logo Fucinaidee

Mazzini: intuizioni e attualita'
(La "morte della Patria")

di Andrea Talia

Un profilo.

Tra le icone del nostro Risorgimento, Mazzini appare il piu' defilato. Non ha il fulgore di Garibaldi, l'astuto realismo di Cavour, la baldanza dinastica di Vittorio Emanuele II. Eppure diversi contemporanei lo consideravano il piu' degno di ammirazione, e non pensavano che fosse, fra i tre, il meno efficiente.
Esule, per la maggior parte della sua vita, morto in incognito a Pisa con passaporto inglese. Pensatore lucido e incisivo, grande educatore, anticonformista, ma dall'etica irreprensibile. Coerente, tenace, lungimirante difensore del Repubblicanesimo e della democrazia (M. Viroli, Repubblicanesimo, 1999), quando queste forme politiche non erano in auge. Repubblicanesimo in senso classico, quasi plutarcheo, mantenendone viva la fiaccola. E cio' anche quando la vittoria della monarchia sembrava definitiva e irreversibile.

Mazzini si situa all'origine della prima grande stagione italiana del movimento operario e sindacale, dell'associazionismo cooperativo e mutualistico, delle leghe artigiane. Apostolo dell'indipendenza e della liberta' di tutti i popoli, fino all'India e all'Indonesia. Piu' di una generazione di giovani italiani si ispiro' alla sua visione, alla sua perseveranza, alla sua onesta' e al suo entusiasmo.
Pur tuttavia, Mazzini fu apprezzato senza riserve piu' in Inghilterra e in America, che in Italia. A loro volta, gli antifascisti italiani, rifugiati negli Stati Uniti, nel costituire una loro associazione, non esitarono a denominarla "Mazzini Society".

I riconoscimenti, come metteremo in luce successivamente, arriveranno molto piu' tardi, allorche' si sara' diradata, sulla memoria di Mazzini, una polvere anche nobile e gloriosa, ma mummificata e sepolcrale. Ci si accorgera', allora, che il mazzianesimo non e' mai sparito dalla scena storica, almeno come aspirazione.

Il pensiero.

Esaminiamo, la figura di Mazzini, da una triplice angolazione.
Come ideologo e teorico dei movimenti rivoluzionari; come educatore civile; come pensatore religioso.

1) Sotto il primo aspetto, Mazzini si accredita come un rigoroso rivoluzionario, spinto sino al sacrificio di se'. Volto ad "infangar con la voce" e "spegnere con il braccio" i tiranni e i traditori della causa.
Ha praticato e incoraggiato la guerriglia. Gli esiti, peraltro, furono tragici nel Meridione d'Italia (Fratelli Bandiera; Carlo Pisacane).

La Giovane Italia, piu' che un partito, era concepita come un "apostolato", un movimento semireligioso, i cui membri erano chiamati ad una vita di cooperazione e di abnegazione. Per noi la rivoluzione - scriveva il Mazzini nel 1858 - "e' un mezzo e non altro, mezzo ad un'opera educatrice, ad un progresso delle anime".
E nel 1862 "Ogni rivoluzione deve essere sociale, nel senso che sia suo scopo la realizzazione di un progresso decisivo nelle condizioni morali, intellettuali ed economiche della societa'" (Sullam, Fate della rivoluzione una religione, in Societa' e storia, fasc. 106).

Questo insistere, rigoroso, accanito, ininterrotto, su un'opera di trasformazione e di rinnovamento da realizzare "dal basso" nasceva da una visione austera e ascetica. Dai "Doveri dell'uomo": l'uomo democratico puo' essere tale soltanto se e' consapevole dei suoi diritti ma anche (e soprattutto) dei suoi doveri.

L'aureo libretto, adottato nelle scuole medie nel 1903, (Ministro Nasi; ispiratore Ernesto Nathan), fu peraltro "emendato". Non comparvero i passi antimonarchici e la dedica alle classi lavoratrici. Salvemini, da parte sua, considerava il saggio imbevuto di dogmatismo religioso.
I "Doveri" rappresentano una sorta di summa del pensiero mazziniano e si articolano in alcune "finestre": Dio, l'Umanita', la Patria, la liberta', l'associazione, l'educazione (in specie: quella morale). (S. Mattarelli, Dialogo sui doveri, Marsilio).

