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Il mio PdL. Sogno o realta'?

di Paolo Razzuoli

Venerdi' 13 marzo si e' svolto, presso la Pia Casa a Lucca, un interessante e partecipato incontro per riflettere sui contenuti politici e culturali del PdL: un tema di grande interesse alla vigilia del congresso fondativo del partito, che si terra' nell'ultimo weekend di questo mese.

Nell'occasione, ho ritenuto di dover dare un contributo alla riflessione mediante un breve intervento nel quale ho cercato di sintetizzare il mio pensiero su quali dovrebbero essere i principali tratti del nascente partito.
Una riflessione che qui intendo sviluppare in modo piu' approfondito, al di fuori dei condizionamenti imposti dal contingentamento dei tempi proprio di un dibattito.
MI auguro che questi miei pensieri possano risultare utili per proseguire il confronto.

Corrispondera' la nascente forza politica al mio modo di vederla?
Naturalmente non sono in grado di dirlo. Per quanto possibile, ovviamente nella dimensione locale nella quale posso forse dire qualcosa, non mi sottrarro' all'impegno necessario affinche' somigli, almeno il piu' possibile, al modello che ho in mente.
MI rendo perfettamente conto delle difficolta' ma mi rendo altrettanto bene conto che la partita va giocata sino in fondo.
Ritengo che i partiti siano il risultato di volonta' complesse, frutto dell'intreccio fra capacita' propositive della base e sintesi operata dalla dirigenza.
Da qui la consapevolezza che e' compito di tutti coloro, che credono nel nuovo partito, impegnarsi attivamente, poiche' la partita o la vinceremo tutti assieme, o tutti assieme la perderemo.

Premessa

La nascita del PdL e' sicuramente un evento politico fortemente atteso da una parte importante dell'opinione pubblica nazionale.
I risultati delle elezioni del 2008 sono la conferma di questo bisogno. Il PdL, presentatosi alle elezioni come proposta politica e non ancora come soggetto strutturato, ha avuto un successo che ne suggella la presenza come volonta' diffusa nella societa' civile.
La classe politica ha quindi la ineluttabile responsabilita' di saper raccogliere la sfida, mostrando finalmente di saper ascoltare la domanda proveniente dalla base.

La nascita del PdL puo' costituire una preziosa occasione per dare uno sbocco alla "Transizione infinita" in cui vive il sistema politico italiano, dal tempo delle vicende che hanno portato alla crisi della cosiddetta "Prima repubblica".

I fatti che hanno punteggiato gli ultimi 17 anni della vita politica nazionale sono noti per cui risulta superfluo farne una dettagliata analisi in questa sede. Su alcuni di essi, tuttavia, penso di dover porre il focus, giacche' costituiscono un retroterra imprescindibile della vicenda politica di oggi.

La crisi dei partiti e la necessita' di stabilizzare il sistema.

La vicenda giudiziaria che ha costituito l'elemento di punta della crisi della cosiddetta prima repubblica, e' stato certo l'elemento scatenante della disfatta, ma sarebbe riduttivo, a mio modo di vedere, ritenere che la vicenda giudiziaria da sola avrebbe potuto produrre gli effetti che si sono visti.
Al di la' di quanto si e' detto e scritto sulla unidirezionalita' della vicenda di tangentopoli, non si puo' ignorare che essa si e' innestata su una profonda crisi del sistema, che viveva una fase di gestione del potere avulsa da qualsiasi slancio ideale, venuti meno, con la caduta del muro di Berlino, i postulati su cui esso era stato costruito dopo la seconda guerra mondiale.
La caduta del comunismo, mentre aveva storicamente dato ragione alla DC ed ai suoi alleati, aveva in realta' gettato le basi per la fine del sistema politico italiano che, nonostante i ripetuti richiami di uomini illuminati, non aveva saputo benche' minimamente riformarsi. Si e' quindi presentato completamente "nudo" ad un appuntamento a cui non era minimamente attrezzato.

Il pentapartito viveva sotto il continuo ricatto di piccoli partiti, ormai separati da qualsiasi capacita' di rappresentanza di blocchi sociali di riferimento, quindi ridotti a meri apparati di potere.
Il loro potere di interdizione gli aveva consentito di bloccare qualsiasi tentativo (e ve ne furono) di modificare il sistema per renderlo meno esposto ai ricatti ed ai veti. In tal senso mi piace ricordare il lavoro svolto negli anni '80 dalla Commissione Bozzi, e le proposte avanzate dall'On. Ruffilli.

