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Cade quest'anno il centenario della nascita di Amintore Fanfani

Di Paolo Razzuoli

Cento anni or sono e' nato Amintore Fanfani, uno dei Padri della Repubblica, ed uno dei piu' importanti rappresentanti della Democrazia Cristiana, praticamente per tutto l'arco temporale della sua esistenza.

E' stato uno dei principali punti di riferimento della storia del primo cinquantennio repubblicano, sia quale uomo di governo, sia quale attivissimo dirigente della DC di cui ha, ripetutamente, ricoperto la carica di Segretario nazionale.

Ha avuto un ruolo chiave in tutti i piu' importanti snodi della recente storia nazionale ed il suo nome e' legato a leggi e vicende che hanno profondamente inciso sulla societa' italiana.
Basta ricordarne alcune: la sua attivissima partecipazione alla Costituente; la notissima riforma agraria dell'inizio degli anni '50; il piano casa che ha segnato l'avvio dell'edilizia popolare e che ha, contemporaneamente, positivamente intercettato due esigenze: Dare un forte impulso verso la soluzione del problema abitativo per il ceto popolare, attivare un importantissimo motore per favorire l'occupazione; le scelte strategiche in campo economico e infrastrutturale che sono state alla base dello sviluppo del Paese. A questo proposito e' necessario ricordare che ancora negli anni '50 moltissime frazioni del territorio nazionale erano sprovviste di un collegamento stradale idoneo per il traffico automobilistico. Fanfani diede vita ad una normativa che consentiva l'attivazione di "cantieri" per la realizzazione di tali strade, destinati a manodopera prevalentemente locale, quindi utili sia per la realizzazione delle infrastrutture che per rispondere al bisogno occupazionale. Sempre ponendo il focus sull'ammodernamento infrastrutturale, non si puo' ignorare la realizzazione dell'autostrada del Sole, opera fondamentale per lo sviluppo economico e, in quanto mezzo di agevolazione della mobilita', per l'incremento della reciproca conoscenza fra le varie aree del Paese, quindi per il miglioramento del livello di unificazione culturale della nazione. Va poi ricordata la lucida strategia rispetto allo sviluppo di alcune fondamentali aziende a partecipazione pubblica, fra cui non si puo' evidentemente ignorare l'ENI, impegnata nel fondamentale ambito energetico, e guidata da quella illuminata figura che fu enrico Mattei. In sintesi, non mi pare esagerato affermare che, assieme al tandem De Gasperi-Einaudi, Fanfani e' stato l'uomo politico e di governo che piu' ha inciso sulle scelte strategiche dello sviluppo italiano del dopoguerra.
Infine va ricordato l'avvio della stagione del centrosinistra, con i suoi governi dei primi anni '60, che si avvalsero dell'appoggio esterno del Partito Socialista e che attuarono, fra l'altro, due riforme destinate ad incidere profondamente sulla vita del Paese: la nazionalizzazione dell'energia elettrica e la scuola media unica.

Per ricordare la figura di Fanfani, soprattutto pensando ai lettori piu' giovani che non hanno vissuto le vicende storiche che lo hanno visto protagonista, propongo una breve biografia, ed un contributo vertente su aspetti della sua formazione politico-culturale, destinati a pesare ovviamente sulla sua azione politico-governativa.

Biografia di Amintore Fanfani

Nasce a Pieve Santo Stefano in provincia di Arezzo il 6 febbraio del 1908.
La sua formazione universitaria avviene alla Cattolica di Milano ove si laurea brillantemente e dove ottiene ben presto la cattedra di professore di economia.
Comincia a coltivare in giovane età entrambe le sue due maggiori passioni: la politica e la pittura, la prima sarà la sua missione, la seconda il suo svago preferito.

Sotto il fascismo si avvicina al gruppo antifascista della sinistra cristiana guidato da Giorgio La Pira e da Giuseppe Dossetti: i cosiddetti professorini che, nell’immediato dopoguerra, entreranno nella Democrazia Cristiana dando origine ad una corrente di sinistra (i dossettiani) che criticherà da posizioni progressiste la leadership di Alcide De Gasperi.

Dotato di un carattere schietto e di una buona dose di sarcasmo, divenne ben presto uno dei dirigenti politici democristiani più apprezzati all’estero, mentre in Italia aveva molti ammiratori ma anche molti avversari anche nella stessa DC.
Dotato, come gia' detto, di un forte carattere, Fanfani voleva essere un protagonista e da protagonista voleva contare nelle scelte decisive del suo partito e del governo, in sintesi voleva influenzare e determinare le linee guida del paese. Notevole erano le sue capacità organizzative e l’impegno profuso nell’azione politica

Nel 1946 viene eletto all’Assemblea Costituente dove svolge magistralmente il ruolo di Padre della Patria: di sua produzione è la formula d’apertura della Costituzione repubblicana “L’Italia è una repubblica democratica. Il potere appartiene al popolo che lo esercita nelle forme e nei modi previsti dalla Costituzione” (art. 1) che seppe, soprattutto nel II comma, mettere d’accordo sia i sostenitori di “una repubblica fondata sulle libertà” (Ugo La Malfa e molti altri liberaldemocratici), sia i fautori di “una repubblica di lavoratori” (Togliatti e Nenni).

Dopo la stagione della Costituente inizia quella di governo.
Nel 1948 la Dc di De Gasperi ha - come e' noto - sbaragliato il Fronte popolare formato dal PCI e dal PSI; Fanfani è stato eletto alla Camera nella circoscrizione di Siena (dove sarà riconfermato, sempre per la circoscrizione toscana, fino al 1968, quando il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat lo nominerà Senatore a vita).

De Gasperi lo chiama a far parte del governo quale Ministro del Lavoro e della previdenza sociale. Sarà in questa veste che attuerà un vasto piano di edilizia popolare, le famose case Fanfani, che daranno da lavorare a molti disoccupati.

Nel 1951, VII Governo De Gasperi, diviene Ministro dell’Agricoltura e delle foreste e nel 1953 compie il grande balzo: diventa Ministro dell’Interno nel VIII Governo De Gasperi, incarico in cui sarà confermato anche nel successivo esecutivo (sempre nello stesso anno) presieduto dall’antico rivale Giuseppe Pella (Dc).

Il 1953 segna, a seguito del risultato delle elezioni politiche che non consentirono di far scattare il premio di maggioranza previsto dalla riforma elettorale voluta da De Gasperi, la fine, dell’era degasperiana e l'avvio di una fase di instabilita', e di fragilita' dei governi che ha segnato praticamente tutta la storia repubblicana italiana.
Al congresso democristiano (il V della sua storia, tenutosi a Napoli dal 26 al 29 giugno 1954, Amintore Fanfani viene eletto segretario nazionale del partito: carica a cui sarà riconfermato al successivo VI Congresso (Trento, 14-18 ottobre 1956).

Nel gennaio del 1954 entrerà al Viminale dove allora aveva sede, in coabitazione con il Ministero degli Interni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e vi resterà per neanche due settimane in quanto il suo esecutivo non otterrà la necessaria fiducia del Parlamento.
Diventato, come si è visto, segretario della Dc, inizierà una politica di progressiva autonomia del partito dalle tradizionali agenzie collaterali (soprattutto la Chiesa), volendo fare della Dc un partito in grado di reggersi sulle proprie gambe e di fare concorrenza sul piano dell’organizzazione alla perfetta e capillare diffusione sul territorio del Pci.

 

Consapevole delle difficolta' derivanti dall'instabilita' dei governi, tenterà, al termine degli anni '50, di aumentare il potere e l’incisività dell’esecutivo e del suo presidente. Non essendo immaginabile allora alcuna riforma costituzionale, Fanfani pensa di arrivare a ciò concentrando nelle proprie mani sia la carica di segretario politico della Dc (che detiene dal 1954), sia la presidenza del Consiglio dei Ministri che conquista nel 1958 a guida di un bicolore Dc-Psdi.

L'eccessiva concentrazione di potere creo' non poco allarme, dentro e fuori la Democrazia Cristiana. Fu cosi' che nel 1959 fu costretto ad abbandonare sia la presidenza del Consiglio che la carica di Segretario della Democrazia Cristiana.

La quarantena tuttavia fu di breve durata. Dopo ogni tonfo politico, Amintore Fanfani trovava sempre la chiave giusta per riemergere.
L'inizio degli anni ’60 lo trovano nuovamente protagonista della scena politica nazionale: egli infatti darà inizio ad una nuova stagione politica caratterizzata dalla nuova formula di governo del centro-sinistra di cui sarà lui stesso l’iniziatore con i suoi governi (III-IV 1960-63) che, composti dalla Dc, dal Psdi di Saragat e dal Pri di Ugo La Malfa, godrà dell’appoggio determinante del Psi di Pietro Nenni che aveva imboccato una linea autonoma rispetto al Pci dopo anni di patti di unità d’azione a sinistra.
Sono questi gli anni della programmazione economica sostenuta, oltre che dallo stesso Fanfani, anche dal leader repubblicano La Malfa e dal socialista (ex azionista come La Malfa) Riccardo Lombardi.

