempo stesso di “persistente denuncia morale” (nella sempre e poco regolata economia globalizzata): riprende le tematiche sociali emerse nell’ultimo secolo, le rilegge nel radicamento alla Parola di Dio, perché si possa arrivare a dire e a concretizzare che “un altro mondo è possibile”. Benedetto XVI afferma che non esistono due dottrine sociali una preconciliare ed una postconciliare, ma un’unica dottrina sociale della Chiesa. Leone XIII o Pio XI non si erano sbagliati.
Quanto alla visione d’insieme da cui partire, il Papa chiarisce con maggior nettezza che è la prospettiva biblico-teologica da cui iniziare e non qualche categoria sociologica: la carità e la verità inscindibilmente unite sono la via maestra della dottrina sociale della Chiesa, principio di tutte le relazioni tra le persone, ma anche nell’economia e nella politica. Tanto è, che potremmo tranquillamente intitolarla “Veritas in caritate”, come riportato nella stessa enciclica citando S. Paolo (Ef 4,15).

In questo senso l’enciclica si rivolge a tutti ed è un vero esame di coscienza per tutti! Nel capitolo introduttivo il Papa ci chiede proprio di verificare l’autenticità delle macro-relazioni (i rapporti sociali, economici, politici), la veridicità della “comunicazione-comunione” (i rapporti mediatici), l’impegno per la “giustizia e il bene comune” nella costruzione, non solo della “città del’uomo”, ma anche della “città di Dio” . La evidente matrice agostiniana rimanda così alla prospettiva escatologica biblica: lo sviluppo della famiglia umana, non può e non deve essere fine a se stesso, ma “segno efficace ed operativo” dell’edificazione dell’universale “Regno di Dio”. E’, pertanto, un’enciclica coraggiosa, non apologetica, che parla con chiarezza e libertà dei guasti che abbiamo provocato alla terra e ai suoi abitanti, laddove si è dimenticato Dio. Il Papa pone con forza, già dalle prime pagine, nel modo più radicale il tema di “Dio nel mondo”, ossia se il cristianesimo sia utile, se non indispensabile alla costruzione di un vero sviluppo umano. Il Papa pensa che sia indispensabile e questa enciclica prova a delineare alcuni percorsi.

Il mondo, secondo la “Caritas in veritate” non è solo da accompagnare nel dialogo e mediante una carità senza verità, ma è da salvare mediante la carità nella verità e da orientare attraverso la verità nella carità, “Veritas in caritate”.

Lucca, 4 agosto 2009
Mario Battaglia

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