Il referendum del 1993 venne vissuto come l'occasione per liberarsi dall'invadenza partitocratica, e per consentire alla societa' civile di riscrivere le regole che la legano alla politica e alle istituzioni.

Ebbene, la storia successiva e' andata in una direzione opposta.
I partiti si sono moltiplicati, se pur svuotati della loro tradizionale struttura. Sono sorti innumerevoli partitelli leaderisti, costruiti attorno ad un capo, senza una vera base organizzata e privi di qualsiasi reale capacita' di selezione della classe dirigente.

Si sono formati due blocchi fortemente contrapposti, pesantemente condizionati da veti intestini, che hanno mostrato tutta la loro fragilita' e la loro inadeguatezza a rispondere alle moderne esigenze del governo della attuale complessita'.
La semplificazione del quadro politico e le sue ripercussioni sullastabilita' di governo, vanno valutati come fatti altamente positivi. L'instabilita' del sistema italiano parte delresto da lontano. Gia' la avverti' De Gasperi allorche' sostenne una riforma della legge elettorale. Credo che nessuno possa dubitare dello spessore democratico di De Gasperi: evidentemente la questione era ben altra cosa che l'attacco alla democrazia urlato, gia' allora, dalla politica e dalla cultura di sinistra.

Naturalmente le cose non sono facili poiche' la semplificazione del quadro politico e' possibile solo in presenza di precise condizioni politiche e di determinati processi culturali.
Penso che l'Italia sia matura per un vero bipolarismo. Ritengo infatti che, dopo una stagione di politica urlata e di scontri a tutto campo, si stia affermando la consapevolezza che la complessita' delle sfide poste oggi alla politica impone un diverso approccio, per lo meno sulle regole dell'architettura istituzionale e su alcuni grandi temi di carattere nazionale. Penso che si tratti di un processo importante che, chi ha il polso della situazione, non puo' che incoraggiare.
Se ben individuabili settori della politica possono avere interesse a ricostituire un centro con mire ricattatorie ed interdittive, penso che si tratti di un disegno estraneo ai reali interessi del Paese, quindi da scoraggiare. Il vero problema e' pertanto quello di creare poli politicamente adeguati, ancorati ad autentici valori di riferimento, capaci di sviluppare un'azione di governo basata sull'efficienza ma anche estranea a vocazioni autoritarie ed a scorciatoie istituzionali.

La nascita del PdL penso sia, nel campo culturale e nel blocco sociale di riferimento, la risposta di cui c'e' bisogno: una risposta fortemente voluta dagli elettori del centrodestra, che sono pronti a riconoscersi in un'unica forza politica che ne rappresenti le aspirazioni.
Non si tratta di voler soffocare alcuna rappresentanza politica o culturale giacche' i partitini nati in Italia dopo il 1993 non ne avevano. Suona a questo proposito attuale la seguente citazione da Tocqueville: "I grandi partiti rovesciano la società, i piccoli l'agitano; gli uni la ravvivano, gli altri la depravano; i primi talvolta la salvano scuotendola fortemente, mentre i secondi la turbano sempre senza profitto".
C'e' proprio tanto bisogno di scuotere la societa' italiana: vogliamo costruire un grande partito per poterlo fare.

L'ancoraggio politico-culturale

Nel dibattito sull'ancoraggio politico-culturale del PdL si fa comunemente riferimento alla tradizione liberale-cattolico-riformista italiana ed europea.
Un ancoraggio certo di grande spessore, di grande impegno politico, civile e democratico.
Un ancoraggio che il nuovo partito e' chiamato ad onorare senza esitazione alcuna, poiche' i valori non sono slogan o bandiere ma l'essenza di qualsiasi formazione politica.

Penso sia utile indagare, se pur brevemente, i tratti di questo ancoraggio.

La liberta'.

Anzitutto il tema della liberta' che affonda le radici nel movimento liberale che tanto ha saputo offrire alla storia europea e che e' stato interpretato da intellettuali e da politici di grande spessore.
Tocqueville diceva "Ai miei occhi le società umane, come gli individui, diventano qualcosa solo grazie alla liberta'".

I valori portanti della tradizione liberale sono quindi uno dei tratti fondanti del DNA del PdL. Un patrimonio di civilta', di progresso e di democrazia a cui il partito deve guardare in modo coerente, non facendone uno slogan generico, bensi' un binario di marcia dal quale mai e' permesso di deragliare.

Conclusa la stagione del monopolio della sinistra sulla cultura, inauguratasi nel secondo dopoguerra e durata per lo meno sino al crollo del muro di Berlino, anche il mondo intellettuale guarda con rinnovato interesse ad esperienze di matrice liberale-cattolico-riformista. Alla politica e' pero' fortemente richiesta una forte coerenza - che in verita' a volte e' mancata - fra i principi professati e le azioni prodotte.

La socialita'.

Se la tradizione liberale e' alla base di un formidabile progresso della civilta' occidentale, da sola non basta per dare risposte all'altezza dei tempi che viviamo.
Gia' nel XIX secolo infatti, alle battaglie per l'affermazione dello stato di diritto, si affiancano quelle per la giustizia sociale. Battaglie che portano alla costituzione delle prime vere organizzazioni di lavoratori, al tempo della seconda rivoluzione industriale.

Alla richiesta di un nuovo ordine sociale, vengono date sostanzialmente due risposte: quella di matrice marxista che ha portato all'instaurazione dei regimi comunisti che hanno ovunque lasciato cumoli di macerie umane, economiche, politiche.
Risulta eloquente questa citazione da Karl Popper: " Chiunque ha tentato di creare uno Stato perfetto, un paradiso in terra, ha in realtà realizzato un inferno". (da La società aperta ed i suoi nemici)

IL mondo cattolico prende coscienza delle problematiche sociali e con la Rerum Novarum di Leone XIII getta una pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa che, con numerosi documenti, a seguito sino ai tempi odierni l'evoluzione dello sviluppo economico e del complesso dei rapporti sociali.

Una dottrina che rifiuta una logica interclassista in favore di un equilibrato rapporto fra esigenze dello sviluppo economico, di cui la libera impresa e la difesa della proprieta' sono elementi insostituibili, ma che vanno utilizzati nel rispetto della giustizia sociale e in una logica di tutela dei fondamentali diritti della persona umana.

Ecco alcune citazioni tratte dalla Rerum Novarum:
"I diritti vanno debitamente protetti in chiunque ne abbia, e il pubblico potere deve assicurare a ciascuno il suo, con impedirne o punirne le violazioni. (p. 174)
"Naturale diritto dell'uomo è [...] la privata proprietà dei beni; e l'esercitare questo diritto è, specialmente nella vita socievole, non soltanto lecito, ma assolutamente necessario". (p. 166)

IN epoca recente vi sono alcuni fondamentali enciclhiche su temi sociali: basti citare la "Populorum progressio" di Paolo VI, e "Laborem exercens" e "Centesimus annus" di Giovanni Paolo II. I temi sociali sono di sovente al centro dei messaggi Papali; cito al riguardo il Messaggio per la Giornata della Pace, I gennaio 2009, di Papa Benedetto XVI, intitolato "Combattere la poverta', costruire la pace".

La sintesi fra liberta' individuali e collettive da un lato, ed aspirazioni alla giustizia sociale ed alla tutela dei diritti della persona, sono stati i tratti fondanti dell'impegno politico dei cattolici italiani, prima con i movimenti sorti a cavallo fra XIX e XX secolo, quindi nel Partito Popolare di Don Sturzo, infine nella Democrazia Cristiana italiana e - nella dimensione europea - negli altri partiti che si riconoscono nel Partito Popolare Europeo.
Porsi quale riferimento di questa tradizione significa acquisirne a pieno i valori per non ignorarli mai al momento della loro traduzione in azione politica concreta.
Ben inteso, nessuna subordinazione a gerarchie religiose. il discorso attiene a valori politici e culturali - laici e razionali - che, ove richiamati, indicano una rotta verso cui indirizzare l'azione politica.

La tradizione laico-riformista

Il panorama politico-culturale italiano del secondo dopoguerra e' stato caratterizzato, oltre che dalla cultura cattolica e da quella comunista, dalla presenza di un filone laico-riformista che, se pur faticosamente, ha offerto un fondamentale apporto alla storia recente di questo Paese.
Un filone fortemente osteggiato soprattutto dal PCI, che ha preteso di rappresentare "in toto" la cultura italiana, di cui si e' autodefinito rappresentante delle migliori risorse "I migliori" come conio' Concetto Marchesi.

