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a trent'anni dalla promulgazione della legge n.180 sui disturbi mentali: valutare l'esperienza senza paraocchi ideologici.

Di Raffaello Papeschi

Da psichiatra continuo a protestare, come ho fatto per 30 anni, contro la legge attuale sui disturbi mentali e contro la situazione che questa legge ha creato per i pazienti e le loro famiglie. L'aver vietato per legge la possibilità di curare queste persone al di fuori della loro famiglia, in strutture ospedaliere a tipo di comunità terapeutica, in cui si possano attuare tutti gli attuali mezzi, dalla ricostruzione delle dinamiche psico-sociali che hanno condotto alla crisi, all'indagine sulle condizioni predisponenti biologiche e organiche, ha privato i nostri concittadini di una modalità fondamentale del diritto alla salute, che non si verifica in nessun altro paese civile all'infuori che in Italia.
Non si tratta di "rifare i manicomi", come polemicamente viene osservato da chi si è fatto accecare da un'ideologia socio-politica sessantottina, esclusivamente Italiana, e non ha nè verificato di persona nè seguito sulla letteratura gli sviluppi della teoria e pratica psichiatrica fuori d'Italia.

 

Questa legge, che viene spacciata per una delle "conquiste civili" degli ultimi cinquant'anni, ha scaricato il peso dell'assistenza psichiatrica per la maggior parte sulle famiglie, con la scusa di "restituire alla società capitalistica le contradizioni che ha prodotto" (vedi allegata recensione degli scritti di Basaglia). In realtà, invece che una conquista sociale, la legge si è rivelata un grosso risparmio per le casse delle Regioni a cui incombe l'onere di provvededere alla Sanità, poichè la spesa per gli ex-Ospedali Psichiatrici, almeno nella Regione Toscana che si vanta di avere una Sanità modello, è stata solo in piccola parte convertita per l'assistenza sul territorio, e il resto è stato incamerato. Così ora sono le famiglie a sopportare la spesa. La famiglia di origine d'altronde è, se non la maggiore, una delle concause principali del disturbo mentale (vedi opinione di David Cooper, "antipsichiatra" britannico, riportata in "La Maggioranza Deviante" di F. Basaglia e F. Basaglia Ongaro, Einaudi, 1971, p.112, e "Sanity, Madness and the Family" di R.D. Laing e A. Easterson, Penguin Books, 1964, si trova anche tradotto in Italiano). La famiglia è la cellula della società, ma quando si ammala scarica tutte le dinamiche patologiche sul soggetto più debole al suo interno, che diventa il capro espiatorio.
  Lo stesso dicasi dell'ambiente sociale che circonda il paziente. Aveva ragione Basaglia a dire che la società è ammalata, ma questa è proprio la ragione per cui rimandare il paziente nella propria famiglia e nel proprio ambiente sociale significa molte volte esporlo di nuovo, prima che sia in condizioni di poter resistere, agli stessi fattori patogeni che l'hanno portato alla crisi. E' proprio il contrario di ciò che si deve fare. Il paziente ha necessità per un periodo di tempo limitato, ma che non si può preventivamente limitare ai 7-15 giorni del Servizio di Diagnosi e Cura previsto dalla legge, di uscire dalle dinamiche psicopatologiche ambientali e familiari, e entrare in un ambiente terapeutico dove venga affrontato il suo problema alla radice. Questo non è l'ambiente del Servizio di Diagnosi e Cura, dove nella maggior parte dei casi i pazienti stazionano passivamente, trascorrendo la giornata davanti alla TV, a fumare e a mangiare, essendo sottoposti prevalentemente a terapia farmacologica. La crisi psicotica non si cura così.

