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Un libro da leggere: "I gendarmi della memoria" di Giampaolo Pansa

Di Paolo Razzuoli

Ho letto con grande interesse il libro "I gendarmi della memoria" di Giampaolo Pansa, che ho ricevuto come strenna natalizia.
Si tratta di un libro eloquente, che deve essere letto, per lo meno da coloro che hanno interesse per l'argomento affrontato dal noto giornalista negli ultimi suoi libri: la guerra civile che si combatte' in Italia dal 1943 al 1945, la resa dei conti che ne segui', l'interpretazione che dell'intera vicenda ne ha dato la sinistra e gli intellettuali ad essa ideologicamente collegati.

Ma chi sono i "gendarmi della memoria" evocati nel titolo del nuovo saggio di Giampaolo Pansa?
Sono tutti coloro - dalla sinistra radicale a molti intellettuali che vi si richiamano ideologicamente - che tengono sotto chiave la memoria della guerra civile, per impedire che chiunque dissenta dalla loro versione ci metta le mani, la "revisioni", racconti verità scomode che possano intaccarne l'immagine oleografica da loro custodita e tramandata nel tempo.

Pansa enumera quattro caratteristiche comportamentali di questi indignati speciali che insorgono ogni qual volta il totem della Resistenza viene analizzato senza tabù.
La prima: “se qualcuno osa criticare l’agiografia resistenziale, devi subito falsificare quello che dice. E sostenere che il perfido revisionista nega il significato politico, etico e di riscatto nazionale dell’intera Resistenza”. Anche se ciò non è palesemente vero.
La seconda: “..se poi lo stesso figuro sostiene di volere una storia completa della resistenza, senza omissioni e senza bugie, al riparo dalle faziosità politiche, l’accusa contro di lui va estesa. Sino a imputargli reati che non si è mai sognato di compiere. Per esempio, quello di mettere sullo stesso piano la causa dei fascisti e quella dei partigiani.”
La terza: “in questo modo il revisionista si trasforma nel rovescista, anzi in un vero e proprio negazionista, infame quanto chi nega l’Olocausto..”
La quarta:”..il negazionista va messo a tacere con norme di legge apposite, ossia con il silenzio obbligato e la galera.”

Questo libro ripercorre l'esperienza vissuta da Pansa nell'ultimo anno, dopo l'uscita del suo "La Grande Bugia". Un lavoro scomodo, documentato e duro, che rimetteva in discussione il mito resistenziale e il ruolo giocato dai comunisti nel costruirlo, criticando al contempo quanti non accettavano nessuna forma di ripensamento o di autocritica.
La reazione contro Pansa è stata durissima, costellata da gravi episodi di intolleranza. Ma l'autore non si è fatto certo intimidire e nelle sue nuove pagine dimostra la validità delle tesi che ha sostenuto, rivelando parecchie delle storie "proibite" dai gendarmi: da quelle di comandanti partigiani comunisti eliminati dal Partito perché dissenzienti rispetto alle sue direttive, al ruolo ambiguo, se non torbido, che esso svolse in una zona cruciale come l'Emilia nel periodo successivo alla Liberazione. Insieme a queste, Pansa racconta molte altre vicende della resa dei conti sui fascisti sconfitti, grazie alle testimonianze di persone che, dopo 60 anni di silenzio, oggi parlano. Una ricostruzione che si riallaccia alla cronaca più attuale, alle contraddizioni di una sinistra incapace di fare davvero i conti col passato senza dividersi al proprio interno e dunque destinata a mancare i suoi obiettivi.

Un libro secco, ma anche ironico e beffardo: soprattutto, un J'accuse contro la prepotenza, la presunzione, l'arroganza di chi dovrebbe al contrario dar prova di tolleranza, apertura al dialogo, al confronto.

Lucca, 14 gennaio 2008

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