logo Fucinaidee

Con stupore Abbiamo appreso delle reazioni dei presidenti croato e sloveno alle chiare e coraggiose parole del Presidente Napolitano, pronunciate in occasione del Giorno del Ricordo, il 10 febbraio 2007.
Le dichiarazioni dei due presidenti delle repubbliche ex Jugoslave, molto dure quelle del croato ed in forma piu' diplomatica quelle dello sloveno, attestano la difficolta' di quanto ancora risulti difficile fare i conti con la storia del proprio recente passato.

In Italia, fortunatamente, stanno crollando certe cortine di silenzio imposte dall'uso ideologico della storia. Fucinaidee intende offrire il proprio contributo, proponendo un articolo di Alessandro Bedini che, partendo da un processo celebrato a Lucca all'inizio degli anni '50, fa luce su un episodio che attesta del clima che nella fase conclusiva della seconda guerra mondiale vigeva nel nord-est d'Italia.

Paolo Razzuoli

La strage di Malga Porzus

Di Alessandro Bedini

Le Malghe sono casolari della montagna friulana, usati quasi sempre per il ricovero degli animali e dei pastori.
La Malga di Porzus si trova poco sopra il paesino di Attimis, in provincia di Udine, qui nel 1945 aveva sede il comando delle brigate partigiane Osoppo, formate da azionisti, cattolici e indipendenti.

Era un mercoledì quello del 7 febbraio del 1945 quando un centinaio di partigiani comunisti, appartenenti alla brigata Garibaldi-Natisone, guidati da Mario Toffanin, nome di battaglia Giacca, salirono, verso le 14,30, alle Malghe fingendosi partigiani sbandati che avevano ingaggiato battaglia coi tedeschi. Non era vero. I garibaldini avevano incarico di eliminare i loro avversari osoviani rei di non condividere il progetto di annessione alla Jugoslavia di Tito del territorio del Friuli e di quello del Veneto orientale, fino al Tagliamento. A Malga Porzus trovarono la morte il comandante della Osoppo, Francesco de Gregori detto Bolla, zio del celebre cantautore, il commissario politico Gastone Valente (Enea), Elda Turchetti, accusata di essere una spia e il giovane Giovanni Comin, che si trovava alla malga per chiedere di essere arruolato nella Osoppo. Gli altri furono fatti prigionieri e portati una ventina di chilometri più a valle, nella zona di Bosco Romagno, sopra il paesino di Ronchi di Spessa, sempre in provincia di Udine, dove furono trucidati.
Tra loro c’era anche Guido Pasolini, detto Ermes, fratello del celebre scrittore Pier Paolo Pasolini. Le vittime del barbaro eccidio furono in tutto venti, si salvò solo miracolosamente il capitano Aldo Bricco che si finse morto e riuscì poi a fuggire. E’ lui che riferirà i particolari più agghiaccianti della strage di Malga Porzus.

Una pagina di storia presto dimenticata, o meglio rimossa, l’esempio di come la camicia di Nesso dell’ideologia giunga a ottenebrare le menti e gli animi.
Quando nel 1997 il regista Renzo Martinelli decise di realizzare un film che si intitolò appunto “Malga Porzus”, essendosi recato sul posto con la sua troupe per girare gli esterni, si trovò alle prese con divieti imposti dai sindaci del luogo che vietarono le riprese nei territori da loro amministrati. Qualcuno chiese persino che il film non fosse proiettato alla mostra di Venezia: di Porzus non si doveva più parlare.

All’indomani della strage fu la magistratura ordinaria a occuparsi del tragico evento. Ad essa toccò il gravoso compito non soltanto di giudicare gli imputati, ma di riscrivere nei dettagli lo spaccato di una storia fra le più travagliate del nostro paese.
Il 23 giugno del 1945 il Comando Divisioni Osoppo presentò denuncia per la strage consumatasi a Malga Porzus, alla Procura di Udine. Il processo ebbe inizio però solo sei anni dopo, il 26 settembre del 1951, di fronte alla Corte d’Assise di Lucca dove era stato trasferito dalla Corte di Cassazione per “legittimo sospetto” e per motivi di ordine pubblico. In precedenza se ne erano occupate la corte d’Appello di Venezia e la Corte d’Assise di Brescia, oltre al tribunale militare di Verona.

