Fucinaidee propone ai suoi lettori, oltre a materiali relativi alla politicha locale, contributi vertenti su tematiche di piu' ampio respiro nell'intento di aiutare la riflessione sui fatti e sul pensiero contemporaneo.
In linea con questa scelta proponiamo il seguente contributo - di grande profondita' - vertente su un tema fondamentale del tempo che viviamo.
di Guzmán Carriquiry Lecour
(Da L'Osservatore Romano - ediz. del 27 agosto 2008)
L'attuale appello universale ai diritti umani si scontra con il paradosso che mai i diritti umani sono stati così carenti di fondamenta. Jacques Maritain
l'aveva già preannunciato nel dibattito preparatorio e nelle conclusioni della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Maritain proponeva allora di definire i diritti umani come "principi pratici" tra rappresentanti politici provenienti da tradizioni e correnti di pensiero diverse, con il paradosso
di trascurare le giustificazioni teoriche che ognuno avrebbe potuto darne e sulle quali non avrebbero potuto esserci accordi unanimi.
Maritain era certamente convinto che le vere fondamenta dei diritti umani risiedessero nella tradizione giusnaturalista, ma proponeva solo una convergenza
pratica sui diritti umani da parte di coloro che sono agli antipodi per ideologie radicalmente opposte.
"Siamo d'accordo sui diritti, purché non ci venga
domandato il perché", affermava allora Maritain.
Il risultato pratico fu ottimo, ma lasciare tra parentesi il "perché" avrebbe avuto un prezzo che stiamo ancora pagando.
Infatti, può essere accettata
un'applicazione irrazionale dei diritti umani?
"I diritti umani non possono essere arbitrari; esigono, al fine di poter essere una giustificazione universale, di essere ben fondati a partire dalla ragione e dinanzi a essa. Non sono ovvi né evidenti di per se stessi. Lasciati a se stessi diventano affermazione
gratuita, senza ragione.
Può essere sostenuta una politica duratura senza ragioni? Se i diritti umani non si fondano, si sfondano! Sono così alla mercé del potere e dei rapporti
di forza occasionali all'interno degli Stati, che stabiliscono convenzioni consensuali provvisorie nel quadro delle democrazie meramente "procedurali".
Questa situazione risulta particolarmente grave nell'epoca della deriva relativista. Per questo, da un lato, emergono rifiuti di natura ideologica o religiosa
che criticano le dichiarazioni dei diritti umani perché "occidentali" - a partire sia da un multiculturalismo radicale che da un fondamentalismo religioso
- e, dall'altro, si impongono nuovi diritti che rispondono all'esaltazione disordinata di desideri arbitrari degli individui.
Non siamo forse testimoni
di campagne di opinione e di pressioni di forti poteri transnazionali per indurre le legislazioni nazionali a introdurre forme di liberalizzazione delle
pratiche abortive e delle manipolazioni bioetiche selvagge, di identificazione del matrimonio con le unioni libere, di promozione delle pratiche eugenetiche
ed eutanasiche? Si vogliono trasformare in diritti individuali quelli che sono attentati contro i diritti fondamentali della persona umana.
Si manipola l'individuo sempre più verso desideri momentanei e fugaci, si limitano le difese dei suoi diritti naturali fondamentali e si favoriscono nuovi
presunti diritti-desideri individuali, senza alcun riferimento a valori fondati, a doveri e responsabilità.
Ogni individuo o gruppo rivendica il "suo diritto",
ignorando che ogni diritto comporta necessariamente un relativo dovere. Non solo, il paradosso di una democrazia fondata sul relativismo etico come ideologia
adeguata e funzionale a società "multiculturali" nega in via teorica una verità ontologica sull'uomo, ma permette al potere di dettare mediante le leggi
e di diffondere mediante i mezzi di comunicazione di massa una propria ontologia, antropologia ed etica, facendo anche passare per libertà conquistate
quelli che non sono altro che attentati contro la persona umana.
È quello che il cardinale Joseph Ratzinger ha chiamato "dittatura del relativismo".
In particolar modo, è paradossale che quanto più si critichino a livello latinoamericano i limiti e i fallimenti del neoliberalismo economico, più si cerchi
la patente di "progresso" nell'ambito di proposte e di legislazioni caratterizzate da un individualismo selvaggio e un ultraliberalismo radicale, che attentano
contro il primo diritto, quello alla vita, e che attaccano e disgregano il carattere umano e il tessuto familiare, sociale e culturale dei popoli.
Questo è il paradosso delle società liberal-democratiche del nostro tempo: se hanno un'ideologia ufficialmente sancita dallo Stato diventano autoritarie
e totalitarie; se invece non fanno riferimento a una tradizione di valori fondamentali, non suscitano né alimentano forti consapevolezze di appartenenza,
né convergenze solidali e costruttive, bensì tendono a disgregarsi. Senza un comune orizzonte di giudizio e di valore, non c'è nessun dialogo intelligente,
nessuna democrazia ben fondata, nessuna opzione ragionevole sul bene comune.
Per questa stessa ragione, rappresentanti della migliore tradizione illuminista, come Jürgen Habermas ed Ernst-Wolfgang Böckenförde, riconoscono che lo
Stato liberale e secolarizzato non è una societas perfecta, nel senso di autosufficiente; per la sua edificazione e conservazione ha bisogno di far riferimento
ad altre fonti e forze, poiché vive di presupposti che essa stessa non può garantire; c'è una base di verità che non è sottoposta al consenso politico,
che lo precede, che lo rende possibile, che lo presiede, che lo orienta e che lo anima.
Se a partire dalla filosofia della tradizione illuminista non esiste più una base razionale assoluta sulla quale fondare i diritti umani, il vuoto attuale
non può né deve essere riempito dai fondamentalismi politici o religiosi né da un "anti-fondazionismo" che lascia la dignità umana a livello di pura e
vuota retorica e i diritti umani alla mercé della volontà del potere.
Nel suo dialogo con Ratzinger, Habermas evidenzia il ruolo positivo che la religione svolge nei confronti delle società pluraliste dotate di una costituzione
liberale. In esse, "il concetto di tolleranza aiuta i credenti a comprendere, nel loro rapporto con i non credenti o con i credenti di altre religioni,
che devono rivedere ragionevolmente il loro persistente disaccordo. Però, dall'altro lato, nel quadro di una politica-cultura liberale, i non credenti
si sforzano di accettare questa stessa possibilità nel rapporto con i credenti".
Ratzinger risponde, a sua volta, citando Karl Hubner, che è "necessario
liberarsi dell'idea enormemente falsa che la fede non abbia nulla da dire agli uomini di oggi, perché contraddice il loro concetto umanista di ragione,
di illuminismo e di libertà".
Occorre, quindi, secondo Ratzinger, una purificazione della ragione (affinché la dignità umana non sia ridotta a una opzione, un puro atto di volontà,
irrazionale) e una purificazione della religione (al di là delle sue semplificazioni tra fondamentalismo e fideismo) per giungere, con la dovuta coniugazione
di queste due sfere del sapere umano, a una rifondazione della dignità e dei diritti umani.
Per entrambi gli esponenti e per le correnti che rappresentano
- sviluppatesi in tempi di totalitarismi e stanchezza critica della modernità secolarista - lo Stato liberal-democratico diventa un ambito di vincoli,
legittimazioni, riconoscimenti, garanzie per tutti.
In questa prospettiva si legge il riferirsi del Papa alla "laicità positiva" nella tradizione della vita pubblica negli Stati Uniti.
Non sorprende quindi che verso la fine del pontificato di Giovanni Paolo II e, ancor più, nell'attuale pontificato la Chiesa riprenda la tradizione
del diritto naturale. Si tratta di un tema che è stato un po' trascurato nel pensiero cattolico durante la prima fase post-conciliare. Oggi il riferimento
alla "natura" non è assolutamente univoco. Essa non può essere ridotta a concezioni materialiste, biologiste, ma neppure ad astratte considerazioni ontologiche
che non includono i flussi storici e culturali.
Attualmente la tradizione del diritto naturale esige di essere riformulata, sia per l'ampliamento degli orizzonti della ragione - al di là degli stretti
circoli viziosi e riduttivi di razionalismi positivisti, scientisti - alla luce del Lògos eterno, sia per lo sviluppo di una ontologia della partecipazione,
della antropologia e dell'etica che da essa derivano, sia considerando gli sviluppi scientifici e culturali del nostro tempo, sia alla luce della profondità
storica della saggezza umana che si esprime soprattutto attraverso le tradizioni religiose. In una lettera del 5 novembre 2004 indirizzata a un gruppo
di centri universitari di tutto il mondo, l'allora cardinale Ratzinger li invitava a intraprendere questa appassionante ricerca, ribadendo le due vie autonome
ma inscindibili della ragione naturale e della fede, alla luce della "preoccupazione della Chiesa cattolica per la difficoltà nel mondo moderno di trovare
un denominatore comune di principi morali condivisi da tutti, basati sulla costituzione stessa dell'uomo e della società, che possano servire come criteri
di base per legiferare sui problemi fondamentali che riguardano i diritti e i doveri di ogni uomo".
La Chiesa cattolica si fa custode e avvocata di "principi non negoziabili", tradotti in diritti basati "sulla legge naturale iscritta nel cuore dell'uomo, presente nelle diverse culture e civiltà", necessari per un'autentica convivenza umana. Per questo, Benedetto XVI propone, nel suo recente discorso all'Assemblea delle Nazioni Unite e in occasione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, di ritrovare nel nostro tempo la convergenza di tradizioni culturali e religiose al fine di mettere sempre la persona umana al centro delle istituzioni, delle leggi e degli interventi della società e di rispettare e promuovere i diritti umani nella loro "universalità, indivisibilità e interdipendenza" come "linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali", nonché "la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze tra paesi e gruppi sociali", per combattere il terrorismo e aumentare la sicurezza.