Alle elezioni politiche del 1963 la DC subi' una significativa flessione mentre si registro' un notevole  aumento dei liberali di Malagodi che fece toccare al Pli il suo massimo storico con il raggiungimento di oltre il 7 % dei voti, molti dei quali ottenuti a danno proprio della Dc).
Dopo un governo ponte presieduto da Giovanni Leone, la guida del governo va ad Aldo Moro che, incurante delle opposizioni delle destre interne ed esterne al partito, continua nell’esperienza di centrosinistra, inserendo, ed è la prima volta dalla primavera del 1947, dei ministri socialisti nel governo del paese. Nel dicembre del 1963 Pietro Nenni diviene Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, e i suoi compagni di partito Giacomo Mancini ed Antonio Giolitti diventano rispettivamente Ministri della Sanità e del Bilancio.

Fanfani è estromesso dai giochi di potere e vede altri (Moro) alla guida della creatura (il centro-sinistra) da lui stesso ideata e realizzata. Le differenze tra i due modelli di centro-sinistra risiedono soprattutto nel fatto che per Fanfani il centro-sinistra doveva innanzi tutto compiere riforme strutturali e di sistema in modo da sconfiggere i comunisti (ed indebolire gli stessi alleati socialisti) sul loro stesso terreno politico, invece Moro intendeva il centro-sinistra come una formula più marcatamente politica in grado di aumentare il numero degli attori politici partecipanti all’azione di governo. Una scelta strategica che Moro riproporra' nella seconda parte degli anni '70 con la solidarieta' nazionale, brutalmente interrotta con il suo assassinio ad opera delle brigate rosse.

Al XII congresso democristiano, tenutosi a Roma dal 6 al 10 giugno 1973, viene nuovamente chiamato alla carica di Segretario nazionale della Democrazia Cristiana.
E' il periodo dell'acceso dibattito sulla legislazione che introduce il divorzio nel nostro Paese. Viene indetto il referendum abrogativo e Fanfani, in qualita' di segretario DC, impegna se stesso ed il partito nella campagna per l'abrogazione della legge.
IL referendum si svolgera' nel 1974 e gli abrogazionisti risulteranno perdenti.

Sconfitto sul tema del divorzio e ridimensionata la Dc nelle elezioni amministrative della primavera del 1975 che videro un’imponente avanzata elettorale del Partito Comunista Italiano guidato da Enrico Berlinguer e la conquista da parte delle sinistre (Pci e Psi, in molti casi appoggiate anche dagli eletti del Psdi e del Pri e, come a Torino dell’eletto di Democrazia Proletaria, Dp, che appoggiava la giunta guidata dal sindaco comunista Diego Novelli) delle maggiori città italiane, Fanfani viene allontanato dalla segreteria della Dc. Verrà eletto il moroteo Benigno Zaccagnini. Fanfani assumerà la presidenza del senato (carica già ricoperta nel 1968-73), e che ricoprira' nel periodo 1976-82 e nel periodo 1985-87.
  Sia nel 1982, sia nel 1987, sarà richiamato alla guida di due esecutivi per tentare di far raffreddare le acque di un clima politico sempre più caldo, segnato dallo scontro, tutto interno alla maggioranza governativa di pentapartito (Dc, Psi, Pri, Psdi, Pli) e soprattutto tra la Democrazia Cristiana di Ciriaco De Mita ed il Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi.

Le ultime esperienze di governo di Fanfani sono nel 1987 (Ministro dell’Interno nel governo presieduto dal compagno di partito Giovanni Goria) e nel 1988 (Ministro del Bilancio e della programmazione nell’esecutivo presieduto dal segretario democristiano Ciriaco De Mita.

All’età di oltre 91 anni si è spento sabato 20 novembre 1999, tra il cordoglio di tutta la classe politica e dirigente nazionale.

Lucca, 14 dicembre 2008

La Cattolica negli anni della formazione di Amintore Fanfani - Con lo sguardo oltre il fascismo

di Maria Bocci

(Da L'Osservatore Romano, ediz. del 14 dicembre 2008)

A cento anni dalla nascita di Amintore Fanfani, l'Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fondazione intitolata allo statista italiano hanno organizzato un convegno per ricordarlo. Di seguito riporto alcuni stralci di uno degli interventi.

Sin dalle sue origini l'Università Cattolica del Sacro Cuore ha dato ampio spazio alle scienze economico-sociali, alla cui identificazione il dibattito alimentato dall'ateneo ha fornito un contributo significativo, nel momento in cui si intensificava la ricerca di nuove metodologie e si consolidavano le fondamenta di discipline come la sociologia o il filone statistico-demografico. Nel sistema universitario italiano mancavano ancora corsi che formassero figure professionali di cui si avvertiva il bisogno nei settori economici e politico-istituzionali. La creazione della Facoltà di Scienze sociali si deve dunque all'obiettivo, perseguito dal padre fondatore, di munire i laureati della Cattolica di tecniche e saperi aggiornati, indispensabili a vasti compiti sociali, politici e sindacali.