A Lucca dunque si aprì il dibattimento che vide imputati di strage Mario Toffanin, la cui fedina penale era già prima dei fatti di Porzus una campionatura dei reati più vari: dalla rapina al sequestro di persona, Giovan Battista Padoan detto Vanni, uno degli “attori principali”, della strage, Alfio Tambasso e altre persone responsabili, a vario titolo, dell’eccidio di Porzus. Tra i difensori degli imputati spiccavano i nomi di illustri principi del foro, come gli avvocati Giuseppe Sotgiu e Rodolfo Lena, e di esponenti di primo piano del Partito Comunista, come gli onorevoli Umberto Terraccini e Fausto Gullo. Una ricostruzione minuziosa quella fatta dalla Corte d’Assise di Lucca, presieduta da Mario Cascella, che non avrebbe tralasciato alcun particolare. Una ricostruzione, come dicevamo sopra, che è anche e soprattutto una pagina di storia degna di essere letta e riletta.

A Lucca si presentarono tra gli altri, in qualità di testimoni e parti civili, il padre di Guido Pasolini, Carlo e il fratello Pier Paolo che chiesero giustizia per il povero ragazzo, appena ventenne, trucidato dai gappisti di Toffanin.

Pier Paolo Pasolini testimoniò di come il fratello, allora studente liceale, avesse scelto volontariamente di andare in montagna per non prestare servizio militare nella Repubblica di Salò.
C’è agli atti del processo, una lettera toccante che Guido Pasolini scrive a Pier Paolo, alla fine del 1944.
E’ la testimonianza più veritiera e attendibile di quanto stava accadendo nel Nord-Est d’Italia in quei dolorosi anni di guerra civile.
Scrive Guido: “Negli stessi giorni giunge una missione slovena inviata da Tito: si propone l’ assorbimento della nostra divisione da parte dell’ Armata slovena , i garibaldini fanno di tutto per indurci a togliere le mostrine tricolori, a Memicco un commissario garibaldino mi punta sulla fronte la pistola perchè gli ho gridato in faccia che non ha idea di cosa significhi essere uomini liberi e che ragionava come un federale fascista, infatti nelle file garibaldine si è "liberi" di dire bene del comunismo, altrimenti sei trattato come un "nemico del proletariato" oppure "idealista che succhia il sangue al popolo", senti che roba!

Il 7 Novembre, anniversario della rivoluzione russa, in tutti i reparti garibaldini si festeggia l’ avvenuta unione con le truppe slovene. L’ accordo era stato firmato prima delle famose solenni smentite, quattro giorni dopo si presenta il famigerato commissario garibaldino Vanni che intima a "Bolla" (comandante della "Osoppo"):
"per ordine del maresciallo Tito la prima brigata Osoppo deve sgomberare la zona" "[...] i commissari garibaldini, la notizia mi giunge da fonte non controllata, hanno intenzione di costituire la Repubblica armata sovietica del Friuli: pedina di lancio per la bolscevizzazione dell’ Italia".

E’ esattamente ciò che risulterà dal dibattimento processuale che individuerà proprio nella volontà di annettere la Venezia-Giulia alla Jugoslavia e nel passaggio della brigata Garibaldi sotto il comando del IX Corpus sloveno, la principale motivazione che porterà all’eliminazione fisica degli osoviani.

Nel processo ci sono alcuni passaggi-chiave su cui occorre soffermarsi, prendendo le mosse proprio dalla lettera di Guido Pasolini. Il tentativo di assorbire sia la brigata Osoppo che la Garibaldi nel IX Corpus sloveno venne messo in atto fino da settembre del 1944. Vi fu una trattativa, come risulta sempre dagli atti del processo, tra alcuni esponenti della formazione comandata da De Gregori, i garibaldini e il capitano Matekia, delegato del comando del IX Corpus d’Armata sloveno.

