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Come la crisi delle relazioni influenza l'economia - Una malattia della società occidentale

di Leonardo Becchetti

L'ipotesi di una malattia delle relazioni che affligge il mondo occidentale trova sempre nuovi riscontri.
Il tempo medio dedicato alla famiglia nel Regno Unito è, secondo i dati di un recente sondaggio nazionale, di quarantacinque minuti al giorno, venti dei quali passati davanti alla televisione. La laicissima Gran Bretagna guarda con preoccupazione a questo fenomeno che disgrega il suo tessuto sociale. Con un investimento relazionale così basso (inferiore di almeno tre o quattro volte ai livelli italiani) non sorprende che i tassi di separazione e divorzio siano enormemente superiori a quelli di altri Paesi.

Gli studi econometrici sulle determinanti della soddisfazione di vita, che rappresentano un nuovo promettente filone dell'economia, documentano come queste tendenze di crescente fallimento delle relazioni abbiano effetti fortemente significativi e negativi sulla felicità in quasi tutti i Paesi, contribuendo a spiegare il paradosso della scarsa correlazione tra sviluppo economico e soddisfazione di vita.
Il meccanismo - che, sia ben chiaro, non dipende da una correlazione diretta negativa tra denaro e felicità - funziona in questo modo:  le relazioni sono un bene molto fragile che va curato e coltivato con investimenti di tempo, ma il tempo investito in relazioni è sempre più conteso da opportunità occupazionali, ma anche di tempo libero non relazionale (la ricerca inglese cita tra le altre il jogging, la palestra, il navigare su internet, i videogame). Questo spiega il declino marcato di tutti gli indicatori di vita relazionale - dal successo dei rapporti affettivi, alla partecipazione alla vita religiosa, civile, politica e associativa in genere - e il contemporaneo aumento di peso dei settori economici del controllo e della sicurezza.

Parallelamente la moneta cattiva scaccia quella buona. Si diffondono surrogati relazionali che spiazzano le relazioni vere perché meno costosi in termini di fiducia e responsabilità. Il concetto stesso di relazione e di amicizia tende a divenire sempre più strumentale e strategico e finisce per essere confuso con la "propria quota di mercato", soprattutto per chi ha una maggiore visibilità pubblica ma anche per la gente comune (il numero di "amici" su Facebook diventa un indicatore di potere e di notorietà e non di relazioni di qualità).

Le conseguenze sono gravi non solo dal punto di vista della vita individuale ma anche di quella economica. Gli esperti di teoria dei giochi sanno benissimo che la risorsa fondamentale su cui si regge l'economia è la fiducia, perché la vita economica è fatta da un'innumerevole serie di "giochi di fiducia" e di "dilemmi del prigioniero" nel quale la fecondità produttiva dipende dalla fiducia che la controparte, nell'impossibilità di verifica e di controllo, non abuserà della mia apertura di credito nei suoi confronti. La stessa crisi finanziaria nasce da un vuoto di fiducia e di responsabilità, da una scissione tra etica e tecnica che, a sua volta, ha determinato un crollo di fiducia tra banche, imprese e cittadini che nel momento più acuto ha rischiato di paralizzare gli scambi e adesso rallenta i timidi tentativi di ripresa.

Sarebbe il caso di studiare a fondo, invece di reagire solo con paura e ostilità, i modelli di sviluppo cinese e indiano per verificare come in essi esista una profonda integrazione tra aspirazioni di aumento di benessere economico - quella spinta che portò al miracolo italiano degli anni sessanta - e coesione interna alla famiglia e al gruppo che garantisce qualità di relazioni e ammortizzatori sociali.
Le relazioni non sono sempre e necessariamente virtuose ed è ben noto che il loro valore sociale è molto maggiore in associazioni che gettano ponti, che hanno cioè come orizzonte il benessere di terzi che non fanno parte del gruppo, che in quelle che si preoccupano soltanto dei legami interni tra i loro membri (bonding groups). L'evidenza di oggi però è che la malattia delle relazioni ha fatto precipitare i Paesi del benessere al di sotto dei livelli di guardia, ovvero delle condizioni minime necessarie per la soddisfazione di vita individuale e il buon funzionamento della vita civile e sociale.
Non c'è alcun dubbio sul fatto che l'uomo sia essere relazionale e che tragga il senso e la sua soddisfazione di vita dal patrimonio di relazioni vere - fatte di fiducia e responsabilità verso l'altro - che gli consentono di amare e di essere amato. È tempo che gli scienziati sociali si convincano dell'urgenza del problema e includano negli elementi di valutazione delle scelte politiche gli effetti sulla qualità della vita relazionale individuale. I naufraghi del senso, privi di benessere relazionale di cui la nostra società è ormai piena non sono meno numerosi, ma soltanto meno visibili dei naufraghi che non riescono ad approdare sulle nostre rive in cerca di benessere economico. Abbiamo ancora un po' di tempo prima che i nostri momenti conviviali si trasformino in una corsa al frigo, ma c'è bisogno di una forte consapevolezza e lungimiranza nell'azione politica ed economica per evitare che la malattia delle relazioni diventi irreversibile.

(da L'Osservatore Romano - 4 giugno 2009)

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