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LAICITA’ E SACRALITA’ DELLA VITA UMANA

Di Mario Battaglia

Si è tenuto sabato 10 novembre presso il Centro culturale Agorà l’incontro-dibattito tra il prof. Giulio Giorello (docente di filosofia della scienza all’Università di Milano) e il prof. Francesco D’Agostino (docente di diritto all’Università di Roma Tor Vergata) organizzato dalla Fondazione Dino Terra sul tema “Laicità, laicismo e sacralità della vita umana”. Un argomento scottante e di estrema attualità che ha richiamato la partecipazione e l’attenzione di un uditorio numeroso e qualificato.

E’ stato un confronto serrato e una riflessione aperta sull’attuale concezione di laicità attraverso l’analisi delle principali problematiche di etica pubblica e religiosa (poligamia, circoncisione, infibulazione femminile, controllo delle nascite…) e di bioetica (aborto, accanimento terapeutico, eutanasia, testamento biologico, sistema socio-sanitario pubblico…), oggi presenti nel dibattito culturale italiano.

La laicità, che non è sinonimo di ateismo o agnosticismo è, invece, prendere sul serio il mondo e dare sempre le ragioni delle proprie opinioni (cfr 1 Pietro 3,15). Per trovare una definizione più esaustiva può essere opportuno sottrarsi al gioco delle prese di posizioni ideologiche, sempre in agguato quando si discute di questo argomento, e cercare, più a monte, un terreno comune, condivisibile a tutti. Questo terreno è quello della razionalità e della saggezza pratica o, se volete, dell’esperienza e del buon senso. Ci sembra in modo particolare stimolante l’osservazione dell’antropologo Francesco Remotti, secondo cui . Insomma, è il “non essere”, il “non avere” – per condizione o per scelta – ciò che caratterizza la laicità. In sostanza i vari tipi di laicismo dipendono dalla proporzione che si intende instaurare – tanto nella vita pubblica quanto in quella privata – tra ciò che è discutibile, quindi negoziabile e revocabile da un lato, e ciò che invece si ritiene essere indiscutibile, non negoziabile, assolutamente valido e permanente dall’altro. In breve, quanto più si dà spazio alla discutibilità, tanto più aumenta il grado di laicità; quanto più si accresce l’indiscutibilità, tanto più ci si avvicina invece ai fondamentalismi. Non si tratta di demonizzare le certezze e di esaltare in modo indiscriminato il dubbio, ma di trovare un giusto equilibrio tra queste due componenti di un corretto approccio alla realtà. La laicità, in questa prospettiva, non può e non dovrebbe essere assolutizzata, ma valorizzata come una dimensione costitutiva, anche se mai esclusiva, dell’esistenza umana. Così intesa, la laicità implica il senso del limite e un atteggiamento di onesta ricerca, che non può non tradursi, a sua volta, in un’intima disponibilità alla cooperazione e all’ascolto (in un “suggerire, ma non imporre”). Quindi il laico – dentro e fuori la Chiesa – è colui che, proprio a partire da una “assenza”, è spinto ad andare oltre ciò che è e ciò che ha, verso ciò che non è e ciò che non ha: verso la trascendenza, verso il futuro, verso le prospettive altrui, da cui si lascia interpellare e con cui sente di doversi confrontare continuamente proprio in ragione dei propri limiti. Laicità significa dunque attitudine alla riflessione personale, ma anche apertura al confronto; senso critico, ma anche docilità; disincanto, ma anche capacità di meraviglia. Laicità è coraggio di gettare ponti, dal sicuro terreno su cui si è radicati, verso l’ignoto, e di avventurarsi su di essi senza nessuna garanzia. E’ proprio di un’autentica laicità non avere paura del conflitto e saperlo gestire, evitando di farlo degenerare in scontro violento, in quel clima perverso, cioè, per cui uno dei due interlocutori o entrambi tentano di mettere fuori gioco l’altro, ignorandolo, eliminando oppure assimilandolo a sé.

Per laicità è decisivo, in conclusione, che qualsiasi cittadino, credente o non, si assuma in prima persona la responsabilità delle proprie scelte, senza cedere alla tentazione di delegarle ad alcun altro che non siano la sua stessa coscienza e il proprio senso critico. Il fatto è che nella sfera giuridico-politica, il criterio ultimo deve essere quello del bene umano oggettivo, un fine che esige di essere valutato in termini non immediatamente religiosi e perseguito con i mezzi che la ragione indica come i più adatti.
Perciò è giusto esigere che l’ottica dell’individuo in quanto cittadino non si appiattisca immediatamente su quella del credente, ma anzi predisponga quest’ultima a una fondatezza razionale.

Lucca, 13 novembre 2007
Mario Battaglia

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