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LA RIFORMA ELETTORALE E RIFORMA DEI PARTITI

Di Antonio Rossetti

La riapertura di una discussione sui temi della politica, dei partiti e di questi in rapporto con i cittadini e le istituzioni rappresentative è sempre un bene tanto più quando i tempi delle scadenze elettorali, in relazione al mandato, non sono così ravvicinati da determinare le condizioni per decidere senza l’apporto di tutte le forze politiche, e non solo, che hanno capacità di rappresentare presenti in una società così complessa – Con questo non penso che la discussione sia di tipo accademico, comunque astratta, ma tale da tenere in considerazione la distanza crescente tra cittadini e partiti, tra cittadini ed istituzioni, e tra cittadini e la politica .

Il tentativo potrebbe subire ulteriori scosse negative se si volesse tentare di riformare i partiti attraverso la legge elettorale, e non invece dare il massimo contributo per tenere , per quanto possibile distinte le due cose.

Di fatto i partiti, almeno come si dovrebbero immaginare in positivo, dovrebbero diventare sempre di più sedi di confronto, di raccolta delle proposizioni, di traduzione nei programmi dei bisogni e delle istanze che i cittadini esprimono, oltre che sedi per la crescita e la selezione della classe dirigente.

Si tratta di riproporre vecchi schemi, a mio avviso migliori dei partiti personali, senza base democratica e senza ruolo se non quello di essere clienti del leader, che tale si definisce autonominandosi.
E così abbiamo il partito di Fini, quello di Berlusconi, quello di Di Pietro ,di Casini, di Mastella, di Bossi, di Pannella, e poi anche di Rutelli o di Fassino e via via tutti gli altri, il che non cambia le cose, pur essendo molto diverse le realtà associative che questi intendono rappresentare.

Semplificare, e dare corpo a sedi che niente hanno a che vedere con i congressi, o altre sedi istituzionali sembra l’unica possibilità. Prevale l’io, e prevale la sede esterna, vedi Tv, o giornali, o altro, per dire ed assumere posizioni, senza passaggi, certo faticosi, ma democratici, formali e plurali, quali le sezioni , i direttivi, le segreterie per i partiti, e le altre sedi formali per le istituzioni elettive.

Una riforma del sistema elettorale, meglio dire dei sistemi, che avesse come obbiettivo il calcolo personale o di partito o di “ polo”, ha delle conseguenze negative tali da allontanare chi non si riconosce in queste aggregazioni forzate, e non fondate su ideali e valori e, in ultimo, su scelte che rendano chiaro il contenuto dei programmi.
L’equilibrio difficile di garantire rappresentatività e governabilità , risente anche dei cambiamenti nella società, ma resta prioritaria la necessità di rendere possibile l’agibilità politica a tutti i soggetti, saranno gli elettori a selezionare uomini e partiti.
Il tentativo di ridurre il numero dei partiti attraverso la riforma del sistema elettorale bipolare non è riuscito ed è tanto evidente che siamo all’assurdo delle “schede lenzuolo”, quando ci apparivano tante nove liste per il Senato e undici per la Camera quando vigeva il sistema proporzionale puro.

La mia opinione è che se ci sono impedimenti o costrizioni, prima o poi queste hanno un prezzo.
Senza dover scopiazzare un modello esterno, tedesco, francese o spagnolo o altro, non sarebbe più corretto analizzare il nostro modello che per anni a reso i cittadini in grado di essere rappresentati, anche se con piccole quote di presenza, in parlamento?
Se vi sono correzioni da fare perché si ritiene che la governabilità richieda maggioranze solide si valuti questo aspetto, senza cadere nell’errore opposto rispetto a chi considerava legge truffa un premio di maggioranza con il 50% ed oggi considera democratico questo con percentuali molto minori- I tempi cambiano e si può cambiare opinione, ma se occorrono due riforme una per il sistema elettorale e una che riguarda i partiti, è bene che le discussioni siano due, e tutte all’interno del dettato costituzionale.

Lucca, 18 gennaio 2007
Antonio Rossetti.

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