Altro tassello della "democrazia etica" di Mazzini: il solidarismo. Come antitesi da ogni illusione classista e internazionalista, non meno che da ogni suggestione egualitaria e anarchica.

Quanto quindi distinte le coordinate mazziniane dalle proposte rivoluzionarie di Marx! Dall'uno: una predicazione di amore, il sogno della solidarieta' delle classi, una dottrina di educazione e di elevazione morale.
Dall'altro (Marx chiamava, sarcasticamente, Mazzini, Teopompo, inviato da Dio) una ferrea legge economica, meccanica e meccanicistica.

Sorprendente poi l'assonanza degli argomenti tra Mazzini e Stuart Mill in ordine alla critica del socialismo e del comunismo statalistico. Rimando agli studi del Professor Salvo Mastelloni, riscopritore del "Mazzini inglese".

2) Sotto il profilo dell'educatore civile, Mazzini sosteneva che la cultura civile presuppone un acculturamento del popolo. Si' da creare una "comunione di liberi ed eguali".
Quindi problema educativo come necessita' di eliminare nella societa' - e soprattutto tra i giovani - lo spreco di intelligenze e di energie morali.
Ricordo la istituzione - da parte di Mazzini - nel 1841 a Londra di una scuola. Ivi, ogni giorno, (compresa la domenica) si tenevano corsi di lingua inglese, di geografia italiana, di aritmetica e di disegno. In sostanza, umanesimo integrale e centralita' dell'uomo, come persona e come cittadino; riserve nei confronti dell'economia politica (triste scienza) allora trionfante (Smith - Ricardo).

3) Infine, sotto il profilo del pensatore religioso, per Mazzini a guidare l'umanita' verso l'immancabile progresso e' una sorta di provvidenza. Di Dio che vive nella stessa. Una risposta debole, per noi. In grado, peraltro, di spiegare le ragioni di Mazzini, del suo afflato religioso e della sua fede incrollabile.
Se la religione ufficiale di Stato non era pari al suo compito, cio' non dipendeva dal suo messaggio, ma dalla Chiesa, governata da una piccola cricca, incapace di adattarsi a una societa' irreversibilmente cambiata e impegnata in una politica di potere.
Benche' pensasse che non vi fosse alcun bisogno di preti che facessero da intermediari fra "Dio e popolo", Mazzini disapprovava il deciso anticlericalismo di Garibaldi e di altri capi risorgimentali (Mach Smith, Mazzini, 1993).

La difficile storicizzazione.

Afferma Paolo Mieli( Storia e Politica, 2001) che la storia si scrive sempre due volte. La prima dai vincitori: versione dei fatti di parte e demonizzazione degli avversari sconfitti. La seconda dagli storici: lavoro di critica e di scavo rispetto alla vulgata tradizionale.
Anche, per Mazzini, la ricerca storica ha proceduto (in certo qual modo) su un doppio binario. Critica, in vita; blandamente elogiativa e piu' serena dopo la sua morte. Sostanzialmente una "congiura del silenzio", prima, inconsueta nella nostra storeografia. Un revisionismo, poi, interessato e fuorviante accreditante l'uomo come un profeta verboso, preda di una religione mistica del dovere per il dovere. Un presuntuoso astratto, fuori della realta' e dalla struttura della societa' del tempo.

Siffatti giudizi appaiono ingenerosi, fuorvianti e riduttivi. Indubbiamente, Mazzini, era un personaggio (diremmo oggi) non politically correct. Un maestro difficile, esigente, un solitario che esercitava il suo fascino, non solo sul popolo che non conobbe mai, ma sull'člites colte. Un idealista, la cui alternativa "radicale" al Risorgimento, emblematizzato da Cavour, fu sconfitta.
Peraltro, la vittoria del movimento moderato su quello di Mazzini rappresento' il rifiuto di ascoltare le voci di dissenso che auspicavano uno Stato capace di interpretare le diverse esigenze di una realta' storica complessa, come era quella italiana.
Ad offuscare la serenita' di giudizio su Mazzini ("un grosso cervello senza qualita' di uomo d'azione": cosi' Montanelli, Storia d'Italia, vol.5), contribuisce la complessita' della cifra politica nella quale l'apostolo ebbe ad operare: il Risorgimento.