A questi intenti, innestati su una critica piuttosto radicale agli squilibri socio-economici del sistema liberal-capitalistico, si riteneva di poter arrivare grazie alla disponibilità di studiosi entrati nella maturità della loro produzione scientifica, come coloro che erano stati alla scuola di Giuseppe Toniolo e sui quali si imperniava la facoltà, oppure di chi, per ora, era soltanto introdotto in un cammino di specializzazione. Così sotto l'ala protettrice del cattolicesimo "massimalista" che aveva originato l'ateneo, un drappello di laureati, assistenti e docenti, dalle coordinate biografiche più recenti, avrebbe raccolto il testimone dalla più attempata generazione di studiosi, finendo in qualche caso per metterla da parte e addirittura per sostituirla, per mandato dello stesso padre fondatore.
Certamente Fanfani, con i "professorini" di Milano, e non solo Lazzati, Dossetti e Saraceno, ma pure Vito, Franceschini, Giulio Vismara, Franco Feroldi e molti altri ancora, è da annoverare nella squadra di giovani studiosi prodotta dall'ateneo milanese, protetta e sostenuta da padre Gemelli. Già nel 1930, al momento della laurea in Scienze economiche e sociali, il rettore lo aveva raccomandato al preside Zanzucchi, intravedendo in lui capacità che andavano coltivate. Da allora l'appoggio autorevole di Gemelli avrebbe accompagnato la velocissima carriera accademica di Fanfani. Al momento della chiamata di Fanfani alla cattedra di Storia economica, il Consiglio della Facoltà di Scienze politiche sottolineava le ragioni che inducevano a intravedere in lui uno studioso che interpretava degnamente i compiti attribuiti ai docenti dell'Università Cattolica. I suoi studi - si legge nel verbale - dimostrano modernità di prospettiva, perché sa "far convergere la visione delle teorie economiche del passato verso le attuali esigenze della scienza economica, esaminando nella dottrina il cammino dell'idea dell'intervento statale nella vita economica". Il percorso scientifico di Fanfani era giudicato idoneo perché si confrontava con una delle tematiche allora più discusse, quella dell'"origine, dello sviluppo e della recente fase critica del capitalismo", che sembrava suggerire la necessità che l'economia fosse regolata dalla politica sulla base di un'ispirazione solidaristica e attraverso il potenziamento dell'intervento statale, valutato dagli studiosi della Cattolica sia nella traduzione corporativa, sia nella versione dello Stato sociale.

Nel corso degli anni Venti l'attenzione alle scienze socio-economiche era stata dettata - lo si è visto - anche dalla volontà di creare un'alternativa alla costruzione dello Stato fascista.
Nel decennio successivo il paragone con la contemporaneità induceva a soffermarsi sullo Stato sociale e sull'esperimento corporativo per affrettarne uno sviluppo "cristiano", alternativo alla soluzione liberale come a quella marxista. Il progetto originario acquisiva dunque caratteri per certi versi imprevedibili, non scontati, perché interpretava la crisi degli anni Trenta come un momento di possibile moralizzazione della vita associata. La linea di marcia non rinnegava però completamente le aspirazioni iniziali, credendo di aver individuato nella "società organica", meta di diversi sistemi politici, nuove piste di lancio per il proprio modello sociale. A partire da questo punto di vista si valutavano anche le realizzazioni del regime; l'ottica che presiedeva alle riflessioni sviluppate in Cattolica finiva però per erigere una sorta di barriera prudenziale tra la propria utopia sociale e la realtà del Paese, fungendo da possibile punto di fuga verso auspicabili rivolgimenti politici, cui la classe dirigente cattolica, messa in cantiere nell'ateneo e definitasi meglio nel corso del conflitto, avrebbe dato contributi notevoli.

Gemelli - come notava una spia fascista - aveva voluto "irreggimentare gli intellettuali cattolici per la futura successione". E Fanfani di quel reggimento faceva parte: era anzi una delle punte avanzate della "riserva di governo" che - lo prevedeva un'altra spia - sarebbe entrata in azione al momento del crollo del regime. A monte dell'ingaggio politico e civile di molti di coloro che costituiranno di lì a poco il nerbo dell'Italia democristiana vi erano dunque il crogiuolo formativo milanese e le riflessioni in esso maturate a opera di studiosi legati a filo doppio al rettore francescano. Queste stesse riflessioni furono una specie di stella polare al momento della ricostruzione; basti pensare al dibattito costituente e a quello sulla programmazione economica, alimentati entrambi dai "professorini" di padre Gemelli.

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