 

Non ci vengano a dire i Basagliani che la legge 180 voleva e prevedeva l'istituzione di Comunità Terapeutiche al posto degli Ospedali Psichiatrici. Basaglia rifiutava la Comunità Terapeutica: "Il nuovo psichiatra sociale, lo psicoterapeuta, l'assistente sociale .. non sono che i nuovi amministratori della violenza del potere, nella misura in cui - ammorbidendo gli attriti, sciogliendo le resistenze, risolvendo i conflitti provocati dalle istituzioni - non fanno che consentire, con la loro azione apparentemente riparatrice e non violenta, il perpetuarsi della violenza globale" (Istituzione Negata, a cura di F. Basaglia, Einaudi, 1973, p.116). "Per questo rifiutiamo di proporre la comunità terapeutica come un modello istituzionale che verrebbe vissuto come la proposta di una nuova tecnica risolutrice di conflitti" (ibidem, p.149).  "La Comunità Terapeutica può essere ridotta - sotto la parvenza di un'ideologia di denuncia sociale - come la proposta di una nuova soluzione tecnica del problema psichiatrico specifico. ...Nel nostro contesto sociale la politicizzazione della nostra azione è ancora l'unico atto terapeutico che ci sia consentito.." (Scritti di Basaglia, Einaudi, 1982,  vol II, pag. 84-5, nonchè passim, come il dialogo con Laing e Sartre, che sostenevano l'utilità della Comunità Terapeutica, mentre Basaglia ribadiva che era pericolosa perchè "..è la logica economica a stabilire ciò che è umano e ciò che non lo è, ciò che è sano e ciò che è malato, ciò che è bello e ciò che è brutto, ciò che è corretto e ciò che è riprovevole", ibidem p. 312). Perciò la ricetta consigliata da Basaglia era, con la lotta di classe, di "..mantenere un livello di conflittualità tale da stimolare, anzichè reprimere l'aggressività, le forze di reazione individuali di ogni singolo malato" (Istituzione Negata, p.133). Ed è esattamente per questa teoria Basagliana che la legge 180/1978, oltre a non prevedere alcuna Comunità Terapeutica, dice: "E' in ogni caso vietato costruire nuovi ospedali psichiatrici, utilizzare quelli attualmente esistenti come divisioni specialistiche psichiatriche di ospedali generali, istituire negli ospedali generali divisioni o sezioni psichiatriche e utilizzare come tali divisioni o sezioni neurologiche o neuropsichiatriche" (art. 7, comma 6). La diagnosi della società Italiana di Basaglia era (parzialmente) giusta, la sua terapia completamente sbagliata.

   

Tutto ciò non significa che il paziente debba entrare nel circolo chiuso della "medicalizzazione della sua condizione", da cui non potrà più uscire, come affermano coloro che si sono nutriti dell'ideologia Basagliana. Al contrario, è l'attuale sistema che ha prodotto quella che si chiama la sindrome della "porta girevole": si va a casa, non curati, e dopo un mese si ritorna all'SPDC, o peggio si commettono reati di cui la cronaca non è parca. Verificare le statistiche, la maggior parte dei pazienti sono sempre i soliti, quelli che vengono chiamati "ricoveri impropri".

 

Per questo penso che sia giusto mobilitare l'opinione pubblica, già sensibile da sè al problema, per far sì che i nostri politici si interessino finalmente di un problema reale del paese, e non continuino, come hanno fatto finora, a occuparsi solo di come si vincono le elezioni per difendere i propri interessi economici e per impadronirsi del potere. Da quando la legge 180 fu approvata nel 1978 si sono succeduti almeno una quindicina di progetti di legge per riformarla: nessuno è mai andato in porto, perchè non c'è mai stato il consenso delle parti e perchè l'esame di questi progetti è stato regolarmente rinviato a fine legislatura, poco prima che il Governo venisse a cascare. Nessun politico, nè di destra nè di sinistra, vuol metter mano a una riforma della legge. Anche se la 180 non è l'unica legge iniqua in Italia: si mette in galera chi commercia marjuana ma si lasciano vendere le droghe di stato, alcool e tabacco; si depenalizza il reato di falso in bilancio, si vietano le rogatorie internazionali e presto anche le intercettazioni telefoniche, per assicurare l'impunità a chi è al potere e mettere il bavaglio alla magistratura. Se questo è un paese civile..

 

Per questo, dietro richiesta di un politico che però non è poi stato capace di portarlo avanti, avevo preparato un disegno di legge, riportato qui sotto. Ti chiedo di farlo circolare, non perchè io mi proponga di entrare in politica, ma perchè credo che questo sia l'unico mezzo per colmare la frattura fra il paese reale e i nostri politici.

Proposta di modifica della Legge n.180 del 13 maggio 1978
A critical review of Franco Basaglia's writings
(Da "British Journal of Psychiatry)

Lucca, 25 febbraio 2008
Dottor Raffaello Papeschi

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