Eppure - se pur sconfitte - vi furono esperienze entusiasmanti quale ad esempio quella che si sviluppo' attorno al "Mondo" di Mario Pannunzio, che anche a Lucca sta tornando alla ribalta, giacche' egli ha avuto i natali nella nostra citta' che si sta preparando alla celebrazione, nel 2010, del centenario della sua nascita.

Attorno al noto settimanale di Pannunzio sono ruotati importanti intellettuali e politici che, in vario modo, hanno avuto ruoli di prim'ordine nella vicenda politica nazionale: basti per tutti ricordare Giovanni Spadolini.

Certo questa cultura ha avuto anche punte di aspra contrapposizione con la cultura cattolica. Oggi pero' il quadro di riferimento e' profondamente mutato. Caduti gli schemi ideologici che hanno contraddistinto il XX secolo, e' il momento di nuove sintesi politico-culturali, a cui esperienze provenienti da filoni diversi possono offrire il necessario lievito di una nuova vitalita' ed originalita'.

Altre esperienze: la destra moderna

Il quadro dei riferimenti culturali non e' completo se non si fa riferimento anche alle esperienze tendenti a definire in modo organico i contorni di una destra moderna, democratica ed europea.
A tal proposito - in aggiunta al percorso politico-culturale di figure politicamente impegnate quale ad esempio Gianfranco Fini - e' il caso di citare il contributo di Marcello Veneziani che, mediante vari scritti, ha posto all'attenzione della pubblica opinione tratti culturali ed antropici che, al di la' delle etichette, trovano ampia condivisione nel nostro Paese e non solo in esso. IL ruolo della famiglia, i saldi riferimenti agli ancoraggi culturali della nostra civilta', l'attaccamento alla nazione se pur nel nuovo contesto europeo e planetario, i temi legati alla tutela della vita, il tema della sicurezza, sono solo alcuni esempi dei valori su cui si articola tale proposta.

La carta di identita' del PdL

Il nuovo partito e' il punto di arrivo di un processo complesso che affonda le sue radici nella crisi della cosiddetta "prima repubblica".
Disgregato il sistema dei partiti di governo, sembrava giunto il momento dell'ascesa al governo della sinistra.
Fu Silvio Berlusconi, con la sua discesa in campo con la costituzione di Forza Italia ed il sistema delle sue alleanze, che riusci' a fermare la "gioiosa macchina da guerra" capitanata da Achille Occhetto.
Un'impresa da molti ritenuta impossibile, che trovo' in Gianfranco Fini un altro fondamentale protagonista.

Da allora molta acqua e' passata sotto i ponti e - fortunatamente - i partiti che fra pochi giorni daranno vita al PdL hanno vissuto un importante percorso di maturazione.
Un percorso che li hanno avvicinati sempre piu' ad una forza moderna, equilibrata, moderata nel senso migliore del termine, saldamente ancorata all'Europa.

Ma quale dovrebbe, a mio modo di vedere, essere la carta di identita' del nuovo partito?
Appare evidente che essa non puo' che essere il frutto degli apporti delle culture che ho, se pur con tratti sommari, fin qui citato.

Dalla grande tradizione liberale il PdL dovra' ereditare il gusto delle liberta' individuali e collettive. Dovra' saper disegnare il rapporto fra stato e societa' civile affidando a quest'ultima il ruolo di vero motore dello sviluppo ed allo stato il ruolo di insostituibile organizzatore e, ove necessario, controllore affinche' non avvengano prevaricazioni.
Il confine con una sinistra portatrice di una visione invasiva dello stato deve essere netta. Pur tuttavia anche un liberismo sfrenato potrebbe avere effetti devastanti, come le recenti vicende economiche stanno a dimostrare.

Dalla tradizione liberale, e non solo, il PdL deve mutuare una solida cultura istituzionale e del rispetto delle regole del gioco. Qualsiasi tentazione scorciatoista va rigettata con forza. Certo le istituzioni debbono attrezzarsi per saper operare con i ritmi richiesti dalla contemporaneita'. Il rispetto delle regole e' tuttavia il presupposto dello stato di diritto, spesso calpestato dalla sinistra. L'esercizio della liberta' e' possibile solo in una cornice di regole necessarie per garantire la liberta' di ciascuno. Liberta' e legalita' sono quindi due facce della medesima medaglia.

