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"La rivoluzione in camicia nera": l'ultima fatica del lucchese Paolo Buchignani.

Recensione di Alessandro Bedini.

La rivoluzione in camicia nera, edito da Mondadori, l’ultimo libro di Paolo Buchignani, lucchese, storico del Novecento e collaboratore di Nuova Storia Contemporanea, si annuncia come un vero evento editoriale.

Buchignani è un esperto in materia. Ha scritto: Marcello Gallian. La battaglia antiborghese di un fascista anarchico, Un fascismo impossibile. L’eresia di Berto Ricci nella cultura del ventennio e soprattutto Fascisti rossi, pubblicato anch’esso da Mondadori, che ha riscosso un meritatissimo successo.

Tesi di fondo dell’ultima fatica dello storico lucchese è che all’interno del fascismo ci fu una corrente rivoluzionaria, antiborghese e anticapitalista, che non era formata da una sparuta minoranza, bensì da personaggi di primo piano del fascismo: da Pavolini a Bottai a Gallian, da Bilenchi a Vittorini.
“E’ la componente più pericolosa del fascismo – osserva Buchignani – perché è la più totalitaria, la meno disponibile al compromesso, la più favorevole alla guerra vista come palingenesi della società”.

Buchignani nel suo libro si chiede se anche lo stesso Mussolini sia appartenuto alla componente rivoluzionaria e analizza i rapporti tra il duce e l’intellighenzia della sinistra fascista.

-Buchignani, è plausibile parlare di una rivoluzione in camicia nera, dal momento che il concetto di rivoluzione viene associato costantemente alla sinistra?
- Innanzitutto nel mio libro ho preferito non usare il termine fascismo di sinistra, in quanto questa corrente del fascismo possiede sì elementi di sinistra: la rivoluzione sociale, il mito della rivoluzione come palingenesi, però c’è anche la centralità della guerra, l’aspirazione all’impero, quindi definirlo fascismo di sinistra non mi sembrava corretto. Ho preferito definirlo fascismo rivoluzionario. Il termine rivoluzione – secondo me – può essere riferito sia alla destra che alla sinistra. Esiste insomma anche una destra rivoluzionaria. C’è un bel libro di Zeev Sternhel che si intitola proprio La destra rivoluzionaria. Nel mio libro faccio la distinzione tra un fascismo autoritario e conservatore e un fascismo totalitario e rivoluzionario. Sono convinto anche che il termine rivoluzione non sia necessariamente da ritenersi positivo. Per quanto riguarda il fascismo, ad esempio, è senz’altro negativo.

- Buchignani ma come si sviluppa nel tempo questa corrente rivoluzionaria? E’ presente fin dall’inizio, oppure si viene via via affermando?
- Guardi io distinguo tre tempi del fascismo. E’ lo stesso Mussolini a parlare di questo. Il primo tempo è la conquista del potere, il secondo tempo è il consolidamento del regime, il terzo tempo è quello della costruzione del nuovo, a partire dall’inizio degli anni Trenta. Il fascismo rivoluzionario è in pratica quello delle origini. Fin dal principio l’aspirazione di Mussolini e dei suoi seguaci era quella di costruire un uomo nuovo e un nuovo modello sociale. Poi per conquistare il potere il duce capisce che deve fare i conti con le classi dirigenti tradizionali, la borghesia, la chiesa, etc. Quindi negli anni Venti il fascismo rivoluzionario viene messo da parte e si rifugia nella cultura. Penso a Strapaese e ad altre riviste. Riemerge negli anni Trenta quando Mussolini comincia a parlare di nuova civiltà, di terza via, di corporativismo, sono gli anni del totalitarismo e anche di maggior consenso per il regime.

- Insomma il fascismo rivoluzionario è quello che non è stato mai realizzato?
- In parte questo è vero ma occorre fare delle precisazioni. Il fascismo rivoluzionario è quello che non è soddisfatto della marcia su Roma, in quanto compromesso con la monarchia e la borghesia e nemmeno del discorso di Mussolini del 3 gennaio del 1925, perché ha segnato sì la sconfitta dell’antifascismo ma anche quella del fascismo rivoluzionario, squadrista. Gli anni Venti vedono la sconfitta dei rivoluzionari. Come dicevo prima solo all’inizio degli anni Trenta riprende vigore, grazie a Mussolini ma anche a Bottai che con Critica fascista avvia il dibattito sul ruolo dei giovani, poi c’è L’Universale di Berto Ricci. C’è l’impero e la rivoluzione sociale, il fascismo cammina con queste due gambe.

- Ma chi sono questi rivoluzionari in camicia nera che lei cita nel suo libro?
- La prima domanda che mi pongo è: Mussolini è un rivoluzionario oppure no? Qual’è il suo rapporto con gli intellettuali di “sinistra”? Specialmente i giovani della generazione di Berto Ricci, di Romano Bilenchi, dello stesso Montanelli, hanno il culto del duce. Lo vedono come il più grande rivoluzionario del Novecento. A lui attribuiscono la loro stessa volontà rivoluzionaria. Quindi se la rivoluzione non va avanti, se è stata tradita e loro sono scontenti del fascismo storicamente realizzato, la colpa è dei gerarchi e della borghesia ma non di Mussolini. Hanno ragione o hanno torto? E’ chiaro che Mussolini è molto abile nello strumentalizzarli, nel cavalcarli, per esempio quando sopprime le loro riviste gli fa credere che non sia stato lui ma altri, i gerarchi, i prefetti, Mussolini tiene al consenso di questi giovani. Li strumentalizza ma li stima, alla fine egli vuole quello che vogliono loro, ma i tempi di uno statista sono necessariamente diversi. I rivoluzionari sono impazienti, la svolta sociale la vogliono subito mentre Mussolini sa bene che non è possibile. Mussolini, come dice De Felice, sta a cavallo fra il fascismo regime e il fascismo movimento o meglio tra fascismo autoritario e fascismo totalitario. Il fascismo stava diventando sempre più totalitario e la guerra contribuiva a questo. Alla fine l’essenza più vera del fascismo rivoluzionario è la guerra. L’idea dei fascisti rivoluzionari è che il fascismo deve essere una rivoluzione del popolo, contrapposta alla rivoluzione sovietica che è una rivoluzione di classe e a quella nazista che è una rivoluzione di razza.

Lucca, 28 settembre 2006
Alessandro Bedini

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