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Cultura e politica

Di Andrea Talia

1) Cultura come nozione e come terreno operativo

Sotto un versante oggettivo, la cultura puo' essere definita (Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, ad vocem) come un "complesso di cognizioni, tradizioni, tipi di comportamento, caratteristico di un dato gruppo sociale, di un popolo e dell'intera comunita'".

Per il filosofo spagnolo, Ortega Ygasset, (La missione dell'universita', 1991) la cultura si identifica "in un sistema vitale di idee" che ogni epoca possiede. Si tratta, per Ortega, di una necessita' ineludibile, costitutiva di ogni vita umana. Non possiamo vivere senza idee, siamo le nostre idee. La nostra epoca crede di essere piu' moderna - conclude Ortega - perche' si emancipa dalla tradizione e dalla cultura di origine. In realta' e' piu' arcaica e primitiva per questa sua semplificazione e deculturazione.

Per Bodei (Il noi diviso, 1998), la cultura e' un "mastice che lega le appartenenze separate, oggi piu' forte del sentimento di appartenenza comune". Grazie ad esso, si puo' stabilire, per lo storico della filosofia, un nuovo rapporto tra i "fatti" e le "idee" dell'Italia repubblicana. Coesione che, senza violarne le differenti logiche, permette di pensare in modo piu' avvertito l'esperienza vissuta.

Per il versante soggettivo, la cultura rappresenta "il patrimonio di conoscenza di chi e' colto" (Zingarelli); il "sapere tutto di una cosa e qualcosa di tutto il resto" (Salvemini).

Ad avviso di chi scrive, cultura (trattandosi di una parola polidimensionale), e' anche ricerca di senso, di attivita' speculativa del pensiero. Di un modo di guardare la realta', di un'acqua che scorre e si rinnova, necessaria alla vita speculativa. Curiosita' intellettuale, quindi, che deve accompagnare l'uomo nel suo cammino, nella sua evoluzione, nella sua personalita' (acculturazione). Consapevolezza di se' e di rispetto degli altri. Con la coscienza dei propri diritti e insieme dei propri doveri.
Spetta agli uomini di ragione e di intelletto, attivare, tramite l'esperienza culturale di cui sono in possesso, il "colloquio" con l'altro, il "diverso", "l'eterogeneo". Senza preconcetti, senza condizionamenti, senza compromessi, senza abbandonarsi al facile gioco delle alternative radicali. Non mera partecipazione ad una soluzione, qualunque essa sia. Ma dubbio, perplessita', rifiuto di fronte a qualsiasi tesi, specie se preconfezionata.

Cultura, infine, e' difesa del ricordo, conservazione delle tracce, al di fuori di ogni revisionismo. Operazione questa in cui obblighiamo la storia a piegarsi ai nostri argomenti. Il "nuovismo" diventa ideologia di cattiva modernita' se impone una postmoderna rimozione di cio' che e' stato. Nascono, allora, idee interessate; non interessanti. Sotto questo aspetto, cultura e' anche la proiezione di miti, credenze, pulsioni, rituali che si ripetono in tutte le epoche.

Esaminiamo, ora, il terreno operativo della cultura (in questo caso) politica, di governo. Essa dovrebbe esercitarsi in quel perimetro dove si forma la mentalita', l'educazione e la comunicazione di una nazione. Quindi scuola, informazione pubblica, beni culturali e relativa sperimentazione, difesa dell'ambiente, rapporto vitale con i centri storici. E' li' che si qualifica, dal punto di vista delle idee, un'azione di governo; e' li' che si avverte il marchio culturale che si intende imprimere al Paese, lasciando segni cospicui destinati a incidere e restare.
Ebbene dobbiamo francamente dire che ne' il governo di sinistra, ne' quello di destra (almeno sino ad oggi) hanno brillato. E' latitato, almeno ad avviso di chi scrive, un disegno culturale. Di valenza tale da riportare al centro dell'azione di governo l'idea di una educazione e di una formazione civile e culturale del Paese. Aggregata attorno a valori condivisi e al libero dispiegarsi di un pluralismo dinamico.
E' prevalsa una gestione cieca e puramente tecnica dell'esistente, priva di progetti e di prospettive alte. L'assenza di idee guida (lo stop and go per la riforma della scuola e l'universita': docent!), ha prodotto una gestione mercantile, al ribasso e burocratica. In luogo di una politica alta e di spessore culturale.
La routine della mediocrita' ha vinto sull'innovazione e sulla promessa di cambiamento. A parziale discolpa: la grave crisi, anche finanziaria, in atto.
Auguriamoci che il trend possa cambiare e che possa essere raccolta la sfida della cultura e del sapere, che sara' la sfida di questo secolo. Sfida cruciale dacche' il profilo culturale dovrebbe compensare l'indebolimento delle appartenenze. Un sistema di riferimento e di identita' dovrebbe poi risarcirci dallo spaesamento e dalla insicurezza indotti dalla globalizzazione. Perdere su questo terreno, potrebbe significare rassegnarsi a subire un (ulteriore) declassamento del Paese.

Bene quindi ha fatto il sindaco Favilla, nell'intervista del 31 dicembre 2008, a "La Nazione", a intravvedere, nella cultura, il momento alto del futuro della citta' di Lucca, prossimo venturo.

2) Cultura politica

(La cultura e' politica?)

Negli studi di scienza politica, si e' da tempo affermato l'uso dell'espressione: cultura politica. Val dire: l'insieme di atteggiamenti, norme, credenze, condivise piu' o meno largamente, aventi ad oggetto fenomeni sociali.
Le relative coordinate sono date:

E' stato peraltro notato (Sani, Dizionario di politica, ad vocem, 1983) come la politica non e' qualcosa di omogeneo. Si tratta di un insieme di subculture, cioe' di norme e valori diversi, spesso confliggenti. Cosi' nella societa' italiana, post 1948, possono identificarsi (grosso modo) quattro filoni: laico-liberale; socialista; cattolico; di destra.
Bobbio in un volume che raccoglie i suoi saggi sul problema dei rapporti tra politica e cultura, e su quelli - immediatamente connessi - della liberta' e della democrazia politica (Politica e cultura, 1955), identifica, sul primo punto, due posizioni estreme. La cultura politicizzata, cioe' la cultura che obbedisce a direttive, programmi, imposizioni provenienti dai politici e la cultura apolitica, cioe' la cultura staccata dalla societa' e dai suoi problemi.
L'autorevole maitre-a-penser, propende, dopo una serie di puntuali argomentazioni, per una posizione intermedia e conciliante. E la identifica nella politica della cultura come "politica degli uomini di cultura in difesa delle condizioni di esistenza e di sviluppo della cultura". Siffatta teorizzazione si inquadra nella filosofia dello spirito liberale. Cioe' in quel "tentativo di invitare gli uomini, non ancora acciecati dal fanatismo, al colloquio, lasciando ai guerrieri, ai politici, agli uomini di parte e di passione, l'iniziativa e la responsabilita' delle crociate".

Nel citare Bobbio, non posso esimermi, unitamente al rimpianto, dal ricordarne l'eredita' difficile e complessa.
Su un versante: i principi del socialismo liberale, il rigore delle regole democratiche, la critica di ogni variante populista e leadership carismatica, il rifiuto di ogni tipo di dittatura, compresa quella della maggioranza.
Sull'altro: la strenua difesa della tradizione resistenziale, secondo gli schemi identificati dall'azionismo storico.

Due notazioni finali sulla cultura politica.
La prima (ricollegandomi a quanto sopra espresso): la cultura e' politica nel senso che i politici cercano di servirsene, o cercano di farlo per esercitare il potere. Si servono di uomini di cultura, che per aderire al progetto, o anche solo per soldi si piegano e accettano di sposare un progetto credendo che sia culturale, quando invece spesso e' solo politico.
La questione da porsi sarebbe un'altra: la cultura buona e' quella che proviene dalla politica o quella che cerca di difendersi da essa?

La seconda: dire che la politica ha bisogno della cultura, appare riduttivo. La politica, semplicemente, e' cultura. Lo e' perche' deve operare una sintesi inevitabilmente complicata tra interessi sociali, dinamiche economiche, pulsioni ideali. Lo e' perche', per conoscere la societa', non basta la mera esperienza, e neppure basta essere collettori di bisogni e richieste.
Per conoscere la societa' occorre leggere, studiare, discutere e conoscere. Purtroppo questa natura culturale della politica, che fino a qualche tempo fa era indiscutibile tanto a sinistra quanto a destra, oramai sfugge alla gran parte del personale politico.

L'immiserimento del dibattito e anche la sua sciocca violenza, sono tipici di una classe politica "ignorante" (l'argomentazione non va ovviamente generalizzata), che vede nella cultura spesso un impiccio e un vizio, piu' che il lievito del far politica.

Si ritorna malinconicamente al "messaggio" trasmesso da Scelba con il suo esorcismo contro il "culturame". La cultura e' un affare che non ci riguarda. Se potete, fatevela da soli.

Lucca, 11 gennaio 2009
Andrea Talia

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