Particolarmente delicato appare poi il versante del rapporto fra sviluppo economico ed equita' sociale. Qui il PdL dovra' mostrare di saper utilizzare al meglio l'esperienza della tradizione popolare europea che, in un quadro di liberta' economica e di mercato, e' riuscita a garantire uno sviluppo sociale che non ha precedenti nella storia dell'umanita'.
I nuovi scenari planetari impongono una riflessione a tutto tondo sulle regole che governano l'economia. I fatti di questi mesi attestano che quelle fin qui adottate non funzionano. Occorre uno sforzo di elaborazione a cui il PdL dovra' dare un contributo essenziale. Le idee non mancano, come attestano le intuizioni di Giulio Tremonti.

Cercando di definire i contorni della carta di identita' del PdL non puo' certo mancare l'attenzione che esso deve riservare alle prossime generazioni. Un'attenzione che, al di la' delle parole, deve tradursi in una politica che sappia allungare lo sguardo verso orizzonti ampi, che sappia allocare le risorse disponibili in azioni di sviluppo, che sappia richiedere anche sacrifici a coloro che sono in grado di poterli sostenere, che sappia sottrarsi alla logica corporativa di sostenere chi piu' urla in favore di chi piu' ha veramente bisogno di aiuto.

Un partito che sia in grado di dare risposte concrete ai bisogni di vecchie e nuove situazioni di disagio. Risposte vere e non ideologiche, distanti da quella presunzione di interpretare il ben altrui a cui ci ha abituato una certa retorica imbevuta di sinistrese. Risposte che esaltino il coinvolgimento delle categorie interessate, in una logica di sussidiarieta' fra istituzioni pubbliche e societa' civile.

Un partito che sappia investire sulle nuove generazioni ben sapendo che la formazione e la cultura sono i nuovi nomi del progresso. La scuola, ed in genere il mondo della formazione, hanno bisogno di una profonda riforma che gli consenta di recuperare efficienza ed efficacia. Questo mondo ha dovuto finora sopportare, piu' di altri, i danni del '68 e suoi epigoni. E' ora di girar pagina ed il PdL deve saper portare avanti il progetto di riforma, peraltro gia' in atto, con determinazione e con la capacita' di saper ben discriminare fra cio' che di stantio e cio' che di eccellente si trova nella scuola italiana.

Un partito che sa valorizzare le energie delle comunita' locali mediante una riforma federalista che, se da un lato mira alla responsabilizzazione della classe politica locale nel saper gestire il rapporto prelievo fiscale-ricaduta servizi, non penalizzi le aree piu' povere del Paese, mediante opportuni strumenti di riequilibrio e di solidarieta'.

Un partito che sappia pensare una legislazione capace di favorire la coesione sociale, in primo luogo aiutando la famiglia quale nucleo fondante della nostra societa'.

Un partito che sappia costruire una politica di sicurezza per i cittadini, intervenendo sia mediante azioni preventive che, ove necessario repressive, mantenendosi ben distante da assurde generalizzazioni ma anche da posizioni ideologiche e miopi a cui ci ha abituati la retorica della sinistra.

Un partito che sappia guidare il Paese nei suoi rapporti con la comunita' internazionale, guardando anzitutto all'Europa ed alle tradizionali alleanze nel mondo occidentale, ma avendo altresi' la capacita' di saper leggere i mutamenti imposti da un teatro globale in rapida evoluzione.

UN partito che sappia affrontare in modo attento le tematiche connesse con le nuove frontiere bioetiche, nella consapevolezza che la tutela delle liberta' va conciliata con la consapevolezza delle conseguenze a cui potrebbe portare un incontrollato esercizio di una ricerca senza regole.

UN partito che abbia consapevolezza dei tratti culturali della nostra civilta', e che sappia nettamente distinguere il rispetto di tutti da un generico e devastante relativismo.

Un partito laico, distante pero' da qualsiasi tentazione laicista che in nome della laicita' dello stato pretende di impedire alla Chiesa di esercitare liberamente la propria funzione.