Dopo l’intervento della federazione comunista di Udine nella persona del segretario Ostelio Modesti, i garibaldini accettano di passare sotto il comando sloveno. Il Modesti aveva avuto notizia dai compagni di Monfalcone e di Gorizia che la direzione nazionale del Partito Comunista era favorevole a che tutte le formazioni partigiane della Venezia-Giulia passassero sotto il comando sloveno “e che subito doveva essere risolto il problema territoriale del litorale adriatico”. Così ai primi di novembre del 1944, anniversario della rivoluzione russa, il Comando della Natisone annunciava alle sue formazioni il passaggio alle dipendenze degli slavi. E’ qui che sta il punto storico-politico della terribile vicenda che il processo di Lucca riesce a mettere bene in evidenza.
Toffanin, personaggio senza scrupoli e pluripregiudicato, è un uomo degli sloveni, appoggia senza riserve i loro progetti annessionistici, è per questo che proprio lui avrà l’incarico di portare a termine il lavoro sporco dell’eliminazione degli osoviani che rappresentavano un ostacolo molto pericoloso per i loro piani, anche grazie al rapporto di fiducia stabilito con la popolazione locale. Nel corso del processo dagli interrogatori degli imputati presenti, Mario Toffanin ed altri avevano nel frattempo riparato in Jugoslavia, viene fuori un continuo e poco decoroso rimpallo di responsabilità: c’è chi affermò, come Giovanni Brack, detto Buco, di non essere stato presente a Malga Porzus quel giorno “ trattenuto da impegni familiari”, quando il Presidente del tribunale gli chiede di cosa si tratti l’imputato si trincera dietro un semplice “ non ricordo”; altri, come Carlo Maureciq, detto Pin, sostennero di essere stati presenti alla Malga ma di non aver udito ne le grida ne gli spari, qualcuno incolpò il compagno d’armi di averlo trascinato in un’avventura di cui niente di preciso sapeva. Nessuna rivendicazione politica, poche ammissioni di responsabilità e solo di carattere secondario.

Il compito di dare una lettura politico-ideologica ai fatti di Porzus e di esercitare pressioni sulla Corte, viene lasciata alle numerose lettere di ex partigiani, di associazioni combattentistiche della resistenza, agli esponenti del Partito Comunista.
Al tribunale di Lucca giungono decine e decine di missive, indirizzate al Presidente della Corte d’Assise, nella quale lo si invita a tener conto “dell’eroismo” di quei combattenti accusati ingiustamente. La sezione dell’ANPI del Friuli Venezia Giulia chiede la scarcerazione degli imputati a causa delle lungaggini del processo e si dice allibita per le accuse mosse ai partigiani garibaldini.
Dopo più di un anno e mezzo dall’inizio del dibattimento, in seguito a un serrato e a tratti drammatico confronto tra accusa e difesa, il 6 aprile del 1952, la Corte d’Assise di Lucca emette la sentenza: ergastolo per Mario Toffanin, Alfio Tambasso e Giovanni Iuri, riconosciuti colpevoli di omicidio, sequestro di persona e furto aggravato, pene che vanno dai dieci ai ventidue anni per gli altri imputati riconosciuti responsabili dell’eccidio. Poche le assoluzioni.
Il processo di appello si celebra invece fra il 1 marzo e il 30 aprile del 1954 presso la Corte d’Appello di Firenze, nel frattempo erano intervenute le leggi sull’indulto e le pene saranno sensibilmente diminuite. Gli ergastoli vengono ridotti ad appena dieci anni di reclusione mentre gli imputati “minori” riceveranno la pena irrisoria di due anni.

Resta ancora un tassello per completare il mosaico di questo capitolo crudele della nostra storia. Nel 1978 l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, appena eletto, concesse la grazia al vecchio compagno Giacca, al secolo Mario Toffanin. Perchè lo fece? Non era forse al corrente che costui aveva un pesante debito con la giustizia per reati comuni? Era con un colpo di spugna che si doveva cancellare l’ombra oscura di Malga Porzus? Comunque sia, nonostante il provvedimento di grazia, Toffanin rimase in Slovenia dove morì ultraottantenne.
Una sorte benigna che egli aveva negato a venti ragazzi della brigata Osoppo in una fredda giornata d’inverno del 1945, dimenticati troppo in fretta dall’implacabile macchina da guerra della memoria rimossa.

Alessandro Bedini

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina