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La politica e la morale
(Avviso ai naviganti)

Di Andrea Talia

Sappiamo da Machiavelli in poi che la politica e' diversa dalla morale. La prima attiene, per citare Weber, alla "etica della responsabilita'" (di gruppo); la seconda "all'etica della convinzione". Cio' che e' obbligatorio per l'individuo, non e' detto sia obbligatorio per il gruppo di cui quell'individuo fa parte.
La politica e' altresi' diversa dall'economia: l'una concerne l'insieme delle attivita' riferentesi alla polis, cioe' allo Stato; l'altra si situa come analisi del processo economico, dei fatti economici e del mercato.
Solo a scelte politiche compiute, l'economista puo' indicare come tecnicamente si risolve il singolo problema.

Sul versante soggettivo, rinveniamo la persona umana che puo' atteggiarsi come persona morale, amorale o immorale.
Quella morale lo e' in toto: in politica come in economia. L'amorale: parzialmente. Non promuove il bene, ma nemmeno si dedica al male. L'immorale non crede nei valori e non arretra di fronte a nulla. Non ha "coscienza" ne' rispetto di se'.
Per il primo, non e' vero che il fine giustifica i mezzi; per il secondo, il fine puo' giustificare qualche mezzo scorretto, ma non tutti. Per il terzo, infine, il fine di fare soldi o di conquistare potere e' il prius dei suoi pensieri.

Le categorie della politica e della morale, da distinte ma interconnesse, si sono nel tempo vieppiu' divaricate.
Si e' smarrita la funzione del potere politico come arbitro e regolatore dei macro-fenomeni sociali, economici e istituzionali. Gradualmente e' subentrata una classe di dirigenti acculturati, di sepolcri imbiancati, di falsi moralisti e di gattopardi. Mediatori e procacciatori di affari in luogo di politici preparati, seri, pensosi della "res publica". Questo scadimento ha impoverito - culturalmente e moralmente - la responsabilita' dell'agire e di fare politica. Latita, inoltre, una seria capacita' di autocritica.
Contestualmente, anche il senso morale si e' appannato, quasi evaporato. Il rigore, l'onesta', la sobrieta' appaiono per "il comune sentire" orpelli inutili, se non dannosi. Il senso cinico ha logorato il senso civico; il disincanto, la responsabilita'; la semplificazione, la societa'.
La convinzione che tutto (o quasi tutto) sia lecito. Basta non farsi scoprire; poi ci sono i condoni e gli sconti. L'atuale temperie non e' peraltro figlia del destino cinico e baro. E' l'eredita' di antiche distorsioni. Non abbiamo avuto (nella nostra storia) ne' Lutero ne' Locke a guidare la nascita della nazione e della patria; abbiamo avuto una controriforma senza riforma. Ed in fondo, anche il fascismo non e' stato che un'"autobiografia della nazione" (Piero Gobetti).
Da sempre oscilliamo, cosi', tra furberia e generosita', tra grandi scatti di eroismo e inossidabili omerta'.
Il potere corrompe in eguale misura la democrazia, ma anche i singoli, ogni qualvolta gli interessi di potere si sommino, anziche' dividersi.
I sociologi hanno etichettato come "familismo amorale" (l'espressione risale a E. Banfield, Le basi morali di una societa' arretrata, saggio ristampato nel 2008 dal Mulino) la cronica e pervasiva mancanza di senso dello Stato che accomuna sudditi e poteri, e al secondo garantisce il consenso servile dei primi. Il parente, l'amico, l'amico dell'amico, e l'intreccio dei reciproci favori, come surrogato assolutamente asimmetrico della legge uguale per tutti, i santi in paradiso al posto degli eguali diritti.
L'opposto assoluto, oltretutto, della virtu' republicana magnificata a chiacchiere fin dal sussidiario scolastico e in ogni "buon anno" presidenziale: amicus Plato, sed magis amica veritas.
Non crediamo, quindi, ne' al divario tra paese legale e paese reale, ne' alla favoletta che i cittadini siano molto migliori dei loro rappresentanti in politica.
Sarebbe facile ricordare, con Carlo Cattaneo, che "la liberta' e' una pianta con molte radici", una pianta che si fonda sulla distinzione tra piani diversi. Quello della morale, della politica, del diritto, della religione, degli affari, della informazione.

In momenti particolarmente drammatici della storia della Repubblica rispunta, come un fiume carsico, la c. d. "questione morale".
Un veloce flashback ricognitivo. Il tema fu sollevato dalla sinistra. Ugo La Malfa si appellava (1976) all'austerita' come antidoto al malessere della societa'; Enrico Berlinguer denunciava (1981) la degenerazione dei partiti "macchine di potere e clientela". Leader, questi, profondamente diversi per matrice culturale, approcci politici e itinerari partitici, ma accomunati, laicamente, dal senso del limite e della misura, dalla coscienza delle forze operanti in una societa'. Peraltro La Malfa e Berlinguer non erano soli in queste teorizzazioni.
Possiamo affermare che la gran parte della classe politica, formatasi sotto il fascismo o nei primi anni della Repubblica, si connotava per sobrieta' di vita, onesta', disinteresse, robusta formazione scolastica e familiare.
Non era nemmeno pensabile parlare di "questione morale" a proposito di De Gasperi, Einaudi, Lussu, Saragat e di tanti altri politici di quell'epoca. Due citazioni a conforto: De Gasperi raccomandava di: "vivere la vita privata in modo da essere coerente con i principi che si affermano nella vita politica";
Sforza: "dobbiamo desiderare anche la forza morale del partito che c'e' opposto, perche' questo rialzera' noi stessi, rialzando l'insieme della vita pubblica". Ed ancora: "dobbiamo ricordare ai partiti che o vinceranno per le loro grandi idee morali, che', se vincessero unicamente con capziose manovre di accaparamenti di funzionari, i loro trionfi saranno frutti di cenere e tosco". Un monito, quello di Sforza sulla moralita' dei partiti politici, che non ha perduto, a distanza di quasi sessant'anni, la sua drammatica attualita'.
Con la fine degli anni sessanta, la crisi della politica si accompagna alla crisi della formazione delle classi dirigenti. Un moderno feudalesimo della selezione partitocratica contrassegnata dalla - non trasparenza della scelta; - fedelta' al proprio grande elettore; - pratica del vassallaggio. Diseconomie - queste - oggi aggravatesi dacche' i parlamentari vengono designati e non scelti dal popolo.
Dagli anni settanta in poi la logica partitica si e' sempre piu' reclusa in una sorta di maniacale autismo, coltivando soltanto i riti della propria perpetuazione.
In particolare, negli anni novanta (in un passaggio cruciale dalla prima alla seconda Repubblica) assistiamo, tra l'altro, alla fine dei partiti tradizionali, al cambiamento del sistema elettorale, alla fine della stagione spregiudicata di Craxi, alla "rivoluzione liberale" di "mani pulite", alla "scesa in campo" di Berlusconi.
Peraltro, in tutto questo tempo, ne' la destra, ne' la sinistra, sono state in grado di costruire intorno a se' una vera classe dirigente, un'insieme di persone unite da una koine' politico-culturale orientata alla costruzione di un nuovo patto nazionale.
E' saltato il rapporto "diretto" con l'elettore per le mediazioni della politica e dei partiti. Continua a latitare il circuito diretto tra popolo - nuovo ethos pubblico - èlite che rifugga sia dal conservatorismo che dall'eversione. Senza affidarsi a nessuno "stato d'eccezione". Ne' dei tecnici, ne' dei politici, ne' della magistratura.

La c. d. "questione morale", sino a qualche tempo addietro, ha interessato quasi esclusivamente la destra.
Negli ultimi tempi: massicciamente e capillarmente, anche la sinistra.

1) Finite in malo modo le ultime illusione centriste e neodemocristiane consegnate al Patto per l'Italia di Segni e Martinazzoli, irrompono, nell'offerta del mercato politico, due attori del tutto inediti: Forza Italia e Lega.
In particolare, la prima, ottiene un successo alle elezione del 1994, diventato trionfale alle successive europee di giugno (30,6 %). In termini di marcketing, Forza Italia aveva realizzato un perfetto match tra una domanda di rappresentanza da parte di un elettorato in cerca di un nuovo approdo, e un'offerta smagliante, innovativa, moderna.
Terminato rapidamente il primo governo Berlusconi per carenza di preparazione, di debolezza culturale e per i colpi della Lega, i punti di svolta si concretizzano nella primavera del 1999 (elezioni europee), regionali del 2000 ed elezioni politiche del 2001. Dopo l'esperienza cessata in maniera traumatica del governo Prodi, le elezioni del 2008 segnano il definitivo consolidamento della destra.
Esaurito questo breve excursus, ritorniamo alla questione morale.
Il Partito delle Liberta', tutto giocato sulla figura di Berlusconi e sulla comunicazione da lui veicolata, presenta i seguenti caratteri: carismatico, patrimonialista, elettorale, conservatore-notabiliare, populista. Molto conservatore, poco liberale, e con una fisima: abbattere i "comunisti". Categoria, questa, che per il premier ingloba il politico di professione, i magistrati, la burocrazia pubblica, i sindacati, i giornalisti non asserviti. In uno slancio di ... generosita', l'intera sinistra.
Un benevole anciene règime, un bonapartismo alla Sarkozy, corporazioni di varia umanita'.
Due tasselli funzionali allo scopo della spregiudicata magia del leader: una serie di leggi ad personam: il decreto Biondi, la Cirielli, il lodo Alfano e un macroscopico conflitto di interessi, un unicuum rispetto a tutte le democrazie mature non risolto ne' dalla destra (la legge emanata e' facilmente aggirabile; e questo si capisce), ne' dalla sinistra, allorche' al governo (e questo non si capisce).

2) Per la sinistra, le notazioni presuppongono un prima e un dopo. Il primo - che viene da lontano (Berlinguer) - riposa su uno stereotipo identitario: la superiorita' etica delle idee e delle persone di sinistra. Cio' induce - emotivamente - la sinistra a disprezzare l'elettorato di centrodestra, a raffigurarsi come "la parte migliore del Paese", la sua ala "sana". Ad attribuirsi, sussistendo una frattura tra un'Italia civile ("noi") e un'Italia di malaffare ("gli altri"), una missione salvifica.
L'èlite, i militanti e gli attivisti della sinistra, hanno cominciato a pensarsi - scomparso un blocco sociale di riferimento - come espressione di un blocco etico, prima ancora che sociale. La societa' civile.
Con il passaggio alla seconda Repubblica, il sentimento di "superiorita'", ha trovato nuova linfa. Su due versanti. Tangentopoli: avrebbe risparmiato i migliori, o i piu' onesti (P.D.S. e Lega, soprattutto); le vittorie della destra - 1994 e 2001 - andavano lette rispettivamente in chiave di una perdurante supremazia della cultura antifascista e di un'antropologia negativa degli italiani che non saprebbero riconoscere ne' il bene del Paese, ne' il proprio (per approfondimenti, rimandiamo ai saggi spietati di tre studiosi di sinistra: Ricolfi, 2005; Rossi, 2006; Romani, 2007).

E siamo al dopo, all'oggi.
Qualche avisaglia si era gia' verificata: i finanziamenti dell'allora PCI dall'URSS, cooperative rosse, intercettazioni. Il trend si inverte dopo la sconfitta "senza se e senza ma" del 2008 (v. E. Berselli, Sinistrati, Mondadori 2008).
La questione morale si sposta a sinistra.
Due le cause. Una di antropologia politica: la politica corrompe, permea il tessuto connettivo e stabilisce delle relazioni basate sul potere. I Democratici si mostrano oggi largamente vulnerabili e permeabili nella loro periferia di amministratori: sia di sindaci che, in ispecie, di assessori. Il "partito dei cacicchi" domina nel sud.
Il secondo, politico, per il mancato ricambio generazionale e per la debolezza del partito, dell'organizzazione del partito e di comuni linee di condotta. L'epicentro del blocco oligarchico-castale rimane a Roma.
Se la sinistra non porra' mano brutalmente a questo stato di cose, finira' azzerata dai suoi "ladri", dalle sue "inconcludenze" e dai suoi "sociologismi".

Considerazioni finali.

A) La ricorrente "questione morale" e' in effetti una "questione politica".
Una questione di regole e di sanzioni, piu' che di etica. La moralita' attiene alla sfera della coscienza individuale, non e' un prodotto da smerciare sul supermercato mediatico, ne' una sorta di passepourtout. La politica al rispetto delle leggi. Chi non la applica: paga.
Nei paesi di piu' antica cultura e tradizione liberale non si conta sulla "bonta'" degli uomini per creare la "buona societa'", ma sulle "buone leggi".

B) Non si puo' riformare la politica con le manette(nuova deriva giustizialista). Le inchieste giudiziarie sono sacrosante quando sono fatte a regola d'arte e in punto di diritto. Nessuno e' sopra la legge, meno che mai se amministra la cosa pubblica.
Ma c'e' una strana eccitazione in giro. Quindici anni fa, le inchieste giudiziarie non si limitarono a colpire i reati, sciolsero due grandi partiti di massa, cambiarono il corso della storia d'Italia. Non credo che convenga a nessuno sperare che questa sia la seconda puntata, e che una nuova Tangentopoli dissolva un altro partito di massa. La democrazia italiana ne uscirebbe di nuovo azzoppata e mutilata, e piu' debole, ed esposta come prima alla corruzione.

C) Abbiamo bisogno di una nuova classe politica di destra come di sinistra: giovane, onesta, non ricattabile, con studi seri alle spalle, riformista. Legata da un comune senso di appartenenza, pur nella diversita' dei ruoli e delle responsabilita', ai valori di fondo, irrinunciabili, della nazione. Pronta a competere, piu' che sui posti da spartire e sui favori da elargire, sui progetti di sviluppo e ammodernamento del Paese. Che sappia fornire le linee-guida in grado di organizzare la modernita'. Selezionata attraverso meccanismi oggettivi che consentano la ricerca dei piu' idonei e, insieme, la possibilita' di un fisiologico ricambio. Ebbene, c'e' molto poco di tutto cio' in Italia. L'opera di ricostruzione e' enorme. Oggi la classe politica (in senso lato) e' un gruppo di professionisti legati solo da interessi comuni e da forti vincoli di solidarieta': in fondo cosi' simile a quella "classe politica" che Gaetano Mosca aveva descritto nell'Italia di fine ottocento.

D) I partiti politici, sorti post 1990, si connotano come partiti leggeri, a maglie larghe, con l'azzeramento dell'iscritto militante e della vita di sezione, come consorterie oligarchiche o apparati che si riproducono per cooptazione.
Si e' quindi interrotta la catena di trasmissione dalla base al vertice e il controllo esercitato dal partito sugli eletti. Queste "diseconomie" sono, tra le cause, delle degenerazioni in periferia. Per chi scrive, si appalesa opportuno: a) ritornare a partiti piu' strutturati che responsabilizzino i gruppi dirigenti locali, ne verifichino i risultati e abbiano gli strumenti per eventuali correzioni e rimozioni; b) emanare una legge che applichi l'articolo 49 della Costituzione e preveda norme vincolanti sui principi di trasparenza interna, di selezione delle classi dirigenti, di bilancio, di regole etiche e di garanzia. Tanto vincolanti che solo chi rispetti queste disposizioni, possa accedere al finanziamento pubblico dei partiti.

E) Prioritaria rispetto ad ogni altra tematica si presenta, ancora una volta, la necessita' di una rivoluzione culturale, mentale, etica. Una rivoluzione delle coscienze che ci faccia risentire nazione, che ridia un senso al futuro.
Societa' come le nostre, dove giustamente vogliamo che milioni e milioni di decisioni siano adottate da milioni e milioni di individui, dove giustamente vogliamo che gli individui possano essere quanto piu' possibile autonomi e responsabili di se stessi, sono societa' ingovernabili se non c'e' un tessuto morale che induca questi individui al senso della solidarieta' e della missione comune.
Solo cosi' possiamo davvero aspirare a creare quell'ordine nuovo di cui tutti noi sentiamo il bisogno. Un ordine fatto di principi etici condivisi, di riconoscimento degli altri, di intollerabilita' delle disuguaglianze, di accettazione delle diversita' e di non accettazione delle diversita' contrarie alla dignita' dell'uomo.
A queste esigenze dobbiamo rispondere noi e non i nostri nipoti alla fine di questo secolo.

Lucca, 23 dicembre 2008
Andrea Talia

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