Visto:
- come oleografia nazionale, patriottarda, apolitica ed indifferenziata; un Risorgimento quindi senza popolo" e come "conquista regia" da parte del partito liberale moderato (lo storico Rosario Romeo critica siffatta impostazione);
- una rivoluzione incompiuta e "senza eroi" (Gobetti);
- un Risorgimento come "rivoluzione agraria mancata" (Gramsci);
- infine un risorgimento dal basso come partecipazione popolare, come "Italia del popolo" (Mazzini).

Mazzini, in queste teorizzazioni, risultava non moderno sia per il filone liberal-moderato, sia per il filone marxista e socialista. In particolare, per questo secondo, avendone Mazzini respinto due punti sostanziali: la lotta di classe come motore della storia e la collettivizzazione dei mezzi di produzione, come passaggio obbligato.

Gli "eredi politici".

La storeografia italiana ha considerato Mazzini, come argomento di scarso interesse. Qualche eccezione: White Mario, 1886 (due volumi sulla vita); Donaver, 1903 (altro compendio biografico); Ghisleri, 1898; Salvemini, 1905, che tocca temi, ripresi poi da Codignola, Galante Garrone, Mastellone e Della Peruta; Levi, 1916, sulla filosofia politica di Mazzini; Nello Rosselli, su Mazzini e Bakunin, 1927; Galasso, 1974; Gentile, 1987; Spadolini, 1990 su Le radici mazziniane del pensiero di Carlo e Nello Rosselli.
Piu' recentemente, studi e contributi maggiormente puntuali e frequenti: Sarti, 2001 e Viroli, nella stringata ed efficace Prefazione agli "Scritti politici", 2003.
In occasione, poi, del bicentenario della nascita, Feltrinelli ha ripubblicato i Pensieri sulla democrazia; sono usciti altresi' altri due volumi, da noi gia' evocati, uno di Sallam e l'altro di Mattarelli. Varie manifestazioni celebrative in Italia e all'estero (Germania).

Volendone ora attualizzare il pensiero, Mazzini non appare arruolabile. E' vissuto in un contesto particolare, non ripetibile. Legato fortemente alla lotta per l'indipendenza, concepita, per la prima volta, come movimento da costruirsi "con idee italiane e sangue italiano" (la liberta' non si puo' importare).
Eppure, Mazzini, e' stato tirato in varie epoche per la giacca. Piegato a logiche espunte dalla complessita' del pensiero e dalla contestualita' dello specifico periodo. Cosi' e' stato visto come profeta del nazionalismo fascista (Benedetti, Mazzini in camicia nera, 2009); come il precursore della tradizione nazionale, riaggiornata e fatta propria dalla strategia politica togliattiana; sinanco come un fautore, ante litteram, delle brigate rosse.
Anche i riferimenti costanti ed espliciti del pensiero mazziniano da parte del PRI di Giorgio La Malfa e del MRI della Sbarbati, appaiono eccessivi. Indubbiamente: l'etica dei doveri, un pensiero alto della politica, il concetto della Patria, l'idea dell'Europa, fanno parte di quello che rimane delle ceneri dell'elitario, risorgimentale e antifascista PRI.
Peraltro ricordo che fu proprio Ugo La Malfa a far cambiar pelle al Partito Repubblicano (nella sua componente "borghese"), a distaccarsi dai riferimenti classici mazziniani (come l'unione nelle stesse mani di capitale e lavoro) per presentare il PRI come una forza democratica riformista. In linea con le esperienze socialdemocratiche del nord Europa.

Sgombrato cosi' il campo, il pensiero di Mazzini puo' "rivivere" sotto un triplice profilo: priorita' dei doveri (e' uscito, in questi ultimi mesi, in proposito, un brillante saggio di Viroli, L'Italia dei doveri); il richiamo della forza della religiosita' come veicolo di redenzione politica di massa; la nozione, per nulla nazionalistica, di "Patria".

Il "mal di Patria" nella storia degli italiani.

Tocqueville: "negli Stati Uniti la Patria si fa sentire ovunque. Essa e' oggetto di sollecitudine, dal villaggio all'Unione. Gli abitanti si occupano degli interesse del loro Paese come dei loro personali. Si fanno gloria della gloria della nazione: nei successi che essa ottiene credono di riconoscere la propria opera e se ne sentono innalzati. Hanno per la loro Patria un sentimento analogo a quello che si prova per la famiglia, e si interessano allo Stato per una specie di egoismo".
La Patria era vista da Mazzini non come "aggregato, ma associazione ... come comunione di liberi ed uguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine".
Concetto ripreso da Carlo Rosselli: "La nostra Patria non si misura a frontiere e a cannoni, ma con il nostro mondo morale e con la Patria di tutti gli uomini liberi".

Carlo Azelio Ciampi, durante la sua presidenza, ha ben sottolineato nei suoi messaggi, l'unita' nazionale e i suoi elementi di identita'. Come Mazzini: il tricolore, la Patria ... un patrimonio nazionale e non il patrimonio di una parte. Ciampi infine ha intravisto nella Resistenza una sorta di secondo Risorgimento.

Poniamoci allora un interrogativo finale: la "Patria esiste ancora in Italia"? E' certo che al momento della formazione del Regno il concetto di Patria era minoritario. Estraneo alle grandi masse rurali della penisola, al pari delle aristocrazie locali, generalmente devote al Papa o ai sovrani degli Stati preunitari.
Anche le molte guerre italiane, dopo l'Unita', si lasciano spesso alle spalle: polemiche, tensioni sociali, recriminazioni. La fine del sogno risorgimentale ("La morte della Patria") ha segmentato la storia nazionale in storie regionali, confessionali, sociali.
Non abbiamo infatti una festa nazionale, una memoria condivisa, un idem sentire. Abbiamo invece, in una sorta di negativa continuita' storica, ancora battaglie perse: contro la mafia, contro la corruzione, contro il regime oligarchico dei partiti e dei notabili.
Abbiamo miti, non realta': il mito della "Resistenza tradita", del "Tradimento della Resistenza", del "ventennio senza fascisti". In una logica di indifferentismo, di equidistanza, del "Franza o Spagna purche' se magna". E cosi': lo spettro del comunismo continua ancora ad aleggiare in almeno due forme: l'anticomunismo scopertamente opportunistico di Berlusconi; l'anticomunismo di una schiera di ex comunisti assurti al rango di maitres-a-penser, grazie al loro zelo di convertiti alla religione liberale.
Non siamo stati, conclusivamente, veri cittadini. Prima di vivere il senso di appartenenza alla nostra terra, al nostro Stato, alla nostra Patria, abbiamo vissuto il senso di appartenenza a un partito, a una classe, a una loggia. Prima di sentirci italiani ci siamo sentiti comunisti, democristiani, massoni, mafiosi, settentrionali, meridionali, leghisti.
L'identita' (i riti, gli slogan, i comportamenti) della nostra fazione di appartenenza, ha oscurato l'unica vera possibile nazionalita': viversi come artefici di una medesima Patria. Bisognerebbe avere l'amaro coraggio di riconoscere che, nella nostra storia unitaria, esclusi ovviamente i giorni gloriosi delle guerre di indipendenza, soltanto attraverso i falsi miti del fascismo hanno cominciato a farci sentire nazione. A riconoscerci fratelli in una terra, "una d'armi, di lingua, d'altar". Ma purtroppo fu un'illusione.

Registriamo altresi' una serie di "misteri": le bombe di piazza Fontana e di via Fatebenefratelli, a Milano, la strage di piazza della Loggia, a Brescia. I morti del treno Italicus. I lunghi "anni di piombo". Il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro. Taluni risolti, altri parzialmente, altri ancora avvolti nella nebbia.
In questo panorama, cosi' frastagliato e impervio, l'idea della Patria ci appare indefinita, priva di senso, distante. Affondata altresi' da spazi continentali e da modelli federali.
Eccezione, peraltro nel panorama politico, e' rappresentata da Alleanza Nazionale. Nel suo ultimo congresso, ascoltato per radio, varie volte e' risuonata la parola "Patria" e sono stati richiamati i doveri. Rara avis!
Eppure, mai come oggi, avremmo bisogno di un nuovo repubblicanesimo, di virtu' civili, di tradizioni civiche, di partecipazione che, pur in un diverso contesto, facciano rivivere il "sogno" di Mazzini.
Un "patriottismo contemporaneo.
In una parola, di una repubblica che non sia solo Stato o solo supermarket, ma una ricca e pluralistica societa' civile.

Dovremmo allora (ri)fare l'Italia e gli Italiani.

Lucca, 22 aprile 2009

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina