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"Il sorriso degli dei. Cesare Pavese tra mito e realtà." di Marco Barsacchi.

Recensione di Alessandro Bedini

Il Premio Firenze che viene attribuito ogni anno dal Centro Culturale Firenze-Europa “Mario Conti”, giunto alla sua ventiquattresima edizione, ha visto assegnare a Marco Barsacchi il Premio riservato al Presidente della giuria letteraria per il suo libro: Il sorriso degli dei. Cesare Pavese tra mito e realtà.

“Con rigore critico e limpidezza espositiva Barsacchi, nel suo saggio “Il Sorriso degli dèi. Cesare Pavese tra mito e realtà”, ha esaminato l’opera del narratore piemontese nella sua integrità, recuperandone una dimensione metafisica passata, finora, in secondo piano e ricostruendone con serenità e completezza il rapporto con la politica” - si legge nella motivazione.
E in effetti il raffinato saggio di Barsacchi, fiorentino, allievo di Eugenio Garin per molti anni docente di lingua e letteratura italiana all’Università finlandese di Turku, ci permette di scoprire un Pavese assai diverso da come appare nella maggior parte degli studi critico-letterari e più ancora nei manuali scolastici.

Il titolo del libro ha una sua logica ben precisa: Uomini e dei era infatti il titolo provvisorio di una serie di dialoghi, scritti da Pavese tra il 1945 e il 1946, che saranno pubblicati l’anno successivo col titolo Dialoghi con Leucò, un testo al quale Pavese restò sempre legato, dove in un serrato confronto tra personaggi dei miti greci si mette a fuoco l’eterno dilemma della condizione umana.

Il saggio di Barsacchi è incentrato proprio sul rapporto tra mito e realtà, tra libertà e destino, temi ricorrenti e fondamentali nella prosa dello scrittore piemontese. Il gusto per la campagna, che non si disperde nel puro e semplice naturalismo, la vita contadina, considerata in tutti i suoi aspetti, anche i più crudi, avvicinano Pavese a Federico Tozzi, lo scrittore toscano che individua proprio nella campagna la proiezione simbolica di oscure tensioni interiori. La mitopoietica di Pavese è frutto di studi profondi sull’antropologia, il sacro, la psicologia, è attraverso questo che si viene formando la sua dottrina estetica la quale, a differenza dell’ allora imperante pensiero crociano, poggia sull’irrazionale quale fondamento della creazione artistica. Attratto dagli studi sul mito di Kàroly Kerényi, secondo il quale la mitologia crea il mondo raccontando come esso è cominciato, Pavese giunge ad affermare che il mito è evento fondante che possiede in sé la forza vitale per trascendere il nostro quotidiano.

Ma il pezzo forte del libro di Barsacchi è senz’altro l’ultima parte, dedicata al “taccuino segreto” di Cesare Pavese. Ritrovato per caso tra le carte messegli a disposizione dalla sorella dello scrittore scomparso, Lorenzo Mondo, giovane studioso di Pavese, pubblica l’otto agosto del 1990 su La Stampa di Torino, l’importante inedito. Nel taccuino, che fece impallidire Italo Calvino e propendere per una sua pubblicazione parecchio “dimessa” in modo che non vi si facesse attorno troppo chiasso, si attestava senza troppi infingimenti, che, sebbene limitatamente a un periodo della vita di Pavese ci fu “ la piena sintonia dello scrittore piemontese sulla lunghezza d’onda del nazionalismo fascista….L’assoluta sfiducia nei confronti del tentativo badogliano, il disprezzo per quegli “ometti” che cercavano la pace ad ogni costo, le speranze riposte nel fascismo repubblicano. Insomma – conclude Barsacchi – uno scandalo destinato a suscitare stupore e sdegno tra i vecchi amici e colleghi”. Non solo, nelle pagine del block-notes ci sono anche chiari accenti patriottici, solidarietà per i giovani che combattono al fronte per la grandezza del proprio paese, addirittura la volontà di arruolarsi per dare un contributo allo sforzo bellico dell’Italia oramai in guerra da tre anni.
Pavese mostra fiducia nella nuova repubblica fascista e si augura che il Manifesto di Verona venga realmente attuato.

L’aver arruolato frettolosamente Cesare Pavese nelle file del neorealismo e dell’antifascismo ha finito per offrire del grande scrittore “un’immagine artificiosa, inesatta, quanto meno incompleta – osserva Barsacchi – “. Un’immagine che invece non è quella, paludata, dell’impolitico bensì dell’intellettuale che riflette senza pregiudizi su un momento cruciale nella storia del suo paese. Dopo aver letto quegli appunti Giancarlo Paletta definì il vecchio amico Pavese “un disertore”, Giulio Einaudi scrisse invece che egli manifestava da sempre l’inconscia necessità di un’autorità che lo proteggesse, di un padre insomma. Quest’autorità sembrò averla trovata nel fascismo, poi, come molti altri, nel comunismo. Il merito di Marco Barsacchi è quello di aver alzato la cortina fumogena calata sulla figura e l’opera di Pavese denunciando l’uso politico della letteratura, così come quello della storia, al solo scopo di nobilitare una parte per screditarne un’altra. Un gioco che conosciamo bene e che vorremmo finisse quanto prima e una volta per tutte.

Il Libro: Marco Barsacchi: Il sorriso degli dei. Cesare Pavese tra mito e realtà, Jouvence, Roma, 2006, pagg. 145, € 12,00

Lucca, 4 febbraioi 2007
Alessandro Bedini

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