In sintesi, il nuovo partito dovra' assumere quali tratti dominanti la moderazione, la capacita' di mediazione fra le istanze provenienti dal corpo sociale, la tutela delle fasce piu' deboli della societa', l'elaborazione di un progetto di sviluppo in cui l'impulso economico tenga sempre al centro il valore della persona, il rifiuto di qualsiasi scorciatoia negli iter di formazione delle decisioni.
Come gia' detto in precedenza, del liberalismo cattolico-democratico e del popolarismo europeo non dovra' fare solo un vessillo bensi' i contenuti di un progetto politico chiaro e senza incertezze.

Qualcuno ha scritto che il PdL dovra' somigliare alla Democrazia Cristiana di De Gasperi: Sarebbe un grandissimo risultato per le istituzioni, per la politica, per l'intera societa' nazionale.

Un partito partecipato

Un tema molto delicato e' quello della struttura del partito e della modalita' di formazione delle decisioni e della classe dirigente.
Il suo nome, Popolo della Liberta', evoca certamente un forte impegno di partecipazione: penso ovviamente ad un popolo attivo, unito da un forte senso di condivisione, non certo ad un popolo passivo che subisce le decisioni altrui: cio' sarebbe in stridente contrasto con lo spirito del liberalismo.

Ho gia' avuto modo di soffermarmi sui guasti della leaderizzazione di molti partiti sorti in Italia negli ultimi lustri. Penso quindi che sia ora di cambiar pagina.

Non si tratta ovviamente di mettere in discussione l'ATTUALE leadership del PdL. Silvio Berlusconi e' il suo indiscusso ed indiscutibile leader: ruolo che si e' ampiamente meritato sul campo.
Il problema pero' e' quello di saper guardare oltre, nella consapevolezza che un partito vero deve essere progettato per vivere oltre le vicende politiche e personali di chi lo ha creato.
MI piace ricordare a questo proposito il generale De Gaulle, figura di indiscusso carisma, che ha si' creato un partito con il suo nome ma che, a oltre trent'anni dalla sua scomparsa, ha ancora una straordinaria vitalita' tanto che e' riuscito a mandare un suo rappresentante all'Eliseo.

Non si tratta di nostalgie per formule passate. I tempi sono cambiati. La comunicazione avviene tramite canali completamente diversi dal passato. Prima la televisione ed ora Internet hanno radicalmente modificato il modo di veicolare la politica.
Da soli questi mezzi non bastano e non possono certo sostituire gli strumenti di partecipazione. La politica non si puo' ridurre ai sondaggi. I partiti sono strumenti di intermediazione fra istituzioni e societa' civile: non possono essere ridotti a meri comitati elettorali.
Certo non penso a strutture pesanti come in passato: oggi sarebbe fuori luogo pensare ad una sezione per ogni campanile di democristiana memoria. Ormai i partiti hanno strutture leggere, certo integrate con i nuovi mezzi di comunicazione. Ma la partecipazione e' un dato irrinunciabile: un partito che non imformi la sua vita a reali processi democratici non potra' mai aspirare ad essere un grande partito destinato a durare. Potra' essere uno strumento di gestione di una fase della vicenda politica, ma non potra' essere il punto di approdo di una transizione lunga e complessa qual e' quella che stiamo ancora vivendo.

Essenziale e' ovviamente il tema della selezione della classe dirigente ad ogni livello. La classe dirigente deve trovare la sua legittimazione dal basso e non per investitura dall'alto. Cio' puo' essere ottenuto mediante vari strumenti tecnici e statutari: le soluzioni si trovano purche' l'obiettivo sia chiaro.

Se Silvio Berlusconi riuscira' a dare al Paese un partito vero avra' fatto un'opera meritoria che lo collochera' tra i grandi che hanno fatto la storia italiana.
I veri leader di oggi non sono infatti solitari principi romantici; sono figure capaci di fare squadra, in grado di assumersi il compito di centro propulsivo per la crescita complessiva della struttura di cui sono al vertice. Cio' e' vero ovunque, tanto nell'impresa quanto nella politica.

I partiti sono, in qualche modo, specchio della societa' a cui aspirano. Il PdL, partito della liberta', deve saper dare, partendo proprio dal suo interno, un vero messaggio di democrazia.
I pericoli per la liberta' e per la democrazia sono sempre in agguato. Il PdL deve essere un presidio di tali fondamentali diritti, stimolandone anzitutto l'esercizio al suo interno.
Naturalmente l'assetto del partito richiedera' il suo tempo. E' evidente che la gestione della prima fase della sua vita dovra' essere affidata a strutture provvisorie, definite da accordi di vertice. Affimche' il PdL non avvenga per fusione a freddo, e' necessario che la provvisorieta' abbia un tempo limitato al necessario, e che si possa procedere in un tempo ragionevole alla costituzione di una vera struttura del partito, che rispecchi il quadro dei livelli amministrativi del Paese.

Partito del fare e del pensare

La storia italiana recente ci ha abituati ad un'immagine di inefficienza e di lentezza delle decisioni politiche. Da un lato i limiti di un quadro politico fragile, spesso vittima di veti incrociati, dall'altro l'elefantiasi burocratica in grado di spezzare anche le schiene piu' formidabili, hanno costretto il Paese a fare i conti con ritardi esiziali e con inefficienze ormai croniche. E' quindi legittimo che si sottolinei il PdL come "il partito del fare".

Delresto questa sottolineatura ha un padre nobile niente meno che in Alcide De Gasperi che ha detto "Politica vuol dire realizzare". (discorso a Milano del 23 aprile 1949)

Il partito non potra' tuttavia sottovalutare la sua funzione come strumento di riflessione politica e come mezzo per la formazione di una classe dirigente dotata di adeguati strumenti culturali.
E' opinione condivisa che la cultura politica da noi ha grossi ritardi. Un grande partito deve saper offrire anche qui risposte adeguate, facendosi carico del compito di formare una classe politica, locale o nazionale non improvvisata, quindi all'altezza di sfide sempre piu' complesse che pongono scenari sempre meno prevedibili e comunque in rapida evoluzione.

Conclusioni

Il PdL nasce in un momento di grave crisi della societa' italiana, come ha delresto ben fotografato il Censis nell'ultimo suo rapporto. Una societa' frammentata, ripiegata su se' stessa, formata da corpi quasi incomunicanti. Un arcipelago di microorganismi che faticano a collegarsi fra loro; un arcipelago di realta' che faticano a riconoscersi in un forte slancio di coesione.
La crisi attuale puo' essere, come anche lo stesso Censis dice, un momento di ripensamento per ritrovare un nuovo slancio di crescita, ma puo' anche essere al contrario la tappa di un decadimento ancor maggiore.
Con riferimento alla societa' contemporanea suona allarmante questa citazione di Tocqueville: "Puo' tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e dell'abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare. Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri".

Il PdL nasce quindi in un momento particolarmente delicato della vita nazionale e degli equilibri mondiali.
Penso che sussistano tutte le condizioni per ritenere che potra' essere, a determinate condizioni, un mezzo per guidare il Paese a ritrovare quell'orgoglio che sembra aver smarrito. Un paese che ha bvisogno di ritrovare la forza per quel colpo di reni che lo sottragga dal torpore che sembra lo affligga.
Un partito che nasce certo dalla fusione di due partiti, Forza Italia ed Alleanza Nazionale, ma che deve sapere che alla sua nascita contribuisce quella parte di societa' civile che gia' lo ha votato, e che finora non si e' riconosciuta ne' in Forza Italia ne' in Alleanza Nazionale.

Un partito che deve saper utilizzare al meglio le energie disponibili. Se e' vero che il vertice ha il dovere di favorire il contributo della base, e altrettanto vero che la base ha il dovere di essere partecipe giacche' questa avventura o la si vincera' insieme o insieme la perderemo.
E' comunque una partita che dobbiamo giocare sino in fondo, pensando soprattutto alle prossime generazioni a cui dobbiamo assicurare un futuro.

Una partita che possiamo affrontare per lo meno con due elementi di ottimismo.
In Italia normalmente le riforme funzionano quando la loro traduzione normativa viene anticipata in comportamenti collettivi consolidati. Ebbene, il PdL ha gia' trovato una sua anticipazione nel corpo sociale con il consenso riceguto alle elezioni politiche del 2008.
Il secondo elemento di ottimismo nasce dalla coesione del partito sui temi internazionali, partendo dalla sua collocazione nel PPE Europeo: un dato certo importante che lo mette al riparo dalle lacerazioni che su questo tema agitano il Partito Democratico.

Questo e' il mio PdL. E' un sogno o una realta'?
Il tempo dara' il suo responso.

Lucca, 16 marzo 2009

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