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Le prospettive per l'economia mondiale dopo il summit del g7 a Roma

Nella terra incognita della crisi nuove regole possono non bastare

di Luca M. Possati

(da l'Osservatore Romano, ediz. del 16 febbraio 2009)

Nuovo ordine mondiale: tre parole magiche per combattere la crisi. E lanciare un messaggio chiarissimo: vietato danneggiarsi a vicenda con misure protezionistiche più o meno esplicite, vietato cercare spazi propri a danno degli altri. Tutti devono impegnarsi a favore di un sistema aperto di commercio globale basato su standard comuni di trasparenza e integrità, perché dal pericolo della recessione ci si salva tutti insieme o non ci si salva affatto.

Sono queste le principali indicazioni emerse dal vertice g7 dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centrali tenutosi a Roma il 13 e 14 febbraio. Il gotha della finanza mondiale ha scelto la strada della prudenza: la crisi è ancora terra incognita, occorre quindi muoversi a vista e senza fare manovre scriteriate. Nel comunicato finale del summit si è ribadita la necessità di azioni mirate alla stabilizzazione dei mercati e al sostegno della crescita e dell'occupazione, ma non una sola parola è stata spesa sugli aiuti ai Paesi più poveri. L'allarme lanciato dalla Banca mondiale, secondo la quale oltre il quaranta per cento dei Paesi in via di sviluppo è già esposto alle ricadute negative della crisi e circa quarantasei milioni di persone potrebbero finire in condizioni di povertà estrema, è rimasto sostanzialmente inascoltato.

I rappresentanti delle sette grandi economie mondiali e delle principali istituzioni internazionali hanno concordato che per ristabilire i normali flussi di credito alle economie occorre agire su tre assi fondamentali: l'aumento della liquidità; il rafforzamento della base capitale delle istituzioni finanziarie; il monitoraggio degli effetti delle manovre già attuate, verificandone gli sviluppi. Le misure prese finora - si legge nel comunicato finale - "puntano a essere concentrate all'inizio e rapidamente eseguite; includono una miscela di spesa pubblica e tassazione per stimolare la domanda interna e la creazione di posti di lavoro e sostengono i più deboli".
Particolare apprezzamento è stato rivolto "alle misure fiscali della Cina e al continuo impegno a muoversi per un tasso di cambio più flessibile". Gli interventi futuri dovranno essere coordinati, eseguiti per tempo, commisurati alle potenzialità dei Paesi, temporanei e tesi ad aumentare la crescita e la produttività industriale nel lungo periodo.

Ma per allontanare in maniera efficace la minaccia di una recessione globale prolungata bisogna concentrare gli sforzi nella creazione di un nuovo quadro di regole condivise in tutti i settori dell'attività economica. È stato disposto, infatti, che entro quattro mesi venga messo a punto un primo rapporto per definire un insieme di principi etici e codici di integrità, trasparenza e sicurezza comuni. In tal senso, il messaggio del g7 è stato chiarissimo: non c'è crescita senza libero mercato. Occorre - si legge nel comunicato - "evitare misure protezionistiche che avrebbero solo l'effetto di disacerbare la recessione, contrastare la crescita di nuove barriere e lavorare uniti per una conclusione rapida e ambiziosa dei negoziati del Doha Round". I vigilanti nazionali, nell'esercitare la loro attività di controllo, potranno agire su una superficie di questioni molto più vasta che in passato. Un compito importante spetterà al Fondo monetario internazionale (Fmi): le Fsap - visite che gli ispettori del Fondo compiono in un Paese per assicurarsi che la struttura della vigilanza finanziaria sia adeguata - potrebbero diventare obbligatorie per tutte le nazioni che aderiscono al Fondo. È una novità: prima d'ora gli Stati Uniti non avevano mai accettato i controlli dell'Fmi. "Bisogna spiegare - ha detto il presidente dell'Fmi, Dominique Strauss-Kahn - che è necessario rimettere in piedi un settore finanziario che funzioni, certamente non per salvare gli azionisti, ma perché l'economia moderna ne ha bisogno". Il problema principale - ha sottolineato Strauss-Kahn - è la ristrutturazione delle banche e, in tal senso, la strada di una bad bank nella quale far confluire i titoli tossici sembra essere la soluzione più semplice.

Il ripudio del protezionismo è suonato anche come un avvertimento alla Casa Bianca e all'Eliseo, in relazione alle polemiche scatenate dalla clausola "Buy American" inclusa nel piano d'incentivi fiscali di Obama - ma già revisionata dal Congresso - e al maxipiano di aiuti al settore auto varato da Parigi nelle scorse settimane. Entrambe le manovre sono state infatti accusate di includere aspetti protezionistici. Il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, ha assicurato che "la realizzazione del pacchetto d'incentivi avverrà in modo da rispettare gli obblighi internazionali". Le misure per la stabilità finanziaria annunciate da Geithner sono state accolte tra lo scetticismo e le critiche, soprattutto per i pochi dettagli forniti. Il Segretario ha indicato tre linee d'azione - la possibilità di ampliare fino a mille miliardi il programma della Fed per il credito al consumo, ulteriori iniezioni di capitale nelle banche e la creazione di un fondo pubblico-privato per l'assorbimento degli asset tossici - ma non è riuscito a convincere Wall Street, che è affondata nel giorno della presentazione del piano per poi concedersi solo un timido rimbalzo. In un momento in cui l'economia statunitense continua a inviare pesanti segni di deterioramento, "dobbiamo essere sicuri di non sbagliare - ha detto Geithner nella conferenza finale del g7 - e far sì che le nostre azioni non solo rafforzino le banche, ma facciano anche ripartire il credito". Al piano finanziario presto si affiancherà quello per il salvataggio del mercato immobiliare: la Casa Bianca ha già previsto cinquanta miliardi di dollari per la rinegoziazione dei mutui.

Ma basteranno inediti strumenti normativi per arginare una crisi che si trasforma in continuazione? Oppure assisteremo alla nascita di un nuovo protezionismo, forse più velato, tra il nord e il sud del mondo? "Questa crisi minaccia di diventare una crisi umana in molti Paesi in via di sviluppo a meno che non vengano adottate misure ad hoc per proteggere le popolazioni vulnerabili", ha dichiarato il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick, a margine del summit di Roma. Secondo una recente indagine della Banca mondiale, la crisi ha fatto salire di 53 milioni il numero delle persone che vivono sotto la soglia di povertà. È una seria minaccia - afferma l'istituto di Washington - al raggiungimento degli obiettivi del Millennio dell'Onu. Circa tre milioni di persone potrebbero morire se non verranno attuate al più presto modalità di sostegno nella forma di garanzie o di prestiti a tasso zero per i Paesi in difficoltà.
Un problema che non potranno non porsi i protagonisti del g20 in programma ad aprile.

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