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L’ITALIA DI OGGI.

Di Gherardo Micheli

Recentemente è stato presentato in varie città italiane il libro “Contro i giovani - Come l’Italia sta tradendo le nuove generazioni” di Vincenzo Galasso e Tito Boeri, due economisti che possono vantare, oltre a cattedre universitarie, anche numerose collaborazioni con istituti internazionali.
In data 17 dicembre 2007 il libro è stato presentato anche a Lucca, in un’iniziativa che ha cercato di coinvolgere direttamente e in prima persona anche i giovani, chiamati in causa già dal titolo dello studio. Tale opera è un’interessante spunto per intavolare alcune questioni che riguardano le dinamiche di fondo della società italiana, ma che non sempre sono adeguatamente discusse.

L’Italia che le attuali generazioni di giovani si troveranno in mano presenta problemi che crescono in maniera esponenziale col passare del tempo, e sorge spontaneo chiedersi come si possa migliorare la situazione e se tali giovani siano effettivamente in grado di gestire la situazione evitando il collasso.

Uno dei punti fondamentali sui quali occorre insistere è l’istruzione: la qualità dell’istruzione è in calo costante, e di questo ci sono testimonianze statistiche di ogni tipo che ci collocano parecchio in basso nelle graduatorie internazionali che riguardano il livello dell’istruzione della gioventù italiana; un problema questo non certo nuovo, anche perché articoli di ogni genere sull’argomento sono reperibili su ogni tipo di rivista, senza che si vada ad impelagarsi in dati tecnici e statistiche specialistiche. Ma per rendersi conto della situazione basta entrare in un istituto scolastico qualsiasi (specifico che il problema riguarda soprattutto le scuole superiori) per capire che la situazione richiede provvedimenti.
La colpa di questa spiacevole situazione (se davvero di colpa si può parlare) non può essere attribuita ad una sola delle parti chiamate in causa: non è colpa degli istituti come non è colpa degli studenti, bensì è colpa di una serie di fattori che coinvolgono istituti e studenti, stato ed enti incaricati. Spesso le istituzioni scolastiche sono state obbligate a muoversi in una certa maniera, anche a svantaggio della qualità dell’istruzione per soddisfare normative e leggi, oberate da un carico di riforme e di provvedimenti sovrappostesi nel corso degli anni e che hanno dato vita ad un sistema burocratico con cui nessuno vorrebbe avere a che fare. è calata la qualità della didattica stessa, il mestiere dell’insegnante è divenuto alla portata di chiunque abbia una laurea in tasca, e ciò ha contribuito all’affossamento di tale professione; come può essere tranquillo un genitore che manda i propri figli a scuola, o uno studente volenteroso, sapendo che la qualità del percorso didattico a cui va in contro non è affatto garantita e non c’è neanche la possibilità di prendere provvedimenti a meno che non si entri in un tribunale?
Certe cose dovrebbero essere scontate ma purtroppo non lo sono. Anche la componente studentesca fa comunque la sua parte: ogni occasione è buona per evitare lo studio e l’attività scolastica, e gli istituti, invece che come investimenti per il futuro,sono visti come acerrimi nemici da rifuggire e combattere. Ciò dipende in gran parte dalle famiglie, che tendono ad essere erroneamente iperprotettive nei confronti dei figli; una volta i cattivi risultati scolastici venivano imputati all’ignavia dello studente, adesso invece la colpa è riversata sulla scuola. Eppure la soluzione non è così complicata da trovare: meritocrazia, una parola che sembra essere stata dimenticata dalla società italiana. Occorre introdurre criteri meritocratici all’interno delle istituzioni scolastiche, e che non riguardino solamente gli studenti, ma anche gli insegnanti, incentivando la didattica e la ricerca di qualità.

Purtroppo i problemi non si fermano alla scuola, ma continuano anche dopo, al momento di immettersi sul mercato del lavoro, momento in cui cominciano a farsi sentire gli 80000 euro di debito pubblico e i 250000 euro di debito pensionistico che gravano sulle spalle dei giovani, tanto per citare qualche dato. Il mercato del lavoro italiano è caratterizzato da una notevole flessibilità in ingresso, ma il problema non è trovare lavoro, è mantenerlo; è il precariato la piaga del mercato lavorativo italiano. Si vengono a creare delle caste, alimentate dalla scarsa trasparenza delle professioni e degli ordini professionali e, soprattutto, dei costi delle prestazioni, per cui è difficile per un giovane laureato, magari con specializzazione o master avere il meritato successo anche se è molto, ma molto bravo. In Italia non si può competere nelle professioni sulla base di un prezzo più basso, l’abilitazione alla professione è data solo attraverso gli ordini professionali, che così controllano gli ingressi nel mercati del lavoro nelle varie professioni. Non è inoltre permessa la pubblicità comparativa, che permetterebbe a molti giovani professionisti di farsi conoscere e di proporsi alla potenziale clientela. Il precariato porta i lavoratori a gravare per sempre più tempo sulle spalle della famiglia senza poter contribuire allo sviluppo e all’avanzamento del paese.

In definitiva stiamo assistendo ad un livellamento verso il basso delle cime del nostro paese, quasi che ci fosse la volontà di affossare i talenti e di creare una società uniformata verso il basso, senza punte di eccellenza. In ambito lavorativo dunque occorrerebbe una riforma che non muti la sostanziale flessibilità in ingresso nel mercato, bensì apra le porte a impieghi fissi e più sicuri, tramite l’adozione di contratti che stabiliscano un periodo di prova e di tirocinio prima della definitiva assunzione; un sistema che permetterebbe di sfruttare anche i lavoratori ormai impiegati da tanto nei vari ambiti ed ormai prossimi alla pensione e al contempo di assumere nuovi e giovani laureati.

Anche il sistema previdenziale presenta alcune pecche , come ben si può intuire dal valore del debito pensionistico che grava su ogni giovane. Anche questo non è certo un problema recentissimo, è già qualche tempo che si dibatte sulle super pensioni e sugli enti incaricati, ma i tentativi di riforma sono falliti o lasciati incompiuti, impedendo la definitiva soluzione del problema. Il risultato è che oggi i soldi che vengono versati agli enti previdenziali e che in teoria dovrebbero alimentare i fondi pensioni da cui deriverà la pensione degli attuali contribuenti, in realtà servono a pagare la pensione di chi ne ha oggigiorno diritto. Una situazione questa di cui non ci accorgiamo quotidianamente, ma che diventerà un problema assai sentito se non vengono presi provvedimenti,e per migliorare le cose basterebbe completare le riforme sulle pensioni lasciate a metà nel corso degli anni.

L’appello in definitiva è rivolto alle attuali generazioni al potere, perché prendano provvedimenti che migliorino la situazione dell’Italia senza lasciare tale compito interamente alle giovani generazioni, ma anche a queste ultime, affinchè si rendano più consapevoli della situazione e si rendano conto della situazione della società che stanno per ereditare.

Lucca, 8 gennaio 2008

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